lunedì 30 aprile 2012

"Cortina de fumaça" al Festival Docucity – Documentare la città (Milano, 2-4 maggio 2012)


Giovedì 3 maggio alle ore 18, nell’ambito del Festival di Cinema Documentario Docucity, avrà luogo la proiezione del film Cortina de fumaça di Rodrigo Mac Niven (2010, 88'). Il motivo conduttore del film afferisce al dibattito droga-proibizionismo, che attraversa la società in prospettiva planetaria in tutte le forme della “filiera” della “maconha” – cannabis (produzione, commercio, consumo, repressione). Al termine del film si terrà un incontro con il giudice brasiliano Rubens Casara (portavoce del LEAP – Law Enforcement Against Prohibition), intervistato e tradotto da Vincenzo Russo, docente di Letteratura Portoghese e Letteratura Brasiliana presso l’Università degli Studi di Milano. L'incontro è organizzato in collaborazione con l'Associazione Vagalume e con il Patrocinio del Consolato Generale del Brasile a Milano.


L’atteggiamento di Mac Niven, giornalista qui al suo primo lungometraggio, è quello dell’indagine “in fieri”, con una ricerca che è indagine conoscitiva multidisciplinare e serie di interrogativi posti alla sfera pubblica. La “cortina di fumo”, espressione visualmente evocata in brevi inserti stile videoclip, è giocata sia sul versante ironico del rimando alla marijuana, oggetto specifico della ricerca, che su quello del velo di pregiudizi che certa politica proibizionista tende ad alzare ad ogni tentativo di aprire un dibattito a 360° sull'argomento. Il viaggio che intraprendiamo, introdotti da una voce fuori campo e con uso di didascalie, si svolge sia nel tempo (la presenza accettata della “maconha” nel corpo di culture come quelle dell’America precolombiana) che nello spazio, per accumulo: oltre 30 incontri, spesso resi nella forma dell'intervista individuale, con personalità pubbliche anche di primo piano di diversi Paesi. Ma anche visite a luoghi sorprendenti come la fiera in Svizzera - dove la marijuana è utilizzata nella composizione dei più svariati prodotti – e al laboratorio dove la pianta è coltivata e trattata su vasta scala.

È però nel legame con la città dell’autore, Rio de Janeiro, che si può individuare il punto di intersezione tra Docucity e Cortina de Fumaça. Lo schermo passa dalle immagini sfocate e accelerate di realtà metropolitane (la dimensione globale del fenomeno “maconha”) alla panoramica” di una favela brulicante: l'introduzione ad un mondo dove il traffico di droga è venuto a costituire un meccanismo più che condizionante, fino a minacciare di inghiottire la stessa realtà urbana. Qui si colloca il nocciolo della domanda che Rodrigo Mac Niven pone in primo luogo al cittadino partecipante, che non voglia essere soggetto passivo di codici interpretativi originati da istanze moraleggianti; questi tendono a produrre infatti una risposta repressiva che si risolve nell'impotenza se non nel proliferare del crimine organizzato, nella corruzione e nella violenza. Il documentario di ricerca di Mac Niven, “classico” nelle sue interviste frontali (dove i dialoghi in lingua originale testimoniano dell'internazionalità del problema) pone così in maniera decisa la questione se la legalizzazione non sia una risposta anche più “produttiva” dal punti di vista della prassi nei confronti del traffico di droga, con un potenziale emancipativo per aree urbane a forte rischio di collasso sociale.

Docucity è un esperimento iniziato nel 2006 dall'intenzione di raccogliere sguardi inediti su città contemporanee, campionandole in base alla loro diversità, alla differenza di storie, universi culturali, lingue, sapori, voci e memorie, per creare una sorta di palinsesto di quello che è oggi il luogo del nostro vivere insieme. Negli anni, alle rassegne didattiche si è aggiunto un concorso per film documentari che è oggi il Festival Docucity. Le proiezioni si svolgeranno presso l’Aula Magna del Polo di Mediazione Interculturale e Comunicazione dell’Università degli Studi di Milano, in Piazza Indro Montanelli 14 a Sesto San Giovanni (MM1 Sesto Marelli) e presso la Mediateca Santa Teresa in via della Moscova 28 a Milano (MM2 Moscova, MM3 Turati). 

Qui potete scaricare il programma completo delle proiezioni. 


venerdì 27 aprile 2012

sabato 21 aprile 2012

Esce in Italia "Il sé viene alla mente" di António Rosa Damásio, neuroscienziato e scrittore portoghese premiato a Venezia


"La mia anima è una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suoni e strida dentro di me: corde e arpe, timpani e tamburi. Mi conosco come sinfonia". Sceglie questa celebre frase tratta dal Libro dell'inquietudine di Fernando Pessoa, il suo illustre concittadino António Rosa Damásio nell'introduzione dell'ultimo libro sulla coscienza "Il sé viene alla mente", appena uscito per Adelphi. Nato a Lisbona il 25 febbraio 1944 dove ha compiuto gli studi fino a laurearsi in medicina all'Università della capitale lusitana, si è poi trasferito negli States: dal 2005 è direttore del Brain and Creativity Institute della University of Southern California dove è professore di neurologia, neuroscienze e psicologia. 
Oltreché neuroscienziato, Damásio è saggista di successo e deve la sua fama soprattutto a "L'errore di Cartesio", uno dei maggiori bestsellers scientifici di sempre (pubblicato nel 2005 da Adelphi), nel quale si contestavano le teorie di separazione tra mente e corpo.

Damásio si trova in questi giorni in Italia: proprio pochi giorni fa ha inaugurato a Venezia la quinta edizione di INCROCI DI CIVILTÀ, Incontri internazionali di letteratura a Venezia, promosso da Comune di Venezia, Assessorato alle Attività Culturali e Università Ca’ Foscari ricevendo il premio Bauer -Ca' Foscari alla Scuola Grande di San Rocco. Tra le motivazioni del riconoscimento attribuitogli si citano "le importanti pubblicazioni sulla memoria, sulla fisiologia delle emozioni e sulla malattia di Alzheimer. I laboratori di ricerca che Damásio e sua moglie Hanna hanno realizzato all'Università dello Iowa sono considerati ormai un punto di riferimento per lo studio dei fenomeni nervosi alla base dei processi cognitivi."
In occasione dell'uscita del nuovo libro e della premiazione,il neuroscienziato e scrittore portoghese ha rilasciato numerose interviste in Italia.

Alla domanda di Marco Filoni su Repubblica circa la scelta di aprire il libro con la frase di Pessoa, Damásio ha risposto:"Sono portoghese e Pessoa fa parte della mia cultura. E l'analogia con l'orchestra ci spiega bene cosa sia la vita umana. Pensiamo a un brano da suonare. C'è un progetto da realizzare, il brano stesso, poi c'è il direttore d'orchestra, i musicisti, ecc. Ma affinché il progetto si realizzi non basta suonare le note nel modo corretto: ci sono anche i tempi da rispettare, la linea verticale della partitura. Ecco, la vita umana è un po' la stessa cosa". Intervenendo alla trasmissione Radio3Scienza, a proposito degli eteronimi creati da Pessoa ha tra l'altro affermato: "Secondo alcuni era un personaggio folle con personalità divisa e vari sé che convivevano. Io invece credo fosse un artista di grande intelligenza, il quale ha costruito vari personaggi all'interno di una trama ben controllata. Non si trattava di una personalità multipla hollywoodiana -ha aggiunto- piuttosto di un grande artista che ha rivelato la possibilità,insita anche nell'uomo comune, di tenere dentro di sé vari personaggi, di poter capire e immaginare la vita degli altri".

Con "Il sé viene alla mente", che segue a "Emozione e Coscienza" e "Alla ricerca di Spinoza" (editi sempre da Adelphi rispettivamente nel 2000 e nel 2003), il saggista chiude il ciclo avviato da "l'Errore di Cartesio.
"In questo densissimo libro -si legge sul risvolto di copertina- approda a una sorta di summa della sua ricerca trentennale, dove i fondamenti di quella prospettiva antidualistica che lo ha reso celebre (si pensi al legame tra regioni cerebrali «arcaiche», come l'amigdala, e più recenti, come la corteccia prefrontale, nella genesi delle scelte morali e dei processi decisionali) sono integrati da nuove e complesse sequenze: quella sull'incidenza delle emozioni e dei sentimenti primordiali (il piacere e il dolore) come ponti connettivi tra il proto-sé e il sé; quella sul discrimine tra percezione e rappresentazione degli eventi interni ed esterni al nostro corpo come base biologica, unitamente alla memoria, nella costruzione dell'identità individuale; e in particolare – frutto di una personalissima ricerca di unità ispirata alla rilettura di Spinoza – quelle sulle varietà fenomeniche di coscienza, che nella comparazione tra gli esseri umani e gli altri animali (a cominciare dai primati) o nelle differenze tra lo «stato» dei bambini nati senza corteccia e quello del coma vegetativo degli adulti mostrano un'infinita gamma di sfumature percettive e cognitive, insieme avvincenti e inquietanti."

giovedì 19 aprile 2012

Il Mozambico di Mauro Pinto vincitore al BesPhoto 2012


Mauro Pinto, nato nel 1974 a Maputo,  è il nuovo vincitore del BesPhoto, il più importante premio di fotografia portoghese, del valore di 40 mila euro. Per la prima volta, dopo l’apertura dello scorso anno a fotografi provenienti dal Brasile e dai PALOP (Países Africanos de Língua Oficial Portuguesa),  il premio è stato assegnato, all’unanimità, a un artista non portoghese.

Le fotografie presentate al concorso rappresentano una selezione di 12 fotografie appartenenti ad un più ampio progetto, intitolato Dá Licença. Il progetto racchiude oltre mille immagini, realizzate nell’emblematico Bairro da Mafalala, quartiere da cui passarono numerosi personaggi chiave dell’indipendenza mozambicana, come Samora Machel, Chissano, Marcelino dos Santos, ma anche Eusébio e Craveirinha.  Secondo il quotidiano Público, il Bairro da Mafalala è diventato, con il passare del tempo, una bizzarra meta turistica della capitale mozambicana. 

Gli scatti di Mauro Pinto, lontani dall’artificiosità delle opere presentate dagli altri concorrenti, non ritraggono persone, ma si soffermano sugli interni delle abitazioni: pavimenti di cemento, tetti e pareti di lusalite, sedie e tavoli di plastica, divani completamente sventrati. Nelle motivazioni finali, la giuria ha affermato che “questa serie rivela l’attenzione dell’artista alla realtà delle persone che vivono negli spazi rappresentati e trasmette, allo stesso tempo, una prospettiva storica e sociologica della realtà contemporanea mozambicana”. 


lunedì 16 aprile 2012

"A Mãe que Chovia", l'ultima incursione di Peixoto nel mondo della letteratura infantile

Dalla narrativa (si pensi ai romanzi, solo per citarne alcuni, «Nenhum Olhar», «Cemitério de Pianos», «Livro», «Abraço»…) alla poesia (con «Gaveta de Papéis»), l’ultima incursione di Peixoto è nel mondo della letteratura infantile con «A Mãe que Chovia», pubblicato dalla casa editrice portoghese Quetzal. Una storia semplice e al tempo stesso geniale, che aiuta a comprendere il vero significato dell’altruismo e della condivisione.

In A Mãe que Chovia, illustrato da Daniel Silvestre da Silva, Peixoto racconta la storia del figlio della pioggia. Il piccolo giocava con la mamma, si scambiavano coccole e tenerezze. Ma la mamma, che era Mamma Pioggia, andava e veniva e, con l’avvicinarsi dell’Estate, si spostava verso paesi lontani. Come la pioggia se ne andava, la nostalgia arrivava. Il bambino piangeva e piangeva, e anche la madre piangeva, con l’unica differenza che le lacrime della madre erano gocce che cadevano dal cielo. Ogni Autunno, la Mamma Pioggia ritornava e incontrava il ragazzino, ogni anno sempre un po’ più grande e sempre un po’ meno disposto a parlare e a giocare. Il suo piccolino cominciava a crescere, ma non riusciva ad abituarsi agli addii. Voleva che la Mamma fosse sempre con lui, voleva che fosse sempre accanto a lui per dargli una mano, come tutte le altre mamme del mondo. Ogni volta le chiedeva di non partire: “Mamma, non andare. Per favore, non andare via”. Fino a che Mamma Pioggia, con il cuore pieno di commozione, decise di restare. Arrivò però l’Estate, che non fu per niente contenta che tutti i suoi giorni fossero bagnati dalla Pioggia, e chiese aiuto al Vento, per cacciarla via. E così, Mamma Pioggia fu obbligata a partire di nuovo, verso paese distanti, e a lasciare di nuovo solo il povero figlioletto. Arrivò l’Autunno, e con esso Mamma Pioggia. Era entusiasta per il suo ritorno, ma non incontrò il figlio e si disperò. Attraversò con le sue gocce tutte le vie, le piazze, i viali, guardò dentro i camion, le automobili, andò in cerca di suo figlio nei campi di calcio, negli ospedali, nelle stazioni degli autobus, nei cimiteri, nelle discariche. Cercò, cercò… e finalmente lo trovò. Il bambino aveva avuto bisogno di questa lontananza per capire il significato di Mamma Pioggia per la terra: faceva piovere l’amore che dava vita alle piante, le sue gocce riempivano i fiumi e i mari, l’amore di sua mamma si diffondeva nel mondo e lo inondava. “Io sono sicuro di te, tu sei sicuro di me. Mamma, fai piovere Amore dentro di me, fai piovere questa parola anche dentro di me. Tu sei mia mamma e io sono tuo figlio”.
Con una semplicità che disarma, Peixoto ci regala una storia di un figlio che deve imparare a condividere con il mondo ciò che di più prezioso ha. Un esempio di altruismo smoderato. Una storia commuovente, ricca e emozionante, accompagnata da illustrazioni di grande qualità, seppur nella loro semplicità.

venerdì 13 aprile 2012

Uma palavra por semana: "Lusofonia"

“Não tenho sentimento nenhum político ou social. Tenho, porém, num sentido, um alto sentimento patriótico. Minha pátria é a língua portuguesa . Nada me pesaria que invadissem ou tomassem Portugal, desde que não me incomodassem pessoalmente. Mas odeio, com ódio verdadeiro, com o único ódio que sinto, não quem escreve mal português, não quem não sabe sintaxe, não quem escreve em ortografia simplificada, mas a página mal escrita, como pessoa própria, a sintaxe errada, como gente em que se bata, a ortografia sem ípsilon, como o escarro directo que me enoja independentemente de quem o cuspisse. Sim, porque a ortografia também é gente. A palavra é completa vista e ouvida. E a gala da transliteração greco-romana veste-ma do seu vero manto régio, pelo qual é senhora e rainha.”
(Bernardo Soares, Livro do Desassossego)

“Luso” deriva dal latino, “lusu”, relativo cioè a lusitano, portoghese; “fonia” deriva dal greco, “fon”, significa parola, voce, suono, lingua, mentre “ia” è un suffisso utilizzato soprattutto per indicare sostantivi astratti e che designano una qualità, un difetto, uno stato. Secondo l’origine della parola dunque, lusofonia indica la qualità astratta del lusofono che ha la capacità di parlare la lingua dei lusi, ovvero la lingua dei portoghesi.
Lusofonia è il concetto che unisce più di 180 milioni di persone che parlano il Portoghese in tutto il mondo: esso prova a definire uno spazio di patrimonio linguistico, culturale, filosofico nella attualità dei paesi e delle comunità che si esprimono attraverso la lingua portoghese. Innanzitutto questo spazio viene segnalato da una storia comune e contraddittoria: l’espansione marittima portoghese e la formazione dell’Impero portoghese nei secoli XV e XVI. Il Portogallo ha lasciato tracce della propria presenza nei quattro angoli del mondo, dallo Sri Lanka al Giappone, dalla Tailandia alla Malesia, oltre che in Brasile e in diversi stati africani. Oggi sono otto le nazioni indipendenti che utilizzano il portoghese come lingua madre, di comunicazione internazionale, di scienza, di cultura, di istruzione formale: Angola, Brasile, Mozambico, Capo Verde, Guinea-Bissau, São Tomé e Principe, Portogallo.
Citiamo di seguito alcune parole legate al concetto di lusofonia tratte dal Dicionário de Língua Portuguesa, (1999, Porto Editora):
LUSÍADA: discendente dei lusi, lusitano, portoghese
LUSITÂNIA: una delle tre provincie in cui era divisa la Penisola Iberica al tempo dei romani
LUSITANISTA: colui che studia la lingua, la cultura e la letteratura lusitane
LUSÓFONO: riferito a un paese, o a un popolo, la cui lingua ufficiale è il portoghese

venerdì 6 aprile 2012

Da maggio in libreria, "Le nuvole di Timor" di Marco Ferrari

Un viaggio di iniziazione alla ricerca di un fratello sconosciuto sull’isola di Timor, nell’Oceano Indiano, ultimo scalo dell’estinto impero portoghese.
Enrico è un indolente professore romano di Storia del cinema e l’inaspettata confessione della madre malata gli svela l’esistenza di un fratello, ormai adolescente, che vive nell’inferno di Timor Est – paese sull’isola di Timor, nell’Oceano Indiano –occupato dagli indonesiani. A quel punto, per compiere la missione affidatagli, dovrà intraprendere un viaggio verso quell’isoletta dimenticata da Dio, l’ultimo scalo dell’estinto impero portoghese. L’avventura si rivelerà un percorso picaresco e quasi surreale tra spie di professione, preti coraggiosi, nostalgici della monarchia, commercianti genovesi, gruppi armati e inquietanti generali, per poi arrivare a un ricongiungimento finale dal sapore dolceamaro. La narrazione scorre su due piani paralleli, fra le tormentate vicende del piccolo Manuel Martinho Casimiro Pinto da Costa e della sua stramba compagnia di parenti e amici dell’inesistente villaggio di Dato, in perenne fuga dagli occupanti di Timor Est, e il cammino intrapreso da Enrico, costretto a fare i conti con la propria inadeguatezza, assistito dall’amica Jolanda, che invece mostrerà un’inaspettata adattabilità a quei luoghi e a quelle situazioni estreme.
Ambientato nell’ultimo periodo del dominio indonesiano, alla fine del Novecento, questo libro è allo stesso tempo un romanzo d’impegno e la narrazione umoristica di un destino iniquo e distorto, che sta a ricordare gli errori del colonialismo, le sue dimenticanze e i suoi abbandoni.
L’autore amplifica qui sia i temi lusofoni sia i toni pungenti del suo romanzo più noto, Alla rivoluzione sulla Due Cavalli, da cui ha tratto la sceneggiatura dell’omonimo film che ha vinto il Pardo d’Oro al Festival di Locarno del 2001.
Marco Ferrari (La Spezia, 1952), a lungo inviato speciale di un importante quotidiano nazionale, ha esordito nella narrativa con il romanzo Tirreno (Editori Riuniti, 1988). Ha quindi pubblicato I sogni di Tristan (1994),Grand Hotel Oceano (1996) e Ti ricordi Glauber (1999), tutti presso l’editore Sellerio. Con Alessandro Benvenuti ha firmato La vera storia del mitico undici (Ponte alle Grazie, 1998). Dal suo romanzo più famoso, Alla rivoluzione sulla Due Cavalli (Sellerio, 1995), ha tratto la sceneggiatura dell’omonimo film che ha vinto il Pardo d’Oro al Festival di Locarno del 2001. Nel 2004 ha pubblicato Cuore Atlantico e nel 2009 Morire a Clipperton, entrambi editi da Mursia.

Le nuvole di Timor
Autore: Marco Ferrari
Edizioni Cavallo di Ferro
In libreria dal 10 maggio 2012