martedì 29 novembre 2011

Una nuova edizione per "Il libro dell'inquietudine"


Il libro dell’inquietudine è il “Grande Libro” che Pessoa scrisse nel corso di tutta la vita, il progetto mai concluso cui si dedicò dagli anni Dieci al 1934 almeno. “Il libro che Pessoa ha scritto ma non ha mai letto”, secondo la paradossale definizione di Eduardo Lourenço, ci è giunto in forma di centinaia di frammenti che, nella loro grande maggioranza, raccontano l’autobiografia “senza avvenimenti” di Vicente Guedes prima, di Bernardo Soares poi. In particolare Soares, aiuto contabile in una ditta di Lisbona, è l’uomo qualunque, prigioniero della quotidianità, stritolato dal ripetersi di giorni sempre uguali e dalla mediocrità dei colleghi, l’uomo perennemente alla finestra, le cui vie di fuga sono l’arte, il sogno, l’immaginazione. Cinico, a volte freddo, egocentrico ed egoista, Soares scruta dentro di sé con narcisistico, morboso ed esacerbato interesse per le proprie sensazioni. I brani di diario, i cui motivi costanti sono il tedio, la stanchezza, l’inazione, il sogno, la fuga dal mondo reale, la fobia dei rapporti interpersonali, si alternano a riflessioni sull’arte, la politica, la scienza... Ma il Libro non è solo questo: è anche uno scrigno di testi di taglio simbolista, le cui atmosfere rarefatte ci proiettano in un mondo onirico e atemporale molto suggestivo. Esempi di una prosa raffinata, retoricamente elaborata, che in questa nuova edizione, curata da Valeria Tocco, la più filologicamente aggiornata a disposizione del pubblico italiano, rivive in tutta la sua complessità e ricchezza.

Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine, a cura di Valeria Tocco, Mondadori, Milano, 2011.

Prezzo, 11 euro.

lunedì 28 novembre 2011

"Celebrità è plebeismo"

“La lettura”, il nuovo inserto culturale della domenica del “Corriere della Sera”, pubblicava ieri un articoletto di Marzio Breda, La lezione di Pessoa.  Riportiamo qui il breve testo, certi possa essere di interesse per i lettori del nostro blog, oltre a essere di estrema attualità per il nostro Paese.
“Consigli ai politici per una piccola autoterapia durante la tregua offerta loro dal governo Monti: leggere Fernando Pessoa. Per cogliere dalla convivenza degli eteronimi nella sua opera i segreti della «moltiplicazione dei punti di vista» e del rispetto degli altri. Di più: considerare parte della cura la rinuncia alle passerelle in tv, consapevoli che – diceva il poeta portoghese - «celebrità è plebeismo».
Ci sentiamo di accogliere il consiglio del giornalista.
Qui di seguito il testo di Fernando Pessoa, da cui è tratta la citazione.

“La celebrità è un plebeismo. Perciò deve ferire un’anima delicata. È un plebeismo perché lo stare in evidenza, l’essere guardato da tutti infligge, a una creatura delicata, una sensazione di consanguineità esteriore con quelli che provocano scandalo nelle strade, che gesticolano e parlano ad alta voce nelle piazze. L'uomo che diventa celebre perde le sua vita intima: le pareti della sua vita domestica diventano di vetro; è sempre come se il suo abbigliamento fosse eccessivo; e quelle sue minime azioni – stupidamente umane alle volte – che egli avrebbe voluto invisibili, sono filtrate dalla lente della celebrità che ne fa delle spettacolari piccolezze, con la cui evidenza la sua anima si corrompe o si infastidisce. Bisogna essere molto grossolani per potersi tranquillamente permettere di essere celebri […]”.


(Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, Adelphi, Milano 1979, vol. I, pag. 80)

lunedì 21 novembre 2011

Cinema in lingua portoghese a Milano: "Nha Fala" di Flora Gomes

Mercoledì 23 novembre, ore 16.30, proiezione del film "Nha fala" di Flora Gomes (2002).
Aula 9, Piazza S. Alessandro - Università degli Studi di Milano.

La proiezione del film si inserisce all’interno dell’iniziativa “Ciclo di cinema in lingua portoghese – 4 film per 4 nazioni”. Il film sarà presentato in lingua originale, corredato da sottotitoli in italiano, e verrà brevemente introdotto attraverso una adeguata contestualizzazione storico-culturale e una puntualizzazione semantico-linguistica dai docenti delle Cattedre di Lingua e Letteratura Portoghese e Brasiliana.

Colorata e leggera commedia musicale, che attraverso il percorso della giovane africana Vita, esprime l'energia positiva di un continente impegnato a ritrovare la propria voce. Affrontando allegramente la "necessità" della morte e il bisogno di rinascita.

Il giallo e il rosa che colpirono il Pasolini-Edipo quando si spinse in Marocco per distruggere le proprie radici (paterne razionali borghesi,) sono gli stessi che dominano Nha Fala. Ancora più forti perché la Guinea Bissau da cui proviene Flora Gomes è più vicina al ventre umido della Madre Africa origine di Vita, la protagonista, che il padre naturale non l'ha neanche conosciuto e quello "ideale" è un busto (unico corpo inanimato del film) che soltanto alla fine troverà una collocazione.
Partendo da qui il viaggio che compie Vita è inverso, va da sud verso nord, a Parigi, per rompere il leggendario cordone "primitivo, animista" ereditato dalle donne della sua stirpe: non cantare mai (nha fala in creolo portoghese significa la mia voce). I contrasti e le scissioni non si risolvono negli accecanti bagliori di morte ma si sciolgono nel sorriso e nella voce della bellissima Fatou N'Diaye, che non "uccide" per annientare ma per avviare il ciclo di rinascita.
Nell'opera di Flora Gomes riesce quell'unione tra la linearità occidentale-cristiana e la ciclicità naturale rappresentata attraverso il funerale del vecchio vicino di casa di Vita Sonho (morto nel sonno ma anch'egli pronto a rinascere), che per Edipo (essenza della nostra cultura) risulta persa nell'eterna cecità.
Nha Fala traspone la speranza-poetica del regista guineano di trovare un equilibrio tra i due volti dell'Africa, continente "sospeso tra il peso delle origini e la forza dei suoi desideri, fra colonizzazione e indipendenza, fra tradizione e modernità". Flora Gomes disegna un percorso equilibrato e intriso di senso che trova la sua forma nell'aristotelica perfezione circolare. Contemporaneamente prova a gettare un ponte culturale tra (ex) colonizzati e colonizzatori, in perfetta armonia con la colonna sonora di Manu Dibango, in cui si uniscono ritmi afro e sonorità mediterranee, e con il volto della franco-senegalese Fatou N'Diaye (infatti Vita si innamora del musicista parigino Pierre).

Fonte: Sentieri selvaggi. Articolo del 31/08/2002 di Fulvio Baglivi (Venezia 59).

sabato 19 novembre 2011

Presentazione del libro "Il compleanno" di Dulce Maria Cardoso

Mercoledì 23 novembre, alle ore 18, presso la Casa delle traduzioni di Roma, in via degli Avignonesi 32, verrà presentato  il romanzo Il compleanno di Dulce Maria Cardoso (edizioni Voland), con la partecipazione dell’editore Daniela di Sora e del traduttore Daniele Petruccioli.

“Un romanzo sul desiderio e sul potere. Il potere esercitato dal ricco Afonso sulla bellissima prostituta Sofia. Il potere che Sofia esercita sul fidanzato Júlio che sogna una casetta con la donna della sua vita sulla «sponda giusta del fiume. Il desiderio di Clara, figlia di Afonso, per la cameriera Elisaveta. E poi ci sono Lily e Manuel, fratello di Clara, che chiacchierano in chat da un continente all’altro senza essersi mai visti. Su tutti aleggia, comica e terribile, la tirannia di Alice, moglie-bambola di Afonso, disposta a qualunque cosa pur di organizzare una festa perfetta per il compleanno del marito. Impigliati nelle loro vite, i personaggi di questo romanzo hanno la vividezza indimenticabile che conferisce loro lo sguardo eccentrico di una grande scrittrice”.

Dulce Maria Cardoso è nata a Trás-os-Montes, Portogallo, nel 1964, ma ha trascorso parte della sua infanzia in Angola. Tornata in Portogallo, si laurea in Giurisprudenza presso la facoltà di Diritto di Lisbona e inizia a scrivere soggetti cinematografici e racconti. Il suo primo romanzo, Campo de Sangue (2002), scritto con l’appoggio della borsa di studio “Bolsa de Criação Literária do Ministério da Cultura”, ha ricevuto il prestigioso “Grande Prémio Acontece de Romance” ed è stato tradotto in Francia, America Latina, Spagna, Brasile e Italia (In Italia è stato pubblicato dalla casa editrice Voland nel 2007). Pubblica il suo secondo romanzo Os Meus Sentimentos  nel 2005, a cui seguono Até Nós (2008), una raccolta di racconti, e il romanzo O Chão dos Pardais (2009).  Nello stesso anno riceve il Premio letterario dell’Unione Europea.

Dulce Maria Cardoso
Il Compleanno (2011)

Titolo Originale: O Chão dos Pardais (2009)

Traduzione di Daniele Petruccioli

Edizioni Voland
Collana Amazzoni

martedì 15 novembre 2011

Terza riedizione in Portogallo di "Diário Íntimo" di Luís Amaro

"Quero o silêncio perfeito 
onde a minha lembrança não abra rios de sangue."


“Luís Amaro é uma figura a vários títulos singular nas nossas letras, que já várias vezes aqui tentamos “apresentar”, ao que na sua enorme discrição ele resiste…: fora dos holofotes, tem sido o leitor mais atento e amigo, o “revisor” mais rigoroso e sabedor, o colaborador mais constante e desinteressado, a vários níveis, de numerosos escritores de todas as gerações - quer enquanto trabalhou na Portugália Editora, e a seguir na Colóquio Letras, quer depois disso e independentemente de quaisquer funções que hoje, com 88 anos, já não exerce”. 

Con queste parole apre l’articolo  apparso sull’ultimo numero di Jornal de Letras dedicato a Luís Amaro -A Poesia di Luís Amaro-,  in occasione della ripubblicazione dell’antologia poetica “Diário Íntimo”. L’opera, ormai giunta alla terza edizione in Portogallo, riunisce tre raccolte: Juvenília (1941), il libro Dádiva (1942-49), e Outros Poemas (1950- ). La prima edizione uscì nel 1975, dopo il successo di “Dádiva”, la seconda edizione  nel 2006. Questa nuova edizione, come l’autore stesso segnala nella nota introduttiva, contiene poesie inedite che risalgono sia al periodo giovanile sia agli ultimi anni;  inedito è anche il frammento di una lettera che Jorge de Sena scrisse nel 1975 a Luís Amaro, sulla sua poesia: “V. continua a ser o poeta dos momentos fugidios, de uma melancolia desencantada, de uma como que prisão de que o espírito busca escapar – se em instantes de revelação, de um sentir da vida como algo precioso que se esvai. Continua a ser o mesmo poeta de uma linguagem na aparência muito simples, mas que, na verdade, contorna e circunda uma realidade que é um jogo de reflexos entre o exterior e o interior. Essa linguagem sempre foi muito ritmicamente segura, mas revela ainda melhor a sua segurança, nos últimos poemas , adentro dos limites estilísticos que V. a si mesmo e para si mesmo criou. Na totalidade o livro é excelente, e a crítica teria obrigação de o dizer”.




lunedì 14 novembre 2011

Mostra omaggio a José Saramago. Viaggio in Portogallo di Maurizio Bartolucci

Giovedì 24 novembre, alle 17.00, verrà inaugurata, presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma, la mostra fotografica "Omaggio a Josè Saramago. Viaggio in Portogallo" in cui l’autore, Maurizio Bartolucci, ricostruisce l’avventura letteraria dello scrittore portoghese in un suggestivo percorso tra vita e arte che attraversa le terre lusitane.
L’esposizione sarà aperta fino al 3 dicembre, dal lunedì al sabato, ore: 10.00 – 13.00.

"Attraverso un bel libro pubblicato qualche anno orsono Josè Saramago ci accompagna per le strade del Portogallo ed affronta i temi storici, artistici e culturali che riguardano questo Paese. Un viaggio, quello documentato dallo scrittore portoghese, compiuto nei primi anni novanta, che si configura come un ritorno alle terre lusitane dopo i grandi avvenimenti che hanno portato alla democrazia a metà degli anni settanta. Grande conoscitore della tradizioni del Portogallo, che hanno giocato un ruolo importante nella sua avventura letteraria, Saramago compie migliaia di chilometri in splendida solitudine alla ricerca di luoghi e tesori che descrive con certosina accuratezza. Non solo Porto e Lisbona ma decine di altre città grandi e piccole che hanno contribuito a scrivere la storia di questi luoghi. Una avventura che ho cercato di ricostruire attraverso una serie di foto scattate nel 2008 e che vi propongo in un luogo prestigioso: la Biblioteca Vallicelliana, nel cuore di Roma". Maurizio Bartolucci.

lunedì 7 novembre 2011

Cinema in lingua portoghese a Milano: “Quem és tu?” di João Botelho

Mercoledì 9 novembre, ore 16.30, proiezione del film “Quem és tu?” di João Botelho.

Aula Manhattan – Università degli Studi di Milano, via Festa del Perdono, 7.

La proiezione del film si inserisce all’interno dell’iniziativa “Ciclo di cinema in lingua portoghese – 4 film per 4 nazioni”. Il film sarà presentato in lingua originale, corredato da sottotitoli in italiano, e verrà brevemente introdotto attraverso una adeguata contestualizzazione storico-culturale e una puntualizzazione semantico-linguistica dai docenti delle Cattedre di Lingua e Letteratura Portoghese e Brasiliana.






La tragedia della Storia, la ferita del corpo, “ Quem és tu?”


Botelho mette in scena la ferita fondante della storia portoghese in un film che indaga la genesi e le conseguenze di un mito tragico, attraverso una ricerca che è anche un saggio di cinema controllato e rigoroso.



Apparente scarto dagli stilemi, dagli ambienti altoborghesi tipici del regista portoghese, “Quem es tu?” (Chi sei tu?), ultimo lungometraggio di João Botelho, si inserisce invece con estrema facilità all’interno delle ossessioni del regista di “Qui sulla Terra” e “Traffico”. L’ossessione per la tragicità dell’esistenza, sia pure mascherata da commedia, o da farsa, ritorna in questo film, che mette in scena una delle opere fondamentali del teatro portoghese, “Frei Luís de Sousa”, scritto nel 1843 da Almeida Garrett; tre atti di straordinaria complessità nella semplicità apparente della messa in scena, che diventano, nelle mani di Botelho, anche un saggio di regia controllata e rigorosa.
“Quem es tu?” si presenta come esplorazione, indagine su un mito fondante della storia portoghese, quella del “Re atteso”, Sebastiano del Portogallo (1554-1578), un re folle, squilibrato, deforme, che convinse i nobili del Paese a partecipare ad una crociata contro i musulmani che premevano alle porte del regno, e che fu clamorosamente sconfitto nella battaglia di Alcácer Quibir nel 1578. Da allora questa figura rimase a lungo nelle leggende popolari del Portogallo, cantata nelle canzoni che evocavano il suo ritorno come liberatore dal giogo spagnolo. La tragedia che si svolge nella casa di Dom Manuel de Sousa Coutinho è impregnata di questa attesa, di questo senso di perdita fatale che la leggenda del Re Sebastiano cerca in tutti i modi di esorcizzare. Muovendo la macchina da presa all’interno delle mura del palazzo, Botelho racconta la storia di una nobile famiglia portoghese la cui esistenza è sconvolta dal ritorno del primo marito di Madalena de Vilhena, ormai risposatasi con Dom Manuel e madre della piccola Maria, creatura innocente, pallida e gracile. La tragedia si sviluppa attraverso un sapiente uso dei corpi e dei volti degli attori, attraverso le voci ora potenti ora ridotte ad un sussurro, attraverso il colore che squarcia il buio incombente, l’atmosfera malata e fredda che circonda il film. L’arrivo del primo marito di Madalena, Dom João, creduto morto nella battaglia di Alcácer Quibir diventa, nel film, la manifestazione concreta evidente, personale di una caduta, della fine di una potenza europea come il Portogallo. Nell’unica scena girata in esterni, quella della battaglia, Botelho lascia ogni spettacolarità fuori campo, per far sì che sia una lunga, interminabile carrellata sui cadaveri rimasti sul campo a descrivere, con un’unica immagine, l’assurda impresa del Re folle, la morte che segna la modernità di un Paese, la violenza di un atto fondante. L’altra morte assurda che chiude il film, quella della piccola Maria, distrutta dalla decisione dei genitori di prendere gli abiti talari per sfuggire al peccato, chiude, in perfetta circolarità, la tragedia che da collettiva (quella di un intero popolo) diventa individuale (quella della famiglia). 
L’origine teatrale del testo serve a Botelho per rinunciare ad ogni movimento eccessivo della macchina da presa, senza rinunciare al cinema, che decostruisce il testo, accentuandone i dettagli, gli elementi astratti e significanti del dolore, come i volti (quelli degli attori, come quelli dei ritratti che adornano le mura del palazzo), o gli improvvisi fiotti di colore (il sangue che sgorga dalla bocca di Maria morente), fino ai gesti folli, tragici e dirompenti dei personaggi. 
Un saggio di regia, dunque, che si arricchisce di elementi pittorici, usati dal regista non con intenti citazionisti, ma nel tentativo di disegnare la disfatta della storia e degli uomini. El Greco, il riferimento pittorico più evidente nel film, diventa la perfetta rappresentazione della dissoluzione di un’epoca, attraverso l’uso quasi carnale dei colori, la deformazione ascetica ed espressiva dei corpi e dei volti. Un film – quello di Botelho - che non racconta la Storia, ma ne indaga la tragicità implicita, il suo essere il luogo dove le ferite si aprono irrimediabilmente, per restare.


Fonte: Sentieri Selvaggi. Articolo del 09/09/2001 a cura di Daniele Dottorini (Venezia 58).

venerdì 4 novembre 2011

Ruy Belo, Homem de Palavra[s]

Si è concluso oggi, venerdì 4 novembre 2011, "Ruy Belo, Homem de Palavra[s]", il convegno internazionale organizzato in occasione del cinquantesimo anniversario della pubblicazione del primo libro di poesie di Ruy Belo, "Aquele Grande Rio Eufrates" (1961). Il convegno, promosso da Paula Morão, Nuno Júdice, dalla Fundação Gulbenkian e da Teresa Belo, vedova del  poeta, ha visto la partecipazione di studiosi e critici letterari di spessore internazionale, che hanno discusso sulle diverse sfaccettature dell’opera di Ruy Belo e sul  ruolo che il poeta portoghese occupa nella poesia contemporanea.

E TUDO ERA POSSÍVEL
Na minha juventude antes de ter saído
da casa de meus pais disposto a viajar
eu conhecia já o rebentar do mar
das páginas dos livros que já tinha lido
Chegava o mês de maio era tudo florido
o rolo das manhãs punha-se a circular
e era só ouvir o sonhador falar
da vida como se ela houvesse acontecido


E tudo se passava numa outra vida
e havia para as coisas sempre uma saída
Quando foi isso? Eu próprio não o sei dizer


Só sei que tinha o poder duma criança
entre as coisas e mim havia vizinhança
e tudo era possível era só querer

martedì 1 novembre 2011

"A morte de Carlos Gardel", romanzo di António Lobo Antunes al cinema

Solveig Nordlund ha adattato al cinema  “A morte de Carlos Gardel”,  primo adattamento cinematografico di un romanzo di António Lobo Antunes. Sebbene non sia il libro più conosciuto dello scrittore portoghese, è il più adatto a una trasposizione cinematografica, per l’evoluzione lineare del flusso narrativo. L’ordinato susseguirsi degli eventi nel romanzo ben si presta al cinema realista di Solveig Nordlund, nonostante la regista abbia dovuto limitare la polifonia di voci e i cambi di prospettiva, tipici della scrittura dell’autore portoghese:
“Limitei-me de certa maneira à história. Usando uma certa liberdade no tempo e no espaço, tentei imitar a técnica que ele tem de partir de uma personagem para outra, sem grande explicação ou transição. Mas claro que não é como no livro. Quando escreve ele muda de personagem a meio de uma frase. O meu cinema é realista, por isso não seria possível, a não ser que fizesse um filme mais experimental. Mas isto é só uma história contada com frases de Lobo Antunes e, nos momentos mais emocionais, dou-me a liberdade de passar de uma coisa para outra sem mais” (Solveig Nordlund, intervista a Jornal de Letras).


“A morte de Carlos Gandel” è la storia di un giovane tossicodipendente sul punto di morte, in stato comatoso. Assistito dai famigliari più vicini, ognuno di loro evoca ricordi e esperienze, memorie e vite attuali, fili di una stessa rete che condividono lo stesso dolore. La passione del padre del giovane per il tango e per la figura di Carlos Gardel, cantante di tango argentino, attraversa simbolicamente ciascuna di queste voci. Carlos Gardel è tutti loro, portatori di sogni e delusioni che la vita inevitabilmente regala.

«A Morte de Carlos Gardel»,prodotto da Fado Filmes, ha ricevuto l’appoggio per la realizzazione dall’Instituto do Cinema e Audiovisual/Ministério da Cultura, e dalla partecipazione finanziaria della RTP - Rádio e Televisão de Portugal.

Nata a Stoccolma, Solveig Nordlund coltiva la passione per il cinema sui banchi accademici. Si trasferisce presto in Portogallo, dove intraprende la carriera di cineasta come assistente di produzione. Lavora in vari film di registi portoghesi come Manoel de Oliveira e João César Monteiro. Dal suo primo lungometraggio «Dina e Django» , realizzato nel 1983, a oggi, la vasta produzione cinematografica di Solveig Nordlund si è divisa fra Svezia e Portogallo, e si è distinta nel panorama cinematografico portoghese per il suo valore artistico. Sulle tracce del suo maestro, il regista francese Jean Rouch, di cui fu alunna in Francia nel 1972, Solveig Nordlund dice che “ama fare film che ci sorprendano intellettualmente e formalmente”, rivelando la tensione a commuovere lo spettatore, sia per la qualità del livello narrativo, che per il linguaggio formale cinematografico.