lunedì 18 gennaio 2016

Luíz Ruffato: quel bouquet di “Flores Artificiais” arrivatogli via posta da uno sconosciuto

I racconti di Dório Finetto trasformati nell’appassionante romanzo tradotto anche in italiano



Ammiratori dichiarati di Luíz Ruffato non perdiamo occasione di acquistare ogni suo libro arrivi finalmente in Italia. Così avevamo fatto la primavera scorsa con “Fiori Artificiali”. Ma, come si suol dire, il tempo è tiranno e solo da poco siamo riusciti a dedicarci alla sua lettura. Desideriamo parlarne coi nostri lettori, esprimere qualche sensazione affidandola al Blog senza pretesa alcuna di farne una recensione, il cui ruolo spetta ad altri. Magari col desiderio, questo sì, di contagiare col nostro entusiasmo altri appassionati lusofoni, pochi o tanti essi siano.

Partiamo da una confessione: perché intitolare il libro “Flores artificiais”?, ci eravamo chiesti. Come mai un titolo tanto criptico e indecifrabile? Senza leggerlo l’interrogativo sarebbe rimasto anche senza la risposta, che emerge poi in tutta chiarezza: non vi è titolo più azzeccato. Ruffato offre al lettore un bouquet di undici fiori, quanti sono i capitoli da cui è composto il romanzo incluse presentazione, postfazione e, soprattutto, una lettera. È proprio la lettera che impone di accostare alla parola Fiori l’aggettivo artificiali. Più volte, nel corso della lettura, il pensiero corre all’autore che immaginiamo aprire la busta indirizzatagli da uno sconosciuto e vorremmo sapere che reazione ha avuto: stupore? Irritazione? Forse solo il suo amato gatto (chiamato Federico Felino) avrà potuto coglierne l’espressione del viso. La busta contiene la lettera che tale Dório Finetto, originario della stessa zona del Minas Gerais che ha dato i natali a Ruffato e di cui si dichiara lontano parente, avanza una proposta quanto meno bizzarra.

Di fatto, l’autore della missiva porge a sua volta un simbolico mazzo di fiori al celebre scrittore, ovvero un manoscritto (“Viagens à terra alheia”) in cui ha raccolto una serie di episodi particolari della sua vita trascorsa negli angoli più disparati del mondo. Lasciato il Brasile dopo la laurea in Ingegneria, Finetto diventa consulente della Banca Mondiale nell’area delle infrastrutture e, tramite la sua attività fitta di spostamenti, gli capita di fare conoscenze tanto occasionali quanto fuori dal comune. Ha casa a Washington e conserva un alloggio anche a Rio de Janeiro, ma non ha famiglia, è solo e depresso. Su suggerimento della sua psichiatra mette per iscritto i ricordi ancora vivi di alcuni incontri e, ben lungi dall’idea di diventare scrittore, affida a un autore noto (che lui tuttavia non conosceva prima che gliene parlasse la sua terapeuta) tutte quelle pagine affinché ne faccia l’uso che preferisce. Ammesso che abbia tempo e voglia di leggerle.

Benché poco incline all’idea di farsi divulgatore di testi altrui, Ruffato accetta, complice anche la singolarità vuoi delle storie narrate vuoi dell’origine comune che lo lega a Finetto: la discendenza da famiglie venete emigrate a Rodeiro, lo stesso sperduto angolo del “continente” Brasile. Ecco perché il bouquet che firma Ruffato, riverniciando la trama (per usare l'espressione di Dório) e riformulando lo stile (per dirla con le parole dello scrittore) non è fatto di fiori freschi bensì artificiali.

Se è appassionante per il lettore balzare tra Paesi e Continenti immedesimandosi via via nelle diverse figure che popolano il racconto, talora così insolite da sembrare quasi immaginarie, è altrettanto lecito ritenere che questo viaggio sia stato appassionante pure per Ruffato. Impresa tutt’altro che semplice la sua come autore, visto che Finetto aveva stilato “Viagens à terra alheia” in tre lingue diverse: brasiliano, spagnolo e inglese. Così lo scrittore ha dovuto cercare di rendere omogeneo il linguaggio. L’operazione è riuscita tanto che anche in questo libro conserva intatto quel suo stile personalissimo cui deve, tra le molte, la consacrazione venutagli dal quotidiano O estado de São Paulo: «Un giorno ci si ricorderà di questo periodo come degli anni in cui comparve uno scrittore, chiamato Luiz Ruffato, che cambiò radicalmente la storia della letteratura brasiliana». Noi lo leggiamo tradotto in italiano da Giorgio De Marchis e Gian Luigi De Rosa, edito da laNuovafrontiera nella collana Liberamente.

Senza addentarci nelle storie e nelle tipologie dei personaggi sia per non farci sfuggire qualche inevitabile preferenza sia per non togliere la sorpresa -in questo caso il crescendo di sorprese dovremmo dire- limitiamoci a citare i luoghi delle varie ambientazioni: Argentina, Brasile, Cuba, Libano, Germania, Timor e Urugauy. Troppi luoghi e troppe distanze?  A dire il vero, sono ancora di più per via degli intrecci, delle diverse provenienze e del fiume di ricordi affiorati alla mente dei protagonisti. Manca un filo conduttore se i profili tracciati sono così eterogenei? Viene meno quel quid che caratterizza l’anima lusofona tanto ben descritta dall’opera di Ruffato? No: gli ingredienti ci sono tutti, si vola in Angola come in altre ex colonie, ci si scontra con gli spettri delle dittature e, soprattutto, la sensazione di sradicamento sottende all’intera narrazione. V’è pure un ingrediente brasiliano per eccellenza: l’alegria prorompente alternata alla saudade.

Perché il grande autore Ruffato e chi gli porge i personaggi, benché due sconosciuti, si ritrovano in perfetta sintonia grazie alle comuni origini. Se il primo dei due nei suoi precedenti libri ha ben descritto la sensazione di chi si sente straniero in ogni luogo, il secondo ne è il ritratto vivente. Il suo memoriale “Viagens à terra alheia” è anche il bilancio di un uomo irrimediabilmente solo, pieno di ricordi, che non ha veri amici e nessuno cui lasciare l’eredità o chi piangerà sulla sua tomba. Chissà se aver offerto a Luiz Ruffato tante pagine di vita vissuta diventate un romanzo -letto e apprezzato da migliaia di sconosciuti nel mondo- potrà riscaldare il suo prossimo arco di vita almeno quanto emozionerà chi avrà la fortuna di riviverle nel libro.

giovedì 7 gennaio 2016

Porto Editora: per i portoghesi è refugiado la “palavra do ano” 2015

Scelta dal 31% su 20mila partecipanti al sondaggio giunto alla settima edizione



Refugiado. Non stupisce che sia questa la parola scelta dai portoghesi come “palavra do ano” per il 2015. Non parliamo dell’intera popolazione portoghese, chiaro, bensì di quei 20mila che hanno partecipato all’ormai tradizionale sondaggio on line promosso da Porto Editora con l’intento di stabilire una graduatoria tra i vocaboli circolati maggiormente in rete nel corso dell’anno. I risultati sono stati annunciati durante una cerimonia svoltasi il 4 gennaio u.s. nella Biblioteca Municipal José Saramago a Loures, nel distretto di Lisbona. Refugiado ha registrato il consenso del 31% dei votanti, seguito da terrorismo col 17% mentre al terzo posto si è posizionato acolhimento col 16%. Decisamente distaccate le altre parole in lizza, composte da una rosa di dieci.  Esquerda è la quarta con l’8%, poi drone col 7%, plafonamento col 6%, bastão  de selfie col 5%, festivaleiro col 4%, infine superalimento col 3% a pari merito con privatização.

Come sempre i dieci vocaboli candidati vengono selezionati tramite un costante monitoraggio svolto da Porto Editora lungo l’arco dell’anno sui media, sulle reti sociali oltre che nei suoi vocabolari. Si tratta -come già specificato dal nostro Blog sui post relativi alle edizioni 2013 e 2014 - della maggior casa editrice portoghese, ben nota a chiunque studi o pratichi la lingua grazie al ventaglio di offerte educative proposte anche nel settore digitale, a partire dal celeberrimo dizionario Infopédia. Giunta ormai alla sua settima edizione, l’iniziativa ben si attaglia con l’identikit di Porto Editora, la quale dichiara di avere come principale obiettivo «sublinhar a riqueza lexical e o dinamismo criativo da língua portuguesa, património vivo e precioso de todos os que nela se expressam, acentuando, assim, a importância das palavras e dos seus significados na produção individual e social dos sentidos com que vamos interpretando e construindo a própria vida».

Non a caso, a ciascuna “palavra” selezionata per il sondaggio, Porto Editora affianca un’esauriente spiegazione sul perché della scelta e illustra il significato stesso della parola. Soffermiamoci almeno sulla prima classificata, così da avere un esempio concreto, attingendo direttamente dal sito ufficiale.

Refugiado. «O incremento de conflitos armados e a rápida desestruturação social nos países do Médio Oriente, particularmente na Síria, originou um êxodo massivo de pessoas que, deixando tudo para trás, na esperança de encontrarem um futuro melhor na Europa, arriscam a vida em processos migratórios altamente perigosos, e que muitas vezes têm um final trágico». E ancora: «re.fu.gi.a.do [rəfu'ʒjadu] adjetivo, nome masculino 1. que ou pessoa que se refugiou ou abrigou 2. que ou pessoa que abandonou o seu país para escapar a guerra, fome, condenação, perseguição, etc. e que encontrou refúgio noutro país. Particípio passado de refugiar». 

Spulciando tra i media portoghesi colpisce l’interesse destato dal sondaggio, come emerge dai commenti, non esenti tuttavia da osservazioni critiche. Il lettore di un giornale on line scrive «Que pena não haver votação para “inconseguimento”». Concorde con l’atteggiamento di delusione per quello che ritiene un mancato o un limitato accoglimento, quest’altro commento: «é a falta de palavra que devia de ser mais votada?» Palesemente contrario, invece, a ospitare i rifugiati si dichiara un altro lettore che così si esprime: «Refugiados? Diga antes migrantes ilegais». Del resto, tutto il mondo è Paese. Anche in Portogallo, come a casa nostra, si fronteggiano opposte posizioni al riguardo.

Il 13 settembre u.s. nell’ambito del “Dia Europeu de Ação aos Refugiados”, alla grande manifestazione di Lisbona confluita in Praça Marquês de Pombal dopo aver percorso Avenida da Liberdade fino al Terreiro do Paço, cercò di opporsi una contro manifestazione organizzata dal Partido Nacional Renovador tanto che la Polizia dovette separare i due gruppi. A scontri fortunatamente evitati, della giornata resta vivo il ricordo di quel migliaio di cittadini autoconvocatisi tramite reti sociali sotto il nome di “Movimento de cidadãos” che sfilavano esibendo eloquenti cartelli con scritte come “bem-vindos refugiados” e “fronteiras não, somos todos irmãos”.


Per saperne di più: http://www.palavradoano.pt