venerdì 29 marzo 2013

DREAM, il progetto-sogno anti AIDS partito dal Mozambico, nell'avventuroso racconto di un medico euroafricano


Si chiama DREAM, ma non significa sogno, anche se mai acronimo sia parso più appropriato.  Infatti DREAM, acronimo di Drug Resource Enhancement against AIDS and Malnutrition, rappresenta anche un sogno ambizioso -cercare di fare uguaglianza tra Nord e Sud del  mondo- in gran misura realizzato. Stiamo parlando di un progetto nato in Mozambico nel 2002 per poi estendersi in molti Paesi africani, tra cui Angola e Guinea Bissau, dove ha sortito effetti portentosi sul difficile cammino della lotta contro l'Aids e la malnutrizione.

 
Non è un caso che il programma sia partito dal Mozambico, visto che porta la firma della Comunità di Sant'Egidio, storicamente legata all'ex colonia portoghese da un  lungo e speciale rapporto che va dagli aiuti umanitari inviati nei primi anni ’80, alla mediazione ufficiale tra guerriglia e governo sfociata nell’Accordo di pace firmato a Roma il 4 ottobre 1992. A ripercorrere gli avventurosi passi compiuti in prima persona per tradurre il progetto in realtà è uno degli ideatori: il medico Michelangelo Bartolo, di professione angiologo presso il San Giovanni di Roma dove dirige il reparto di Telemedicina, partito volontario per una prima missione esplorativa già nel 2001.

Bartolo ha raccolto la sua poderosa esperienza nel volume La nostra Africa - cronaca di un medico euroafricano (Gangemi Editore), riuscendo ad appassionare, commuovere e persino divertire, tanto da  vincere il primo premio narrativa del concorso Mario Soldati 2012.  Di ritorno da Maputu e Beira, dove sono attivi centri di cura sia per persone malate sia per prevenire il contagio tra madre e bambino, il medico è stato ospite il 23 marzo u.s. della trasmissione "Uomini e profeti" di Radio3, nella puntata dal titolo "Mali d'Africa". Alcuni suoi racconti hanno toccato temi cari a "Ildiario portoghese" che volentieri li riprende nel suo blog. 

Bartolo, ad esempio, sottolinea il grande cambiamento culturale avvenuto in Mozambico dagli inizi, quando il Paese pilota del programma era appena uscito dalla guerra con un milione di morti, ad oggi. Ecco come descrive quel primo impatto: "Ero partito con l’idea di andare a fare il medico, invece mi sono trovato a fare un po' di tutto, anche passare una ventina di giorni nel porto di Maputo combattendo con la burocrazia per sdoganare il container che conteneva le apparecchiature necessarie ad allestire il laboratorio di biologia molecolare. Un tempo la popolazione era diffidente -spiega-  perché non sapeva che l'AIDS si può curare. In pratica, fare il test equivaleva a sentirsi condannati a morte, perciò lo si evitava.

"Oggi sono gli stessi malati, risanati dopo le terapie con farmaci antiretrovirali, i migliori testimonial dell'efficacia. Uno fra tutti, Joao: la prima volta -ricorda Bartolo- arrivò al centro trasportato in carriola perché debolissimo. Dopo quattro mesi non lo riconoscevo nemmeno: camminava! Dopo sei mesi ha iniziato a lavorare con noi, fa il magazziniere ma tiene anche incontri coi malati, da incoraggiare a seguire il suo esempio".

Tra le più efficaci testimonial del programma il medico cita il gruppo di donne attiviste DREAM (Mulheres de Sonho in Mozambico) che, sottopostesi alla terapia, hanno partorito una generazione di figli liberi da Hiv e che vengono spesso inviate a parlarne nelle emittenti radio-tv di vari Paesi africani e addirittura all'Onu. L'attivista mozambicana Artemisa Chizian, coordinatrice del centro nutrizionale di Matola, in un'intervista  del gennaio scorso all'Osservatore Romano ha detto: "si tratta di un compito delicato, perché ci relazioniamo direttamente con i pazienti, lavorando in prima linea. Incoraggiamo e appoggiamo i malati e le loro famiglie. Il maggiore successo è stato far nascere diecimila bambini sani in Mozambico da madri sieropositive, come pure aver salvato le madri grazie alla terapia antiretrovirale. È come la mia storia".

Per saperne di più
La nostra Africa: Blog Ufficiale di Michelangelo Bartolo

domenica 24 marzo 2013

Antonio Tabucchi, il più portoghese degli scrittori italiani, così spiegava la sua doppia appartenenza


Nell'imminenza del primo anniversario della scomparsa di Antonio Tabucchi, avvenuta il 25 marzo 2012 a Lisbona, si affollano i ricordi e le commemorazioni di un autore tra i più amati. Il diario portoghese, nel rispetto dello spirito del blog, sceglie di onorare il grande scrittore italiano di nascita, ma portoghese di adozione, cogliendo una sua diretta testimonianza a proposito del legame fortissimo che strinse col Paese lusitano. L'opportunità è data dalla pubblicazione sul sito online Giangiacomo Feltrinelli Editore, di una conversazione per la rivista Magazine Litteraire, svoltasi nel 1997 fra Tabucchi e Fabio Gambaro in francese, ora tradotta in italiano.
Pescando fior da fiore nella lunga intervista, spicca questa domanda di Gambaro: "Tutti sanno del suo attaccamento al Portogallo, al punto che lei viene considerato il più portoghese degli scrittori italiani. È vero che la sua passione per questo paese è nata in Francia in modo del tutto casuale?"

Così risponde lo scrittore: "Assolutamente. Nel 1964, senza idee chiare sul mio futuro, trascorsi un anno a Parigi per seguire dei corsi di filosofia alla Sorbona. Al momento di rientrare in Italia, comprai un libricino da un venditore di libri usati. Era Bureau de tabac di Pessoa, un autore di cui non avevo mai sentito parlare. Non sapevo una parola di portoghese e quindi lo lessi in francese sul treno che mi riportava a casa. Lo trovai straordinario. In seguito, mi iscrissi alla facoltà di lettere di Pisa, dipartimento di filologia, dove si potevano seguire dei corsi di portoghese. Poi, la vita ha fatto il resto."

"Al punto che – incalza l'intervistatore – lei ha scritto Requiem direttamente in portoghese…"

"Io e il portoghese – precisa Tabucchi – ci siamo adottati vicendevolmente. Scrivere un testo letterario in una lingua diversa dalla propria è un’esperienza molto importante. È come un battesimo. Si provano emozioni nuove, perché ogni lingua porta in sé un bagaglio emotivo diverso. E dopo che si è scritto un romanzo in un’altra lingua, non si può più dire che questa lingua non ci appartiene. L’appropriazione diventa totale. A partire da quel momento si hanno due lingue."

"Come vive – chiede ancora Gambaro – questa doppia appartenenza alla cultura italiana e portoghese?” Risponde Tabucchi: "È una fonte di arricchimento continuo, poiché ognuna delle due culture e delle due lingue ha una propria verità. Poco a poco si diventa una terza realtà a cavallo tra le due culture. Si guarda il mondo in modo diverso. Si scopre per esempio che la geografia è sempre un punto di vista relativo. Dall’Italia, Lisbona ci appare all’estremità dell’Europa, viene considerata un punto di arrivo. Ma quando ci si trova lì, ci si rende conto che è una città che invita alla partenza. D’altronde, i portoghesi sono sempre stati delle anime inquiete e dei grandi viaggiatori. Questo spirito vagabondo è un aspetto della cultura portoghese che amo molto e che credo di avere in parte ereditato."

Nella diffusa conversazione, viene a galla un'altra caratteristica squisitamente portoghese dell'autore toscano, ovvero la "dimensione nostalgica" presente nei suoi libri, cui l'intervistatore accenna. A tale riguardo Tabucchi ammette: "E' vero, la nostalgia è molto presente nel mio lavoro. È un sentimento complesso, una nebulosa in cui possono coesistere il rimpianto, il rimorso, il desiderio di ciò che si è perso, la constatazione di ciò che si sarebbe potuto fare e che non si è fatto, di ciò che si sarebbe potuti essere e non si è stati. Ne Il gioco del rovescio c’è un racconto che parla di saudade. Il protagonista vi scopre il viso nascosto di una donna scomparsa. Alla luce di questa rivelazione, egli prova il desiderio irrealizzabile di rivivere la loro storia.


"La saudade – puntualizza lo scrittore – esprime proprio questa nostalgia per ciò che non si è potuto essere. Una situazione con la quale ci confrontiamo di continuo nel corso della nostra vita. Sfortunatamente, dobbiamo sempre fare delle scelte e spesso queste implicano delle rinunce. La realtà è ricca di possibilità infinite, ogni volta che prendiamo una direzione rinunciamo a un’altra. Nei miei libri, parlo spesso del sentimento d’insoddisfazione e di frustrazione generato da queste rinunce."


Ecco il testo integrale della conversazione con Antonio Tabucchi.

domenica 17 marzo 2013

Appuntamento in libreria: "Che parlino le pietre" di David Machado


DAL 28 MARZO IN LIBRERIA

Che parlino le pietre
David Machado

(Cavallo di Ferro, pp.320, euro 16,90, EAN 978 88 79 07 107 9)

 

Il problema della storia è che la possiamo guardare da varie angolazioni e non ci sembrerà mai la stessa. Qualcosa di simile Valdemar imparerà a suo modo, ma forse sarà troppo tardi”.

(David Machado)
 

Durante il tempo del regime militare di Salazar, nel giorno del suo matrimonio, Nicolau Manuel viene portato in commissariato dalla Polizia politica per un interrogatorio e non fa più ritorno. Erano gli anni delle dittature totalitarie, gli anni in cui anche le principali libertà umane erano negate.

Oggi Nicolau è un uomo vecchio, disilluso e disincantato. Trascorre le sue giornate davanti allo schermo di un televisore e custodisce nell’animo un unico grande rimpianto: non avere avuto mai l’opportunità di spiegare a Graça dos Penedo, l’amore della sua vita, il motivo dell’abbandono sull’altare. 

Valdemar, suo nipote, è un giovane adolescente obeso che ama terrorizzare i suoi compagni di scuola e ascoltare la musica di sconosciute band heavy metal con la sua fidanzata anoressica, Alice. Vive le frustrazioni della sua età, in costante conflitto con un padre soffocante e una madre lontana. Determinato a fare luce sul passato doloroso quanto torbido del nonno, Valdemar inizia a curare un diario personale e intraprende un cammino a ritroso sino al fatidico giorno in cui Nicolau Manuel, mezzo secolo prima, venne sequestrato dalla PIDE.

Ne emergerà una narrazione carica di equivoci, destini incrociati, tradimenti e perversioni, attraverso la quale si comprenderà che il passato è l’unica arma per vivere in modo pieno e consapevole il presente.

Che parlino le pietre è un trattato sulla memoria e sulla sua incertezza, sulla verità e la menzogna, sulla sottile linea che le separa. Un romanzo intenso che indaga le debolezze e le sofferenze dell’animo umano, dalla violenza del regime di Salazar alle frustrazioni di un giovane problematico che affronta il duro compito della crescita, nella speranza di un futuro migliore.

Tra ricordi confusi, segreti mai svelati, confessioni, David Machado accompagna il lettore lungo un cammino fatto di opportunità mancate e coincidenze, tessendo le fila di una narrazione coinvolgente in cui la finzione letteraria diventa un’occasione per rivivere una delle pagine più dolorose della Storia portoghese. 

David Machado (Lisbona, 1978) è una delle grandi promesse della letteratura portoghese. Nel 2005 con il racconto per bambini A Noite dos Animais Inventados ha vinto il Prémio Branquinho da Fonseca della Fondazione Calouste Gulbenkian e del quotidiano “Expresso”. Oltre a libri di letteratura infantile, è autore di numerosi racconti, sparsi in antologie e riviste letterarie, pubblicati in Italia, Germania, Regno Unito, Norvegia, Islanda e Marocco. Il suo primo romanzo, Il favoloso teatro del gigante, è stato edito in Italia nel 2009 sempre da Cavallo di Ferro.

Di Il favoloso teatro del gigante hanno scritto:

"In Il favoloso teatro del gigante, David Machado ha creato un mondo barocco e romantico, impastato di realismo magico, dove le cose più incredibili succedono senza che ci sia niente di strano". Pulp

"Favoloso è il romanzo stesso. Di un'allegria contagiosa, con una capacità di incantare il lettore che non si vedeva da tempo" Actual/Expresso, Portogallo

 

martedì 12 marzo 2013

Dulce Pontes torna in Italia: il 30 marzo concerto all'Auditorium Parco della Musica di Roma

L’ultima sua venuta in Italia risale allo scorso mese di novembre, quando Dulce Pontes si esibì sia al teatro Maugeri di Acireale sia al Politeama di Palermo, nell’ambito del festival “il circuito del Mito”. Ma si sa che non è facile assistere ad esibizioni della cantante portoghese, nota sia per aver rilanciato il fado sia per averlo fatto dialogare con altre culture musicali, in Italia.

Per chi si fosse perso gli appuntamenti in Sicilia, ecco una buona notizia: Dulce Pontes sarà a Roma il 30 marzo prossimo con un grande concerto all’Auditorium Parco della Musica-Sala Santa Cecilia. L’Orchestra Roma Sinfonietta, diretta dal M° Paolo Silvestri, accompagnerà le corde vocali cristalline di Dulce Pontes in alcuni dei migliori successi della sua carriera comprendendo canzoni di Joaquin Rodrigo, José Afonso, Francisco Tarrega, Mikis Theodorakis e Astor Piazzolla, tutti arrangiati per orchestra sinfonica appositamente per questo evento dal M° Silvestri.
Per gli appassionati di questa straordinaria interprete, che ha dato nuova vita alla musica tradizionale portoghese riarrangiando vecchie canzoni popolari dimenticate e usando strumenti ormai caduti in disuso, c'è una seconda buona notizia: il concerto di Roma sarà trasmesso in diretta, alle 21 del 30 marzo, su Rai5. Il canale Rai darà così la possibilità di seguirlo in contemporanea, ma anche di registrarlo e di riviverlo comodamente in poltrona,  in qualunque momento.

Il sito di Rai5, nella sua anteprima al programma, pubblica una ricca scheda dedicata a Dulce  Pontes in cui ricorda anche le sue qualità di "compositrice di grande talento", in grado di coniugare la musica popolare portoghese con le  forme espressive della musica contemporanea, tanto da conquistare il maestro Ennio Morricone che l'ha voluta per reinterpretare i suoi temi. Sottolinea inoltre come "la sua ricerca musicale non conosca limiti né geografici né culturali, visto che la Pontes attinge anche da altre fonti di altri Paesi del mondo: quello arabo, africano, brasiliano, e bulgaro".
Del Concerto romano parla anche il " DULCE PONTES co-official web site" che anticipa alcuni brani selezionati per la serata, tra cui: ‘The Ballad of Sacco and Vanzetti’, ‘La luz prodigiosa’ (poema de Lorca ‘Nana del caballo grande’) y ‘A brisa do coraçao’.  E ancora: ‘Os indios da meia praia’, ‘Meu amor em Aranjuez’, ‘Os amantes’, ‘María de Buenos Aires’, ‘Balada para un loco’, ‘Lágrima’, ‘Ondeia’ (piano solista-Dulce Pontes), ‘Bailados do minho’.

"Este concierto -annuncia infine lo stesso sito web attribuendo la notizia a dichiarazioni ufficiali della Pontes su Facebook e Twitter- será parte de una edición especial de un DVD-CD. Según ha anunciado, el CD contendrá material inédito. O sea que se tratará de su próximo trabajo discográfico en el que ya está trabajando". 

 

 

sabato 9 marzo 2013

"Io sono favela" viaggia in Italia assieme a Rodrigo Ciríaco (14-18 marzo)


Dal 14 al 18 marzo il volume di racconti Io sono favela, appena pubblicato da Anacaona Editions, viaggia in Italia!
Venite a scoprire la nuova scena letteraria brasiliana negli incontri con lo scrittore e professore militante brasiliano Rodrigo Ciríaco
!

Ecco tutti gli appuntamenti:

14 marzo, alle 21h: Libreria Modo InfoShop di Bologna (via Mascarella 24b, Bologna)
15 marzo, alle 18h30: l'Associazione Griò organizza l’incontro “Un libro, un traduttore” presso la Biblioteca Ruffilli (vic. Bolognetti 2, Bologna)
16 marzo, alle 18h: Libreria Ubik di Schio (Palazzo Toaldi Capra, via Pasubio 52, Schio (VI))
17 marzo, alle 17h: Tasselli d’Arte: Scenari Latino Americani (Triennale di Milano, viale Alemagna 6, Milano)
18 marzo, alle 12h30: l’Università degli Studi di Milano presenta “Eu sou favela: la favela come Topos letterario” (Università degli studi di Milano, sala A4, Piazza S. Alessandro 1, Milano)

Maggiori informazioni su www.iosonofavela.it

Io sono favela

Uno sguardo inedito sulla favela, sul suo quotidiano e le sue storie
Una raccolta di racconti scritti da nove autori della nuova scena letteraria brasiliana: Ferréz, Rodrigo Ciriaco, Buzo, Sacolinha, Marçal Aquino, Victoria Saramago, Marcelino Freire, Carrascoza, Ronaldo Bressane.Le foto di Eric Garault accompagnano le parole.
A cura di Paula Anacaona. Traduzione italiana di Matilde Maini.


 

mercoledì 6 marzo 2013

Novità Urogallo: "Non si scrivono più lettere d'amore", di Mário Zambujal


Mário Zambujal,

Non si scrivono più lettere d'amore

Copertina dell'edizione portoghese
(Urogallo, 164 pp., 13,00 €, traduzione dal portoghese di Angela Fedele)


Duarte è un giovane viveur che, tra le notti di glamour passate nel Gran Casinò Internazionale di Monte Estoril, i pomeriggi di caffè allo Chave d’Ouro, al Palladium o al Martinho del Rossio e la vita bohémienne dei night club della capitale, vede il suo cuore travolto da una giovane alta, snella, bionda e dal sorriso luminoso, che risponde al nome di Erika.
Mário Zambujal ci riporta, in questo romanzo dalla prosa chiara e originale, intrisa di humour, immaginazione e sensibilità, in un viaggio di immagini e memorie, alla Lisbona degli anni ‘50. Un’epoca di appetiti ed eccessi. Di passioni e sventure. Era un tempo in cui c’era tempo. Si scrivevano addirittura lettere d’amore.


A un certo punto, decisi che non potevo rimanere tutta la notte impalato; feci appello al mio poco coraggio e mi dissi: «E sia quel che Dio e lei decideranno». Mi avvicinai lesto al tavolo di Erika e, una volta lì, mi assalì una sensazione di sconfitta e di ridicolaggine. Alla fine balbettai: «Non ha voglia di ballare con me, vero?». Forse saranno stati pochi secondi, durante i quali tutti mi guardarono zittiti, ma a me sembrò un tempo immenso e sinonimo di disapprovazione. Il gelo, se lo era, venne rotto dalla grossa risata dell’avvocato, seguita da un rimprovero: «Quanta timidezza! E che pessimismo, mio giovane amico! Per quale motivo Erika non dovrebbe ballare con lei?».


Mário Zambujal, nato a Moura nell’in­terno dell’Alentejo nel 1936, è prima di tutto uno dei più famosi giornalisti spor­tivi portoghesi. Continua infatti a definir­si «un giornalista che scrive per diletto», malgrado abbia al suo attivo una decina di titoli di narrativa che hanno ottenuto un notevole successo di pubblico. Autore di grande ironia, riesce spesso a raccontare la quotidianità di una certa Lisbona in ma­niera più azzeccata di tanti altri scrittori contemporanei.

 
 
 

venerdì 1 marzo 2013

Con la Mostra itinerante “Crianças Cáritas” il Portogallo rivive una pagina solidale del dopoguerra

Il Portogallo rivive in questi mesi una pagina di storia di oltre mezzo secolo fa, bella e solidale, altrimenti destinata all'oblio perchè poco nota sia all'interno del Paese e ancor più all'estero. E' una storia che risale all'immediato dopoguerra, tanto piena di generosità e fratellanza da aver spinto i protagonisti a rivisitarla e a suggellarla con rinnovati impegni. Parliamo dell'esperienza vissuta tra il  1947 eil 1952, quando circa 55mila bambini austriaci ebbero modo di sfuggire temporaneamente alla fame, al freddo e alle gravi conseguenze della Grande Guerra perché accolti da famiglie portoghesi per alcuni mesi o per qualche anno.
Questo Paese tanto a sud dell'Austria, rimasto neutrale nella seconda Guerra Mondiale e pertanto in condizioni meno disagiate, apparve alla moltitudine di bambini ancora frastornati da violenza e distruzione, o addirittura orfani del padre caduto nei combattimenti, una sorta di paradiso.
 
Certo, arrivarci non era facile. Anzi, il viaggio era lungo e impegnativo: dapprima confluivano dalle diverse località austriache fino a Vienna, poi in  treno si trasferivano a Genova e da lì s'imbarcavano sulla nave che li avrebbe condotti fino a Lisbona. Per lo più traumatico si rivelava l'incontro col mare, quasi mai calmo, per non parlare delle forti correnti dello stretto di Gibilterra.  A confortare i bambini in viaggio erano sempre i loro accompagnatori: i funzionari della Caritas, allora promotrice del programma di accoglienza e anche oggi tra i protagonisti delle manifestazioni in corso in Portogallo. Ruolo importante nella commemorazione lo svolge l'ambasciata d'Austria, cui si deve la mostra  itinerante "Crianças Cáritas” che dal Centro Cultural de Belém di Lisbona prosegue per Porto, Évora e Algarve, ripercorrendo i luoghi interessati da quella esperienza e rinverdendo la memoria grazie alle foto e alle documentazioni esposte.
 
Ma non è solo commemorazione: contestualmente le Caritas di Austria e Portogallo hanno lanciato un'iniziativa chiamata  "Acção Crianças Cáritas Portugal” la cui raccolta di fondi, per la maggior parte austriaci, servirà ad aiutare i bambini portoghesi di famiglie attualmente in difficoltà  a causa della crisi economica. Un segno tangibile di riconoscenza e un modo per ricambiare oggi la generosità di allora. Di queste iniziative ha parlato parecchio la stampa portoghese, intervistando sia i figli di alcune famiglie ospitanti che consideravano fratelli i bambini austriaci, sia i diretti interessati venuti apposta dall'Austria.
Tra le testimonianze raccolte, alcune curiosità: i bambini più piccoli al rientro non s'intendevano più con la famiglia natale perchè abituati a parlare portoghese; altri scoprirono l'esistenza di cibi mai prima degustati come arance e banane o piatti come la "sopa fria de tomate"; altri si videro trasformati quasi in dei principi nell'indossare i vestiti cuciti apposta per loro; altri ancora si legarono talmente ai luoghi e a quel modi di vivere da decidere di ritornarci stabilmente, una volta diventati adulti.
Non mancano esempi di bambini che, conquistati dall'ospitalità delle famiglie "adottive", chiesero di fermarsi per sempre. Ma lo scopo dell'iniziativa Caritas era circoscritta ad un sostegno temporaneo e le stesse famiglie lo capivano bene. Emblematica, al riguardo, la testimonianza di due protagoniste intervenute all'inaugurazione della Mostra a Lisbona, un'ex "criança austríaca" ora 63enne e la sua "irmã portuguesa”, la quale ricorda ancora la ferma risposta della nonna alla richiesta di esaudire il desiderio dell'ospite di non rientrare in Austria: "uma criança -disse- não se dá".