Nell'imminenza
del primo anniversario della scomparsa di Antonio Tabucchi, avvenuta il 25
marzo 2012 a Lisbona, si affollano i ricordi e le commemorazioni di un autore
tra i più amati. Il diario portoghese, nel rispetto dello spirito del blog,
sceglie di onorare il grande scrittore italiano di nascita, ma portoghese di
adozione, cogliendo una sua diretta testimonianza a proposito del legame
fortissimo che strinse col Paese lusitano. L'opportunità è data dalla
pubblicazione sul sito online Giangiacomo Feltrinelli Editore, di una
conversazione per la rivista Magazine Litteraire, svoltasi nel 1997 fra
Tabucchi e Fabio Gambaro in francese, ora tradotta in italiano.
Pescando
fior da fiore nella lunga intervista, spicca questa domanda di Gambaro:
"Tutti sanno del suo attaccamento al Portogallo, al punto che lei viene
considerato il più portoghese degli scrittori italiani. È vero che la sua
passione per questo paese è nata in Francia in modo del tutto casuale?"
Così
risponde lo scrittore: "Assolutamente. Nel 1964, senza idee chiare sul mio
futuro, trascorsi un anno a Parigi per seguire dei corsi di filosofia alla
Sorbona. Al momento di rientrare in Italia, comprai un libricino da un
venditore di libri usati. Era Bureau de
tabac di Pessoa, un autore di cui non avevo mai sentito parlare. Non sapevo
una parola di portoghese e quindi lo lessi in francese sul treno che mi
riportava a casa. Lo trovai straordinario. In seguito, mi iscrissi alla facoltà
di lettere di Pisa, dipartimento di filologia, dove si potevano seguire dei
corsi di portoghese. Poi, la vita ha fatto il resto."
"Al
punto che – incalza l'intervistatore – lei ha scritto Requiem direttamente in portoghese…"
"Io
e il portoghese – precisa Tabucchi – ci siamo adottati vicendevolmente.
Scrivere un testo letterario in una lingua diversa dalla propria è
un’esperienza molto importante. È come un battesimo. Si provano emozioni nuove,
perché ogni lingua porta in sé un bagaglio emotivo diverso. E dopo che si è
scritto un romanzo in un’altra lingua, non si può più dire che questa lingua
non ci appartiene. L’appropriazione diventa totale. A partire da quel momento
si hanno due lingue."
"Come
vive – chiede ancora Gambaro – questa doppia appartenenza alla cultura italiana
e portoghese?” Risponde Tabucchi: "È una fonte di arricchimento continuo,
poiché ognuna delle due culture e delle due lingue ha una propria verità. Poco
a poco si diventa una terza realtà a cavallo tra le due culture. Si guarda il
mondo in modo diverso. Si scopre per esempio che la geografia è sempre un punto
di vista relativo. Dall’Italia, Lisbona ci appare all’estremità dell’Europa,
viene considerata un punto di arrivo. Ma quando ci si trova lì, ci si rende
conto che è una città che invita alla partenza. D’altronde, i portoghesi sono
sempre stati delle anime inquiete e dei grandi viaggiatori. Questo spirito
vagabondo è un aspetto della cultura portoghese che amo molto e che credo di
avere in parte ereditato."
Nella
diffusa conversazione, viene a galla un'altra caratteristica squisitamente
portoghese dell'autore toscano, ovvero la "dimensione nostalgica"
presente nei suoi libri, cui l'intervistatore accenna. A tale riguardo Tabucchi
ammette: "E' vero, la nostalgia è molto presente nel mio lavoro. È un
sentimento complesso, una nebulosa in cui possono coesistere il rimpianto, il
rimorso, il desiderio di ciò che si è perso, la constatazione di ciò che si
sarebbe potuto fare e che non si è fatto, di ciò che si sarebbe potuti essere e
non si è stati. Ne Il gioco del rovescio c’è
un racconto che parla di saudade. Il protagonista vi scopre il viso nascosto di
una donna scomparsa. Alla luce di questa rivelazione, egli prova il desiderio
irrealizzabile di rivivere la loro storia.
Ecco il testo integrale della conversazione con Antonio Tabucchi.
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