venerdì 29 novembre 2013

São Tomé e Príncipe: "as roças", un patrimonio in rovina, da salvare entro dieci anni

L'appello-studio degli architetti portoghesi Rodrigo Rebelo de Andrade e Duarte Pape


C'è un luogo speciale, in Africa, addirittura unico nelle sue caratteristiche che, a dispetto delle ridotte dimensioni e dei limiti geografici -due piccole isole nel Golfo della Guinea- contiene un insieme architettonico e territoriale senza eguale. Parliamo di São Tomé e Príncipe e delle "roças" disseminate nel loro interno, spesso nascoste dalla folta vegetazione, tappa obbligata da visitare per un turista, ma anche eredità profonda del passato coloniale. A lanciare l'allarme sullo stato di abbandono e di degrado in cui le "roças" versano, sono i due architetti portoghesi Rodrigo Rebelo de Andrade e Duarte Pape che dopo averle minuziosamente studiate e inventariate, hanno raccolto la loro ricerca nel volume "As Roças de São Tomé e Príncipe"  (Edições Tinta da China, 2013), che ne traccia il quadro più esauriente mai realizzato finora.

Prima di addentarci nello spirito e nei contenuti di questo libro che tanta eco ha suscitato in Portogallo, di rigore ricordare cosa sono le "roças". Per "roças" s'intende quell'insieme di costruzioni realizzate dai colonizzatori in ogni piantagione (di caffè e cacao e prima ancora di zucchero) anche per meglio controllare il lavoro degli schiavi. Ce ne sono di grandiose: vere e proprie cittadelle con la residenza centrale riservata ai proprietari, le "sanzalas" dove risiedevano i lavoratori comuni, l'Ospedale, la Chiesa e poi viali, giardini, scuole, spazi ricreativi e in  alcuni casi, persino piccole arene.
La più celebre è certamente la "Roça Agostinho Neto", così chiamata dopo la visita del Presidente nonché eroe nazionale angolano un anno dopo l'indipendenza raggiunta nel 1975, ma prima conosciuta come "Rio d’Ouro" fin dalla costruzione avvenuta nel 1865. Vasta ben 1.600 ettari, questa roça ha ospitato la maggior piantagione di caffè e cacao dei tempi, la Sociedade Agrícola del Marquês de Vale Flor. Oggi, denunciano gli studiosi, è una delle più imponenti rovine. Altre "roças" tra le più conosciute: Água-Izé, Ribeira Peixe e Bombaïm. Discorso a sé merita São João de Angolares, trasformata in villaggio turistico dall'attuale proprietario João Carlos Silva, noto nei paesi lusofoni grazie al suo programma televisivo di cucina etnica e culturale “Nas roças com os tachos”.

lunedì 25 novembre 2013

Portogallo: incontro con José Tolentino Calaça Mendonça, teologo, scrittore e poeta

Parla della crisi economica, di quella della Chiesa, e pure di Fernando Pessoa
 

"Mi trovavo al monastero di Bose e, mentre parlavo con una delle monache, questa mi ha detto che nella sua cella aveva il Vangelo e i libri di Pessoa. Mi sono molto meravigliato. Come mai?, le ho chiesto. Lei mi ha spiegato: Pessoa mi dà il senso dell'enigma, della domanda, di questa condizione umana che nella sua verità è un luogo senza risposta, un luogo di ricerca infinita." A raccontare questo aneddoto per rivelare la potenzialità della poesia di Fernando Pessoa, tanto intensa, è José Tolentino Mendonça, teologo, scrittore e poeta portoghese venuto di recente in Italia in occasione dell'uscita nel nostro Paese di due suoi libri: "Padre nostro che sei in terra", Prefazione di Enzo Bianchi (Qiqajon Ed. 2013) e "Nessun cammino sarà lungo - Per una teologia dell'amicizia" (Ed. Paoline 2013).
Ospite, tra l'altro, della trasmissione "Uomini e Profeti" di Rai-radio3, che il Diario portoghese ha ascoltato con interesse per poter poi condividere alcuni passi coi suoi lettori, Tolentino Mendonça è stato sollecitato ad affrontare una sventagliata di temi oltre a quelli concernenti i suoi libri. Impossibile prescindere dalla crisi economica che attanaglia il Portogallo: ecco la visione di chi la guarda non solo come cittadino portoghese o come poeta e narratore, ma anche da altre importanti angolature, essendo docente di Scienze Bibliche e vicerettore dell'Universidade Católica Portuguesa (UCP) nonché Responsabile del Secretariado Nacional da Pastoral da Cultura.

giovedì 21 novembre 2013

Il "jacaré-do-Pantanal" del fotografo brasiliano Luciano Candisani in mostra a Milano

I vincitori del "Wildlife Photographer of The Year" 2012 visibili al Museo Minguzzi


Immobile ma vigile un caimano "jacaré-do-Pantanal", lungo 2 metri, aspettava che i pesci arrivassero a portata di cattura. Ineffabile, lo scatto del fotografo brasiliano Luciano Candisani, che da anni documenta la vista segreta subacquea degli alligatori che popolano le acque dell' immensa pianura alluvionale del suo Paese (Pantanal Wetland), immortala l'animale nell'attimo giusto. Candisani, che lavora per la celebre rivista National Geographic, conserva la passione per i caimani fin da piccolo quando fu suo padre a mostrargliene uno e ne è diventato esperto conoscitore, grazie anche alla competenza di un biologo che lavora sul campo.

"Pochi caimani sono aggressivi -assicura il fotografo- ma alcuni possono esserlo. Il momento più sicuro per avvicinarli è quando sono concentrati su un banco di pesci. Come tutti gli alligatori, infatti, anche i caimani jacaré del Pantanal usano la tattica dell'agguato per attirare le loro prede, aspettando i pesci con la bocca aperta. Poiché nelle torbide acque del Pantanal (il nome deriva dalla parola portoghese "pântano" che significa “palude”) è difficile individuare chi passa loro vicino, i caimani -precisa il fotografo- usano i sensori di pressione che hanno intorno alle mandibole, per capire se un pesce gli sta nuotando accanto".

Proprio grazie a questo scatto Candisani ha vinto nel 2012 il "Wildlife Photographer of The Year", considerato l'Oscar della fotografia naturalistica, per la sezione Behaviour: Cold-blooded Animals (Comportamento: Animais de Sangue Frio, em tradução livre). Un  riconoscimento importante, se si considera che al concorso numero uno al mondo di questo settore, suddiviso in 18 categorie che riguardano i molteplici aspetti dell'ambiente naturale e di chi lo popola, hanno partecipato in quell'edizione ben 48mila foto provenienti da 98 Paesi.

sabato 16 novembre 2013

Viaggio attraverso i classici della letteratura di lingua portoghese: “Il mandarino” di Eça de Queirós

Il Diario Portoghese lancia una nuova rubrica: "Lusoclássicos". Andrea Sironi ci accompagnerà in un viaggio alla (ri)scoperta dei classici della letteratura di lingua portoghese, inediti o già pubblicati in Italia. Prima tappa, uno dei più grandi capolavori del XIX secolo:

Il Mandarino, di Eça de Queirós
Tentazione e rimorso dalle remote province d’Oriente

Riconosciuto come uno dei più importanti esponenti del Realismo europeo, al pari di scrittori del calibro di Guy de Maupassant e Benito Perez Galdós, José Maria Eça de Queirós è considerato a tutti gli effetti il più grande romanziere dell’Ottocento portoghese. Personalità eclettica ed elegante, egli fu scrittore, giornalista, diplomatico e console portoghese in un primo momento a L’Avana, quindi in Inghilterra, dove ricoprì la suddetta carica a Bristol ed in seguito a Newcastle, ed infine nella tanto agognata Parigi, della quale celebrò e descrisse gli sfarzi, lo stile e la vita di società. Eça de Queirós fu inoltre tra gli esponenti più importanti del Cenacolo noto come Geração de 70, un movimento accademico a cui presero parte gli intellettuali più mirabili dell’epoca – Antero de Quental, Oliveira Martins e Jaime Batalha Reis tra gli altri – al fine di concepire e operare un forte rinnovamento culturale che potesse colmare lo scarto rilevabile tra il Portogallo e le grandi potenze europee.

La prima fase della produzione di Eça, se escludiamo il lavoro d’esordio Il Mistero della Strada di Sintra, scritto a quattro mani in compartecipazione con Ramalho Ortigão, pubblicato sul Diàrio de Noticias e dal carattere avventuroso e tardoromantico, è contraddistinta da un’impronta fortemente realista. Romanzi di grande spessore come La Colpa di Padre Amaro e Il Cugino Basilio, con i suoi nitidi richiami a Madame Bovary, suscitarono scalpore e grandi polemiche.

Da questo primo periodo prendono le distanze Il Mandarino e La Reliquia, in cui l’ambientazione esotica fa da sfondo ad una costruzione narrativa impregnata di profondo orientalismo e fervida immaginazione. Scritto nel 1887, La Reliquia riporta di un pellegrinaggio attraverso la Palestina e l’Egitto finalizzato al recupero di un’importante cimelio religioso, sotto il quale si cela invece l’intenzione da parte del protagonista Teodorico Raposo di vivere un’esaltante e avvincente esperienza di viaggio, attraverso terre dall’ammaliante sentore orientale.


martedì 12 novembre 2013

"Ventizinco", il nuovo romanzo di Mia Couto in uscita per Urogallo

Considerato dalla critica come uno degli scrittori contemporanei più interessanti del panorama internazionale, Mia Couto è stato recentemente insignito di due prestigiosi riconoscimenti letterari: dell'ambito premio Camões a Rio de Janeiro e del premio internazionale Neustadt 2014 (leggi il post su Il Diario Portoghese del 4 novembre u.s.). 

Il suo ultimo romanzo edito in Italia è a cura di Urogallo Edizioni, nella traduzione italiana di Antonia Ruspolini, e si intitola Ventizinco. Il libro era stato pubblicato in Portogallo nel 1999, in occasione del 25º anniversario della Rivoluzione del 25 aprile 1974 e costituisce una riflessione sul senso che la Rivoluzione dei Garofani ha assunto negli anni, dentro e fuori il Portogallo. Ambientato in una piccola città dell'interno del Mozambico, lo scrittore apre una finestra sui giorni che precedono e seguono la caduta del regime coloniale; il libro è diviso in capitoli, ciascuno dedicato a una giornata tra il 19 e il 30 aprile 1974 e, attraverso il racconto di vite sconvolte dai convulsi cambiamenti politici del periodo, indaga varie tematiche, tra cui la condizione della donna durante gli anni della dittatura, il rapporto tra bianco-nero e la violenza del regime coloniale. 


Nell'attesa di poter avere fra le mani il romanzo, godiamoci la lettura di un breve estratto: 


«Lourenço de Castro entra in casa, alla stessa ora di sem­pre, quell’ora in cui la luce soffre, stanca di tanto giorno. Ruota la maniglia della porta con cautela, come se il mondo potesse disaggregarsi a partire da quel gesto. E subito la voce della madre luminando la fine del corridoio.
«Sei tu, figlio mio?»
Donna Margarida compare nell’atrio della vecchia casa co­loniale. Copre le spalle del figlio con una giacca fatta con le sue mani. È fine estate, ma le notti sono già più fresche lungo il litorale. Lourenço de Castro si stringe nelle spalle, lascia che la mamma gliela metta. Un’altra volta stanco, più morto di un pesce. Nessuno comprende fino in fondo la difficoltà di essere un ispettore della PIDE, in mezzo alla foresta africana, là dove il piede del bianco non si è mai posato. A Moebase ci sono altri bianchi, sì, ma pochi. Le dita di una mano avanzano, se li vogliamo contare. Chi c’è? Padre Ramos, il dottor Peixo­to, l’amministratore Marques e l’agente Diamantino. Più le due donne di casa, la mamma e la zia Irene. Ma le donne non contano. Così si diceva in casa Castro. La maggior parte delle volte addirittura scontano, aggiungevano.
Il ritorno a casa di Lourenço de Castro è un rituale, sempre uguale, la madre, infallibile, prodiga le cure che sono dovu­te ad un guerriero. Ma questo guerriero non emana gloria. L’ispettore Lourenço si trascina fino al bagno e si lava le mani. L’acqua corre come se non bastasse un fiume a pulirlo.
«Perché non confessano? Che gli costerebbe…?»
Il sangue continua a gocciolinare nella bacinella. Lui sten­de in avanti le braccia, ancora umide, la madre le asciuga con tenero vigore.
«Ti sei lavato bene, tesoro? Adesso vieni. Ti ho già prepa­rato il lettino».
Il pide va in cucina e passa di nuovo le mani sotto l’acqua. Annusa le dita come se volesse confermare l’ostinazione di qualche macchia. La vecchia madre lo prende fra le braccia, gli bacia le dita delicate.
«Mani belle, mi ricordano…»
«Sono stanco, mamma, voglio dormire. Dov’è il panno?»
«Il panno è a lavare. Era tutto sbavato. Stai sbavando mol­to, sono preoccupata, non sarà uno di questi malanni africa­ni…»
«Io non dormo senza il panno, lo sai, mamma».
«C’è un altro panno già tutto lavato sotto il tuo bel cusci­no».
Il pide si corica. La madre, al capezzale, gli rimbocca le lenzuola. Il figlio, inquieto, scruta la stanza:
«Il cavallino?»
«Adesso ti porto il cavallino, non ti preoccupare».
Lei trascina un cavallino di legno, lo posiziona in modo che Lourenço ne possa toccare la criniera. Il pide conficca le sue dita nella groppa del cavallino e lo fa dondolare.
«E la zia Irene?»
La madre distoglie lo sguardo. Sempre la solita, questa Ire­ne. Che vergogna, una bianca che si comporta in quel modo, disposseduta dal giudizio. E peggio che aver perso la ragione: lei aveva perso il pudore.
«Che destino il nostro, figlio mio!»
Pausa, sospiri. L’agente smette di dondolare il cavallo. Si solleva un pochino per guardare meglio il volto di Donna Margarida.
«È uscita di nuovo oggi?»
«È uscita, sì».
«È tornata un’altra volta tutta sporca?»
«Sporca!? Quella è argilla, una cosa pulita».
«Argilla? È matope, te lo dico io. Questa faccenda deve finire, mamma. La zia Irene ci compromette e noi abbiamo un nome da difendere».
«Abbi pazienza, Lourenço. Irene è la nostra unica famiglia. Non te ne dimenticare, non abbiamo più nessuno».
Il silenzio che cala fa pensare alla colpa. Qualche punizione divina. Chissà, artigianato del diavolo. Sembra che la stanza sia stata soffocata. L’ispettore si esamina le braccia, come se cercasse un dettaglio fuori posto.
«Questo qui è sangue, no?»
«No, figlio mio, no. Stringiti al panno e dormi».
«Dormire? Se sapessi, mamma, l’odio che ho per questi negri».
«Non dire così, figlio mio. Ce n’è di buoni e di catti­vi».
La mamma si ritira, schiena curva, arrotondata come il dorso del corvo. Il corridoio la riceve come se appartenesse alle tenebre. E tutto fluisce, silenzio e oscurità. Passano le ore e le luci di nuovo si accendono, interrompendo la notte. Le grida di Lourenço echeggiano nel corridoio. La madre si pre­cipita, senza fretta. Ha in mano un bicchiere di latte. Quando si china sul figlio sa già cosa succede.
«Un altro incubo?»
Lourenço non risponde, occupato a respirare. Il sudore si svolge, un liquido lenzuolo lo ricopre.
«I tamburi, non li senti?»
«Era un batuque, ma ha già smesso da un po’».
«Ma io continuo a sentire, mamma».
Lei si siede al capezzale, gli pulisce il sudore e gli porge il latte tiepido. Il figlio lo rifiuta. C’è una rabbia che non riesce a controllare. La madre corregge la porta, benché non ci sia nemmeno un refolo di vento. Se non tira brezza, per quale ragione la bandiera portoghese è caduta dalla parete a cui era appesa?
«È quel cieco, un giorno o l’altro quello là lo faccio fuo­ri».
«Il cieco Tchuvisco? Dio già l’ha castigato. Che male può fare quel povero diavolo?»
«È quello là che combina tutto questo, mamma».
«Sciocchezze, figlio mio».
«Credimi, io conosco questa gente».
«Mi sembri agitato, Lourenço. Promettimi: domani andia­mo dal dottor Peixoto».
«Non sto male, mamma».
«Ma lui già cura la zia Irene, non costa nulla…»
«Non ci vado, ho già detto che non ci vado».
La madre accarezza i capelli del figlio. La respirazione dis­soffoca, gli occhi sono sospesi nell’infinito del soffitto.
«Mamma, mi puoi controllare?»
«Un’altra volta l’ombelico, Lourencinho?»
«Mi sta crescendo, mamma. Davvero. Questa volta davve­ro. Già sento uscirmi il cordone ombelicale».
«Lascia che ti faccia un massaggio e passa tutto».
La madre si stende sul letto e nasconde le mani sotto le lenzuola. I suoi occhi ospitano molta tenerezza.
«Vedi, mamma? Non te lo dicevo?»
«Adesso passa, figlio mio».
«Questa può solo essere una fattura da negri. È quel cieco, mamma».
La mamma tenta di nuovo una ritirata. Sulla porta ripren­de coraggio e domanda:
«Fa tanto caldo. Non vuoi proprio un ventilatore?»
«No, il ventilatore mai».
«Va bene, va bene! Era solo un’idea. Dormi, figlio mio. Dormi».

(Ventizinco, Mia Couto, traduzione dal portoghese di Antonia Ruspolini, Urogallo, 2013)


Qualche nota biografica di Mia Couto: nato a Beira, in Mozambico, nel 1955, si è dedicato agli studi di medicina, scegliendo in seguito la strada del giornalismo e della scrittura. Attivo nel campo della difesa dell’ambiente, Mia Couto è noto nel mondo letterario per l’uso molto originale della lingua portoghese, che lo scrittore arricchisce in ogni sua opera coniando neologismi molto efficaci. In italiano sono state tradotte le seguenti opere: “Voci all’imbrunire” (Edizioni Lavoro, 1993); “Il dono del viandante e altri racconti” (Ibis, 1997); “Terra sonnambula” (Guanda, 1999); “Sotto l’albero del frangipani” (Guanda, 2002); “Un fiume chiamato tempo, una casa chiamata terra” (Guanda, 2005); “Ogni uomo è una razza” (Ibis, 2008); “Perle” (Quarup, 2011); “Veleni di Dio, medicine del Diavolo” (Voland, 2011). “Ventizinco” è il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia dalla casa editrice Urogallo.



sabato 9 novembre 2013

Manifestazione culturale "Agenda Brasil": una domenica brasiliana a Milano

Inaugurazione della mostra fotografica "Futebol da Gente" e proiezione del film per famiglie "Tainá, una leggenda amazzonica"



Nell'ambito di Agenda Brasil, (la manifestazione culturale che si sta svolgendo in questi giorni in diversi spazi della città di Milano), è prevista per domani, domenica 10 novembre alle ore 15.00, presso lo Spazio Oberdan (viale Vittorio Veneto 2, Milano), l'inaugurazione della mostra fotografica “Futebol da gente”, realizzata dal fotoreporter brasiliano Evandro Teixeira e dedicata allo sport nazionale del Brasile, ripreso nella sua forma più spontanea e coinvolgente: il calcio di strada.

Le foto saranno in vendita e parte del ricavato verrà destinato ai progetti dell’Associazione Amazônia onlus. 

Dalle ore 15.00 alle 15.30 verrà servita una merenda per i più piccoli e, a seguire, verrà proiettato il film per famiglie “Tainá, una leggenda Amazzonica”. Il lungometraggio racconta le avventure di una piccola orfanella indigena di cinque anni che sogna di diventare una grande guerriera e di scoprire la sua vera origine. Con i suoi amici Laurinha, una bambina della città che si è persa nella foresta e Gobi, un piccolo indigeno nerd, vedremo Tainá alle prese con una grave minaccia per la Natura: Jurupari, l’ancestrale nemico della sua famiglia, vuole distruggere il Grande Albero che creò tutta la foresta. Tra avventure, amicizia e magia, i bambini impareranno a superare le proprie differenze e combatteranno il nemico. 


Per maggiori informazioni si veda:
il programma completo della manifestazione Agenda Brasil (http://vagaluna.it/agenda-brasil-2013/)
il sito della Fondazione Cineteca Italiana per Piccolo Grande Cinema
il sito dell'associazione Amazônia Onlus (http://www.amazoniabr.org/it/index.asp)

mercoledì 6 novembre 2013

Cinema: tre film portoghesi in gara al prossimo Festival di Roma

"A Vida Invisível" nella sezione principale e due documentari nelle "nuove tendenze"


Sono tre i film portoghesi in concorso al prossimo Festival del Cinema di Roma, in programma dall'8 al 17 novembre prossimi, giunto quest'anno alla sua ottava edizione. Si tratta di un segnale incoraggiante per la cinematografia del Portogallo, se si considerano i numeri dei film visionati: 2.620 provenienti da 76 Paesi, di cui 1.542 lungometraggi e 1.078 corti. Dei tre film selezionati, uno fa parte dei 18 in lizza per i premi principali del Festival con in testa il Marc’Aurelio d'Oro, mentre gli altri due gareggiano nella Sezione Cinema XXI, riservata alle nuove tendenze cinematografiche.

Alla Sezione Cinema XXI concorrono "O novo testamento de Jesus Cristo segundo João" di Joaquim Pinto e Nuno Leonel e "A Mãe e o Mar" di Gonçalo Tocha, entrambi documentari alla loro prima rappresentazione internazionale. Alla competizione principale gareggia, in prima mondiale, "A Vida Invisível" di Vítor Gonçalves che vede tra i protagonisti principali: Filipe Duarte, Maria João Pinho, João Perry, Pedro Lamares, Susana Arrai.

Il lungometraggio "A Vida Invisível" segna l'inatteso ritorno del 62enne regista Vitor Gonçalves, alla sua opera seconda dopo "Uma Rapariga no Verão" dell'ormai lontano 1986. Nato in Portogallo, Gonçalves ha coprodotto i film "O Sangue" di  Pedro Costa e «A Nuvem» di Ana Luísa Guimarães. Insegna alla Escola Superior de Teatro e Cinema dal 1982.

Joaquim Pinto e Nuno Leonel sono reduci dal successo registrato con "E Agora? Lembra-me" al Festival di Locarno (Svizzera) dove hanno ottenuto il premio speciale della critica e dal Festival Internacional de Cine de Valdivia, in Cile, dove hanno ottenuto il premio per il miglior film internazionale. Gonçalo Tocha, Fondatore di NuCiVo (Núcleo de Cinema e Video da Associação de Estudantes da Faculdade de Letras da Universidade de Lisboa) si è affermato come autore di documentari realizzati preferibilmente nelle isole Azzorre. Tra le sue opere di maggior rilievo: "É na terra nâo é na lua" e "The Mother and The Sea".

A presiedere la Giuria del concorso principale è stato chiamato James Gray, regista, sceneggiatore e produttore nato a New York nel 1969, mentre a presiedere la Giuria Cinema XXI sarà Larry Clark, considerato uno fra i più importanti registi degli ultimi cinquant’anni, nato a Tulsa (Oklahoma) nel 1943. 

Sito del Festival Internazionale del Film di Roma

lunedì 4 novembre 2013

Mia Couto: lo scrittore mozambicano si aggiudica il Premio Internazionale Neustadt 2014

Istituito dall'Università dell'Oklahoma è considerato il Nobel letterario nord-americano


Lo scrittore mozambicano Mia Couto continua a mietere successi e, grazie a lui, anche l'Africa lusofona: insignito solo pochi mesi fa a Rio de Janeiro dell'ambito premio Camões, riservato agli autori che hanno contribuito all'accrescimento del patrimonio letterario e culturale della lingua portoghese, spicca ora un salto ancora più alto nel panorama mondiale. Couto si è aggiudicato infatti il premio internazionale Neustadt 2014, considerato il Nobel nord-americano per la letteratura.

Istituito dall'Università dell'Oklahoma nel 1970, il prestigioso riconoscimento del valore di 50mila dollari, ha cadenza biennale: tra i nomi illustri che hanno preceduto Mia Couto, troviamo autori del calibro dell'italiano Giuseppe Ungaretti, del brasiliano João Cabral de Melo Neto, dei colombiani Gabriel García Márquez ed Álvaro Mutis, del messicano Octavio Paz, del finlandese Paavo Haavikko.

Su chi si è imposto Couto? Questi i suoi concorrenti allo scettro in questa edizione: l'argentino César Aira, la vietnamita Duong Thu Huong, l'americano Edward P. Jones, l'ucraino Ilya Kaminsky,il coreano Chang-rae Lee, il mauriziano Edouard Maunick, il giapponese Haruki Murakami, la messicana Cecile Pined e il palestinese  Ghassan Zaqtan.

Di rigore un cenno biografico sulla figura, peraltro ormai nota e pluripremiata, di Mia Couto il cui vero nome è António Emílio Leite Couto: nato a Beira (seconda città mozambicana per importanza) il 5 luglio 1955 da famiglia portoghese, ha utilizzato lo pseudonimo "Mia" sia perchè così lo chiamava il fratello minore non riuscendo a pronunciare bene il suo nome, sia in omaggio alla sua passione per i gatti, visto che "miar" in portoghese significa "miagolare".

Couto non capì subito che la sua strada sarebbe stata la scrittura: era attratto infatti anche dalle discipline scientifiche, tanto che si iscrisse alla facoltà di Medicina interrompendola però ad un certo punto per fare con successo il giornalista, fino a diventare direttore dell'Agência de Informação de Moçambique. Ripresi gli studi universitari successivamente, si laureò in biologia, occupandosi della difesa dell'ambiente.

Esordì letterariamente nel 1980 pubblicando alcune poesie nella raccolta "Sobre literatura moçambicana", realizzata dal grande poeta suo conterraneo Orlando Mendes, anch'egli biologo. Tre anni più tardi pubblicò la sua prima raccolta personale di poesie "Raiz de orvalho", per dedicarsi poi ai racconti ("contos"), destinati a rappresentare il maggior tratto distintivo della sua opera per quel peculiare uso stilistico della lingua portoghese che gli viene unanimemente riconosciuto.



Dai racconti, di cui ha pubblicato ben sei raccolte, Couto è passato anche ai romanzi esordendo nel 1992 con "Terra sonâmbula", un vero successo editoriale sigillato pure dall'omonimo film del 2007 che si avvalse della sceneggiatura cinematografica dello stesso Mia Couto. L'edizione italiana di "Terra sonâmbula", del 2002, si deve all'Editore Guanda che nello stesso anno ha pubblicato anche "Sotto l'albero del frangipani". L'ultima sua opera uscita nella versione italiana è "Ventizinco" (Urogallo, 2013), mentre il suo romanzo più recente "A Confissão da Leoa" (Caminho 2012) non è ancora stato tradotto in italiano. 

Leggi la sinossi del romanzo nel post del 20 maggio 2012 su Il Diario Portoghese

Ascolta l'intervista a Mia Couto a cura di PublishNews TV in occasione dell'uscita del romanzo in Brasile 



sabato 2 novembre 2013

“O Som ao Redor” di Kebler Mendonça Filho tra i film in evidenza di Agenda Brasil 2013

Il lungometraggio, scelto dal Ministero della Cultura per rappresentare il Brasile agli Oscar 2014, verrà presentato al pubblico italiano il prossimo 12 novembre


Mancano pochi giorni all’apertura di Agenda Brasil, la manifestazione culturale dedicata al Brasile che si terrà a Milano dall’8 al 15 novembre in diversi spazi della città. Il Diario Portoghese, dopo avere dedicato un post agli appuntamenti del festival, vuole ora concentrare la sua attenzione su uno dei lungometraggi previsti in programma all’interno della rassegna CINEBRASIL: O Som ao Redor.


Primo lungometraggio del critico e cineasta Kebler Mendonça Filho, O Som ao Redor narra dell’arrivo di una milizia in una strada di classe media della zona sud di Recife che cambia la vita dei residenti locali. Mentre alcuni celebrano la pace portata dalla vigilanza privata, altri passano attraverso momenti di estrema tensione.
Lo scenario è quello della città pernambucana, ma potrebbe essere qualsiasi centro urbano divorato dai palazzi e dalla speculazione immobiliare, dove lo Stato cessa di rivestire il suo ruolo di guida e dove la società si assume incarichi che non le spettano, come quello della sicurezza. Marco Palazzini, nella scheda critica del film sul sito di Agenda Brasil, spiega: “Se è vero che una delle principali linee interpretative di questo film denso di significati, in cui ogni inquadratura e ogni suono hanno una collocazione precisa, è riconducibile all’auscultazione della nuova middle-class globale, con le sue paure di vedere invasi e perturbati i propri spazi, Mendonça Filho individua decisamente tale universalità a Recife, nello specifico brasiliano. O Som ao Redor si apre infatti con una serie di foto in bianco e nero sulla vita in una piantagione di canna da zucchero – un tempo la base dell’economia del Pernambuco, dominata da un’esigua élite di “colonnelli” – per passare subito agli ambienti asettici, racchiusi entro architetture “brutte anche se fotogeniche”, riproducibili nella loro standardizzazione e il cui skyline può essere richiamato esplicitamente dalla geometrica disposizione di bottiglie svuotate: in questi condomini che si nega siano abitati da fantasmi (ma la realtà è più complicata) si consuma l’esistenza di una borghesia in espansione, ma non riconciliata”.


 O Som ao Redor procede per accumulo di dettagli apparentemente slegati nella cornice di una storia corale – comunque con le sue figure di riferimento – con una trama divagante, almeno fino all’esplosione finale. Una riflessione sulla storia recente del Brasile, sulle sue tensioni sociali e razziali e sulle sue contraddizioni.
Decisivo il suono (diretto da Nicolas Hallet e Simone Dourado), il cui ruolo viene messo in evidenzia fin dal titolo: “non c’è una colonna musicale” –continua Palazzini- “ma un “tappeto sonoro” incessante e sapientemente costruito (rumori di costruzioni, latrati, elettrodomestici, voci, sirene ed echi del traffico), soprattutto capace di superare le barriere a illusoria protezione delle sfere più intime”.

Statuetta come Miglior Film e Migliore Sceneggiatura  al FestRio 2012, vincitore alla 36/ma Mostra Internazionale del Cinema di São Paulo, premi al Festival de Gramado, O Som ao Redor è stato inserito dal critico A. O. Scott del The New York Times nella lista dei dieci migliori film del 2012. Fuori dal Brasile ha partecipato a 70 Festival.

Guarda il trailer del film: http://www.osomaoredor.com.br/trailer

Qualche nota biografica di Kleber Mendonça Filho: nato a Recife nel 1968, è regista, produttore, sceneggiatore e critico cinematografico. Dopo la Laurea in Giornalismo presso l’Universidade Federal di Pernambuco, ha collaborato con diverse testate giornalistiche, è diventato responsabile della sezione cinema alla Fondazione Joaquim Nabuco e direttore artistico del Janela Internacional de Cinema do Recife. Si è dedicato in seguito alla carriera cinematografica: numerosi i cortometraggi da lui diretti, tra cui A Menina do Algodão (co-diretto insieme a Daniel Bandeira, 2003), Vinil Verde (2004) e Eletrodoméstica (2005). I suoi film gli sono valsi più di 120 premi in Brasile e all’estero e sono stati selezionati in diversi festival cinematografici. La sua prima esperienza nel lungometraggio è il documentario Crítico, che impiega otto anni per essere realizzato. Il regista acquista notorietà quando il film O Som ao Redor viene incluso nella lista dei 10 Migliori Film dell’anno sul The New York Times, al fianco di  Django di Quentin Tarantino e Lincoln di Steven Spielberg. Il Financial Times nel 2013 lo cita tra i 25 brasiliani che meritano attenzione.


La proiezione di O Som ao Redor è prevista per martedì 12 novembre, alle ore 21.00, presso il MIC (Museo Interattivo del Cinema) 

Tutti i dodici film previsti nella rassegna cinematografica saranno proiettati in lingua originale con sottotitoli in italiano presso il MIC e saranno presentati dal critico cinematografico Marco Palazzini.

MIC – Museo Interattivo del Cinema
Viale Fulvio Testi, 121
Tel. 0287242114
Biglietto di ingresso adulti: € 5; € 3 con Cinetessera
Biglietto di ingresso bambini: € 3; un adulto + un bambino € 6

Per maggiori informazioni su orari, prezzi e indicazioni stradali, si veda il sito del MIC 
Per maggiori informazioni sul programma della manifestazione e sulla rassegna cinematografica, si veda il sito dell’associazione culturale Vagaluna.