João
Paulo Borges Coelho, Campo di
transito
Mungau
viene sottratto alla sua vita quotidiana dalle forze di polizia, senza alcuna
spiegazione, né la formulazione di alcuna accusa, per essere condotto prima in
uno stabilimento di detenzione temporanea e poi deportato in un campo di
transito, immerso nelle foreste del Nord del paese. Un romanzo perturbante, venato
di toni kafkiani, sulla rieducazione degli elementi “scomodi” al regime
mozambicano. La fine tessitura della prosa di Borges Coelho, però, ne fa
un’opera universale, godibile ben al di fuori delle frontiere del suo paese
d’origine.
«Guardate
quest’orto qui vicino, l’orto del gruppo del 13.2. Cresce a vista d’occhio,
tutti i giorni il terreno nudo viene trasformato in terra arata e seminata,
terra che darà benefici a quelli che vi hanno investito: bei carciofi e teneri
asparagi. Adesso confrontatela con quella laggiù». […] «Vale la pena tutta
quell’ostinazione individuale? Tanti eccessi, diciamo così, di un singolo? Vale
la pena sfidare da soli la natura?» «No!», rispondono gli alunni prigionieri,
più convinti dopo essere stati dispensati da lui. «Solo nella collettività ci è
possibile vincere la natura!»
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