giovedì 26 giugno 2014

"Genesi" di Sebastião Salgado in mostra al Palazzo della Ragione di Milano

Viaggio unico alla scoperta del nostro ambiente, l’ultimo progetto di Salgado rappresenta il tentativo, perfettamente riuscito, di realizzare un atlante antropologico del pianeta, ma è anche un grido di allarme e un monito affinché si cerchi di preservare queste zone ancora incontaminate, per far sì che, nel tempo che viviamo, sviluppo non sia sinonimo di distruzione.
 
 
Apre domani al pubblico la mostra “Genesi di Sebastião Salgado, a cura di Lélia Wanick Salgado, mostra promossa e prodotta dal Comune di Milano - CulturaCivitaContrasto e GAmm Giunti e ideata da Amazonas Images. Il progetto di Palazzo della Ragione Fotografia  va ad arricchire il programma espositivo del Comune di Milano: “Con questa mostra inauguriamo Palazzo della Ragione quale spazio dedicato in modo permanente ed esclusivo alla Fotografia – ha commentato l’assessore alla Cultura Filippo del Corno – e offriamo un contributo irrinunciabile all’approfondimento del tema di Expo 2015, che proprio a Milano interrogherà l’umanità intera sul futuro della sostenibilità per il nostro pianeta”.  
L’esposizione, in programma fino al 2 novembre 2014, è di grande attualità, soprattutto in questi mesi di preparazione all’EXPO, mentre la città di Milano e il Paese riflettono sulla sostenibilità dei progetti energetici e sull’imprescindibile necessità di vivere un rapporto più armonico con il nostro pianeta.
 
L’itinerario fotografico, composto da 245 immagini in bianco e nero, è suddiviso in cinque sezioni che ripercorrono le zone in cui Salgado ha realizzato le fotografie: Il Pianeta SudI Santuari della Natura,l’AfricaIl grande Nordl’Amazzonia e il Pantanàl. Oltre agli animali - impressi nel suo obiettivo attraverso un lungo lavoro di immedesimazione con i loro habitat – una particolare attenzione è riservata anche alle popolazioni indigene ancora vergini: gli Yanomami e i Cayapó dell’Amazzonia brasiliana; i Pigmei delle foreste equatoriali del Congo settentrionale; i Boscimani del deserto del Kalahari in Sudafrica; le tribù Himba del deserto namibico e quelle più remote delle foreste della Nuova Guinea. Salgado ha trascorso diversi mesi con ognuno di questi gruppi per poter raccogliere una serie di fotografie che li mostrassero in totale armonia con gli elementi del proprio ambiente naturale.
Per maggiori informazioni:
http://www.palazzodellaragionefotografia.it/

Infine, ricordiamo che Il diario portoghese si era già occupato di Sebastião Salgado circa un anno fa, in occasione della mostra al Museo dell'Ara Pacis (Il fotografo brasiliano Sebastião Salgado porta a Roma il pianeta incontaminato).  
 
 

martedì 24 giugno 2014

Jorge Amado e il calcio: gli dedicò la favola d’amore per ragazzi “A bola e o goleiro"

Fu tifoso a vita dello YPIRANGA, club bahiano fatto di poveri, lavoratori ed esclusi


Mutuando un termine calcistico, partiamo col dire che è “di rigore”, in contemporanea coi Mondiali in Brasile, parlare del particolare rapporto d’amore intercorso tra un brasiliano celebre, o più precisamente un bahiano tanto da essere definito “o cantor de Bahia” e il pallone. Chiarito che il soggetto in questione è nientemeno che Jorge Amado, aggiungiamo che Il diario portoghese metterà l'accento su un paio di aspetti della sua relazione con lo sport più amato nel suo Paese, dei quali non è giunta un’eco particolarmente forte nel nostro. Ci focalizzeremo sull’unico suo libro dedicato al calcio e ricorderemo per quale squadra, delle molte e gloriose tra cui avrebbe potuto optare, faceva il tifo.

Amado era già famoso da decenni, con alle spalle best seller internazionali quali Gabriella, garofano e canela (1958) e Dona Flor e i suoi due mariti (1966), quando dalla sua creatività uscì una sorta di favola per bambini e ragazzi con al centro una palla e un portiere. Commentando A bola e o goleiro pubblicato nel 1984, gli appassionati sportivi brasiliani notarono che il grande scrittore aveva finalmente deciso di esibirsi in quella che viene chiamata a ‘literatura de chuteiras’ (dal nome delle scarpe da calcio) creando una storia insolita con personaggi particolarissimi e rivolgendosi specificamente alla tifoseria junior, ovvero ai ‘torcedores mirins’. Essendo quella per il calcio, notoriamente, una passione e ben sapendo della predilezione di Amado per le trame amorose, A bola e o goleiro non fa eccezione. Non a caso, la versione italiana uscita nell'87 da Mondadori per la traduzione di Ombretta Borgia, s'intitola La palla innamorata.

domenica 15 giugno 2014

Brasile e passione per il calcio: la raccontano gli scatti fotografici dei bambini della Cidade de Deus




Il progetto del reporter francese Christophe Simon (AFP), residente a Rio, che insegna loro la tecnica

 


“Nelle favelas brasiliane i bambini giocano a calcio tutto il tempo, ovunque. Con palloni bucati, in campi improvvisati polverosi, contro i muri delle case. In previsione del Mondiali 2014, ho cercato una maniera d'illustrare le origini di questo fervore dei brasiliani per il calcio. E, per farlo, cosa di meglio che domandare a una manciata di bambini delle favelas di farmi vedere la loro passione con loro stesso sguardo?”.  

Partendo da questa considerazione un reporter francese, dal 2011 trasferito a Rio de Janeiro dove lavora come responsabile locale della prestigiosa AFP (Agence France-Presse), ha avuto un’idea destinata a far parlare di sé ben oltre il Brasile. Christophe Simon, questo il nome del fotografo, dal suo arrivo a Rio già aveva avuto numerose occasioni per immortalare le operazioni di polizia tese a migliorare l'immagine della città (le cosiddette “operações de pacificação”) in vista dei Mondiali e delle Olimpiadi, battendo i quartieri delle favelas armato del suo apparecchio fotografico.  Immancabilmente veniva circondato da nugoli di bambini che apparivano affascinati dal suo lavoro, lo seguivano dappertutto e gli ponevano mille domande. Avendo da poco compiuto i 50 anni, Christophe ha cominciato ad avvertire il desiderio di trasmettere la sua esperienza a qualcuno più giovane di lui. Così è nato il suo progetto, da cui noi del “diario portoghese” siamo rimasti favorevolmente colpiti, tanto da desiderare di condividerlo coi nostri lettori. Per farlo, usiamo come traccia il racconto autobiografico che lo stesso Simon fa nel Blog Making-of de l'AFP.

Andiamo per gradi: per prima cosa un’importante casa produttrice di apparecchi fotografici, contattata espressamente dall'AFP, ha messo a  disposizione una dozzina di apparecchi. In secondo luogo Chistophe ha avuto la fortuna di simpatizzare con il titolare di uno studio fotografico di una delle favela più note di Rio - la Cidade de Deus, immortalata dal film omonimo di Fernando Meirelles - un certo Tony Barros. È stato proprio Tony a reclutare i volontari apprendisti fotografi, tra i dieci e  i quindici anni di età. Poi a Simon e Barros si è aggregata Nadine Gonzales, una cittadina francese che nella favela ha fondato una scuola di moda (Association Modafusion) per giovani talenti brasiliani. Questa piccola troupe ha cominciato a muoversi assieme ai ragazzini, ciascuno armato di macchina fotografica, con uno scopo ben preciso: cogliere delle immagini aventi per tema il calcio. Per oltre tre mesi e mezzo Tony si è assunto il ruolo di accompagnare i gruppi lungo i vicoli di uno dei quartieri definiti “disagiati”, da lui ben conosciuto, riuscendo così anche a sbrogliare situazioni complicate. 

“Quasi ogni fine settimana, dopo il febbraio 2013 -racconta Chistophe Simon- si andava in giro a gruppi di 10-12 ragazzini. Le sessioni duravano tre/quattro ore, talora giornate intere. Non era facile organizzarle. Ogni volta bisognava andare a prendere a casa i bambini e riaccompagnarli alla fine. Ho dato loro -spiega- dei rudimenti di base del mestiere, come la proibizione di far mettere in posa qualcuno (cosa difficile da applicare in un Paese dove la gente adora farlo) e di usare il flash. L'esperienza - aggiunge- è stata appassionante e il risultato sorprendente. Che i ragazzi siano stati capaci di realizzare foto tanto buone, mi ha meravigliato. Se avessi deciso di trattare quei soggetti da solo, avrei utilizzato i miei codici personali, il mio sguardo. Qui, dei ragazzi hanno avuto la possibilità di mostrare i luoghi in cui vivono e l'origine della loro passione per il calcio”.  

“Il risultato, credo, è più che sincero. Al tempo stesso, mentre all'inizio pensavo che fossero loro a farmi scoprire qualcosa, mi sono sorpreso spesso a considerare -afferma ancora Simon- che ero io ad aprire gli occhi dei miei allievi. Le favelas hanno le loro leggi non scritte. Per esempio tutti sanno nella Cidade de Deus è meglio non occuparsi di ciò che accade ai propri vicini. Io non conoscevo questa legge: arrivavo col mio sguardo nuovo e facevo scoprire loro cose che avevano sempre sotto gli occhi, senza vederle mai. La loro favela, benché sia stata ufficialmente pacificata, non è diventata un luogo di tutto riposo. A più riprese siamo finiti in mezzo a  trafficanti di droga, per niente affascinati dal vedere improvvisamente tante macchine fotografiche. Ma, grazie all'abile intervento di Tony, questi momenti di tensione non sono mai degenerati. 

“Il turn-over tra i partecipanti è stato importante. A un certo punto il nostro progetto ha cominciato ad essere molto conosciuto nella favela e i candidati hanno iniziato ad affluire. Ma ce n’erano anche di assidui. Tra questi, ho un ricordo eccezionalmente buono di Kuhan, un ragazzo di dieci anni i cui genitori sono crack-dipendenti. Un bambino particolarmente vivace e talentuoso. Della cinquantina di immagini che ho selezionato alla fine del progetto, è lui che incontestabilmente -sentenzia Christophe- ha scattato le migliori”.  

Se anche la storia dell'incontro tra il fotografo francese e i bambini della favela brasiliana appena raccontata finisse qui, potremmo dire che ha portato una nota positiva sul clima, non proprio sereno, dei Mondiali. Ma c’è di più: l'avventura continua, regalando una vera ventata di ottimismo. L'Agence France-Presse e l’Association Modafusion, visto il successo riscosso dal progetto, hanno infatti siglato un accordo per perpetuare l'atelier degli apprendisti fotografi della Cidade de Deus fino ai giochi olimpici di Rio del 2016. Buona fortuna!



lunedì 9 giugno 2014

“I tesori del Portogallo” in Mostra a Torino, quelli dei Savoia esposti a Lisbona

Interscambio culturale tra Palazzo Madama e Museu Nacional de Arte Antiga


Bell'esempio di interscambio culturale tra Italia e Portogallo, quello cui hanno dato vita il torinese Palazzo Madama-Museo Civico d’Arte Antica e il lisbonese Museo Civico d’Arte Antica che si sono prestati alcune opere d'arte con le quali hanno allestito due Mostre, di recente aperte al pubblico. A Torino sono arrivate 120 opere (dipinti, sculture, manoscritti miniati, oreficerie, disegni e trattati) provenienti da musei, chiese, palazzi e raccolte private portoghesi, esposte nella Mostra “Tesori dal Portogallo. Architetture immaginarie dal Medioevo al Barocco”. Nel frattempo a Lisbona sono approdate un centinaio di opere (dipinti, sculture, mobili, incisioni, libri e altri pezzi del XVIII secolo) raccolte nella Mostra “Saboias reis e mecenas. Turim 1730-1750” (I Savoia re e mecenati. Torino 1730-1750). Questa seconda esposizione è stata realizzata da Palazzo Madama in collaborazione con la Soprintendenza Regionale del Piemonte, mentre la prima è stata curata da António Filipe Pimentel, con la collaborazione di Joaquim Oliveira Caetano.