domenica 15 giugno 2014

Brasile e passione per il calcio: la raccontano gli scatti fotografici dei bambini della Cidade de Deus




Il progetto del reporter francese Christophe Simon (AFP), residente a Rio, che insegna loro la tecnica

 


“Nelle favelas brasiliane i bambini giocano a calcio tutto il tempo, ovunque. Con palloni bucati, in campi improvvisati polverosi, contro i muri delle case. In previsione del Mondiali 2014, ho cercato una maniera d'illustrare le origini di questo fervore dei brasiliani per il calcio. E, per farlo, cosa di meglio che domandare a una manciata di bambini delle favelas di farmi vedere la loro passione con loro stesso sguardo?”.  

Partendo da questa considerazione un reporter francese, dal 2011 trasferito a Rio de Janeiro dove lavora come responsabile locale della prestigiosa AFP (Agence France-Presse), ha avuto un’idea destinata a far parlare di sé ben oltre il Brasile. Christophe Simon, questo il nome del fotografo, dal suo arrivo a Rio già aveva avuto numerose occasioni per immortalare le operazioni di polizia tese a migliorare l'immagine della città (le cosiddette “operações de pacificação”) in vista dei Mondiali e delle Olimpiadi, battendo i quartieri delle favelas armato del suo apparecchio fotografico.  Immancabilmente veniva circondato da nugoli di bambini che apparivano affascinati dal suo lavoro, lo seguivano dappertutto e gli ponevano mille domande. Avendo da poco compiuto i 50 anni, Christophe ha cominciato ad avvertire il desiderio di trasmettere la sua esperienza a qualcuno più giovane di lui. Così è nato il suo progetto, da cui noi del “diario portoghese” siamo rimasti favorevolmente colpiti, tanto da desiderare di condividerlo coi nostri lettori. Per farlo, usiamo come traccia il racconto autobiografico che lo stesso Simon fa nel Blog Making-of de l'AFP.

Andiamo per gradi: per prima cosa un’importante casa produttrice di apparecchi fotografici, contattata espressamente dall'AFP, ha messo a  disposizione una dozzina di apparecchi. In secondo luogo Chistophe ha avuto la fortuna di simpatizzare con il titolare di uno studio fotografico di una delle favela più note di Rio - la Cidade de Deus, immortalata dal film omonimo di Fernando Meirelles - un certo Tony Barros. È stato proprio Tony a reclutare i volontari apprendisti fotografi, tra i dieci e  i quindici anni di età. Poi a Simon e Barros si è aggregata Nadine Gonzales, una cittadina francese che nella favela ha fondato una scuola di moda (Association Modafusion) per giovani talenti brasiliani. Questa piccola troupe ha cominciato a muoversi assieme ai ragazzini, ciascuno armato di macchina fotografica, con uno scopo ben preciso: cogliere delle immagini aventi per tema il calcio. Per oltre tre mesi e mezzo Tony si è assunto il ruolo di accompagnare i gruppi lungo i vicoli di uno dei quartieri definiti “disagiati”, da lui ben conosciuto, riuscendo così anche a sbrogliare situazioni complicate. 

“Quasi ogni fine settimana, dopo il febbraio 2013 -racconta Chistophe Simon- si andava in giro a gruppi di 10-12 ragazzini. Le sessioni duravano tre/quattro ore, talora giornate intere. Non era facile organizzarle. Ogni volta bisognava andare a prendere a casa i bambini e riaccompagnarli alla fine. Ho dato loro -spiega- dei rudimenti di base del mestiere, come la proibizione di far mettere in posa qualcuno (cosa difficile da applicare in un Paese dove la gente adora farlo) e di usare il flash. L'esperienza - aggiunge- è stata appassionante e il risultato sorprendente. Che i ragazzi siano stati capaci di realizzare foto tanto buone, mi ha meravigliato. Se avessi deciso di trattare quei soggetti da solo, avrei utilizzato i miei codici personali, il mio sguardo. Qui, dei ragazzi hanno avuto la possibilità di mostrare i luoghi in cui vivono e l'origine della loro passione per il calcio”.  

“Il risultato, credo, è più che sincero. Al tempo stesso, mentre all'inizio pensavo che fossero loro a farmi scoprire qualcosa, mi sono sorpreso spesso a considerare -afferma ancora Simon- che ero io ad aprire gli occhi dei miei allievi. Le favelas hanno le loro leggi non scritte. Per esempio tutti sanno nella Cidade de Deus è meglio non occuparsi di ciò che accade ai propri vicini. Io non conoscevo questa legge: arrivavo col mio sguardo nuovo e facevo scoprire loro cose che avevano sempre sotto gli occhi, senza vederle mai. La loro favela, benché sia stata ufficialmente pacificata, non è diventata un luogo di tutto riposo. A più riprese siamo finiti in mezzo a  trafficanti di droga, per niente affascinati dal vedere improvvisamente tante macchine fotografiche. Ma, grazie all'abile intervento di Tony, questi momenti di tensione non sono mai degenerati. 

“Il turn-over tra i partecipanti è stato importante. A un certo punto il nostro progetto ha cominciato ad essere molto conosciuto nella favela e i candidati hanno iniziato ad affluire. Ma ce n’erano anche di assidui. Tra questi, ho un ricordo eccezionalmente buono di Kuhan, un ragazzo di dieci anni i cui genitori sono crack-dipendenti. Un bambino particolarmente vivace e talentuoso. Della cinquantina di immagini che ho selezionato alla fine del progetto, è lui che incontestabilmente -sentenzia Christophe- ha scattato le migliori”.  

Se anche la storia dell'incontro tra il fotografo francese e i bambini della favela brasiliana appena raccontata finisse qui, potremmo dire che ha portato una nota positiva sul clima, non proprio sereno, dei Mondiali. Ma c’è di più: l'avventura continua, regalando una vera ventata di ottimismo. L'Agence France-Presse e l’Association Modafusion, visto il successo riscosso dal progetto, hanno infatti siglato un accordo per perpetuare l'atelier degli apprendisti fotografi della Cidade de Deus fino ai giochi olimpici di Rio del 2016. Buona fortuna!



Nessun commento:

Posta un commento

Lascia un commento