giovedì 1 settembre 2011

"Capitães da Areia", un film di Cecília Amado


Il prossimo 14 ottobre debutterà nelle sale cinematografiche brasiliane il documentario Capitães da Areia, basato sull’omonimo romanzo di Jorge Amado. Il film, realizzato da Cecília Amado, nipote dello scrittore, e patrocinato dalla RTP e dall’ Instituto do Cinema e do Audiovisual, verrà proiettato in anteprima nel corso del Festival do Rio. Gli attori che interpretano i protagonisti hanno un’età compresa tra i 12 e i 16 anni e sono stati selezionati in diverse ONG di Salvador de Bahia che organizzano corsi di danza, capoeira e teatro. In un’intervista al quotidiano brasiliano O Globo, Cecília Amado ha spiegato di non aver seguito il romanzo alla lettera: “Molte storie sono state riassunte in un solo  sguardo, in un solo personaggio”. Per Tino Navarro, co-produttore, Capitães da Areia racchiude lo sguardo di chi crede che gli uomini siano buoni per natura e che siano invece la fame e l’emarginazione sociale a spingerli a commettere le azioni più indegne, senza, tuttavia, far perdere loro la dignità. Tino Navarro ricorda che questa è la visione tradizionale del neo-realismo, che mette in scena le lotte di classe e i conflitti interni ai gruppi di bambini e ragazzi.
Capitaes da Areia, al contrario di altri film che descrivono la realtà brasiliana, non è caratterizzato da uno sguardo cinico e disincantato: i bambini, benché siano visti come vittime della società,  continuano a rappresentare la speranza in una società migliore. Il lungometraggio verrà proposto anche  nelle sale cinematografiche portoghesi a partire dal mese di novembre ed è solo la prima di una serie di iniziative che verranno organizzate in occasione del centesimo anniversario della nascita di Jorge Amado, che si celebrerà nel 2012.

Il Lecca-Lecca era magro e molto alto, aveva una faccia risucchiata, giallastra, gli occhi cerchiati e fondi, la bocca sottile poco disposta al sorriso. Il Gamba-Zoppa cominciò con uno scherzo, chiedendo se «stava già dicendo le preghiere», poi si mise a parlare del furto dei cappelli; si misero d'accordo che avrebbero portato con sé un certo numero di ragazzini, che scelsero accuratamente, fissarono la zona dove avrebbero agito, e si separarono. […]
Il Gamba-Zoppa restava immobile, a guardare. Il Lecca-Lecca non si muoveva. Solo le sue labbra erano in leggero movimento. Il Gamba-Zoppa era solito burlarsi di lui, come del resto di tutti gli altri del gruppo, incluso il Professore a cui portava affetto, incluso Pedro Proiettile per cui aveva rispetto. Ogni volta che un ragazzo nuovo entrava a far parte dei Capitani della spiaggia, il nuovo venuto si faceva un'opinione negativa del Gamba-Zoppa, pronto a trovargli un nomignolo, a ridere di ogni gesto, di ogni frase della recluta. Metteva tutto in ridicolo, era uno di quelli che più frequentemente si battevano. Aveva anche fama di essere cattivo. Una volta aveva sottoposto a sevizie tremende un povero gatto capitato nel magazzino. Un giorno aveva accoltellato il cameriere di un ristorante solo per portargli via un pollo arrosto. Una volta che aveva un ascesso a una gamba se lo era inciso a freddo col temperino e lo aveva strizzato ridendo sotto gli occhi di tutti. A molti del gruppo non piaceva; ma quelli che passavano sopra a tante cose e diventavano suoi amici dicevano che in fondo era un «bravo tipo». Nel profondo del cuore aveva compassione delle disgrazie di tutti. E ridendo, mettendo in ridicolo, cercava di sfuggire alla sua propria disgrazia. Per lui era come una medicina. Rimase a guardare il Lecca-Lecca che pregava intensamente. Sul viso del compagno in preghiera c'era una sorta di esaltazione, un qualcosa che a prima vista al Gamba-Zoppa era parso allegria o felicità. Ma guardando meglio il volto dell'altro decise che era un'espressione che non sapeva definire; e pensò, contraendo la faccetta minuta, che forse era per quello che a lui non gli era mai venuto di pregare, di rivolgersi a quel cielo di cui parlava tanto il padre José Pedro quando veniva a visitarli. Quello che desiderava lui era un po' di felicità un po' di gioia, sfuggire a tutta la miseria, a tutte le sciagure che li circondavano e li soffocavano. C'era, è vero, la grande libertà delle strade. Ma c'era anche l'abbandono, l'assenza di tenerezza, la mancanza di ogni buona parola. Queste cose Lecca-Lecca le cercava in cielo, nelle immagini dei santi, nei fiori appassiti che portava alla Madonna dei Sette Dolori, come un innamorato romantico di uno dei quartieri chic della città avrebbe portato un fiore alla bella che corteggiava con intenzioni matrimoniali. Ma il Gamba-Zoppa non riusciva a capire come ciò potesse bastare. Quello che lui voleva era qualcosa di immediato, un qualcosa che rendesse il suo viso sorridente e allegro, liberandolo della necessità di ridere di tutto e di tutti. Che lo liberasse, anche, dalla sua angoscia, dalla voglia di piangere che lo prendeva nelle serate d'inverno.
Da Jorge Amado, Capitani della spiaggia, Milano, Garzanti, 2007, traduzione di Elena Grechi.