venerdì 2 agosto 2013

Vai in vacanza? Metti in valigia l'ultimo libro di David Machado. Resti a casa? Quella lettura ti porterà idealmente in Portogallo

Dell'ultimo libro di David Machado abbiamo già riferito con la presentazione pubblicata nel post del 17 marzo u.s. Ora il diario portoghese lo ha fatto leggere ad una sua affezionata collaboratrice che ci ha girato le sue impressioni. Ve le proponiamo, come invito ad una lettura che vi accompagni magari in vacanza se avete la fortuna di andarci o che vivacizzi i momenti di relax in casa, se la crisi vi fa rinunciare alle vacanze. Per chi ama il Portogallo, "viaggiare" con la lettura di Machado, è come trasferirsi idealmente in Portogallo per tutte le sue avvincenti 320 pagine.


Quando ho preso in mano "Che parlino le pietre" non conoscevo David Machado, o meglio, non avevo letto nulla di suo. Non potevo quindi avvicinarmi alla lettura con delle attese ben precise, né con dei pregiudizi. Ero semplicemente attratta da un libro portoghese in quanto affascinata da quella terra, da quella lingua, da quella storia. Già dopo poche pagine mi è parso chiaro che quel racconto non sarebbe mai potuto uscire dalla mente e dalla penna di chi non fosse nato e cresciuto in Portogallo. Tutta la trama, infatti, è strettamente legata alla recente storia che il Paese ha vissuto sotto la lunga dominazione dittatoriale.
Mi spiego meglio: Machado non si mette a scrivere l'ennesimo libro sulla dittatura, immagina e racconta una storia dei giorni nostri, in cui l'io narrante è un ragazzo ancora adolescente che la dittatura non l'ha nemmeno vissuta. A chi poi obiettasse che di Paesi passati sotto le forche caudine di uno strapotere dominante altrettanto spietato, ce ne sono parecchi, mi viene da dire che funzionali a questa storia risultano altre caratteristiche imprescindibili del Portogallo, come avere la Spagna confinante da cui gli oppositori fuggivano e possedere ex colonie popolate di isole sperdute dove relegare detenuti giudicati pericolosissimi. Ma questi sono dettagli.

Il ragazzo che narra si chiama Valdemar ed ha un'ossessione, fra le tante: riscattare il nonno da una vita funestata da incredibili sofferenze, vendicandolo. Si darà quindi ad una spasmodica ricerca del responsabile della mala sorte del nonno, il delatore che lo ha denunciato alla PIDE come rivoluzionario, mentendo. Machado, cui certo non manca l'immaginazione, gioca tutta la storia su più piani, sempre al limite del fantastico e con scaltrezza. Ben sapendo che il lettore si chiederà se situazioni e scenari descritti possano realmente essere accaduti, l'autore lo spiazza avanzando lui stesso il dubbio con varie opzioni. Avremo così più ipotesi, più versioni, più fatti con cui misurarci.

Scopriremo la verità, o avremo l'illusione di scoprirla, solo in fondo al lungo racconto che mi è apparso intenso, appassionante e a tratti persino urticante. C'è molta violenza nel libro, sia nei gesti del ragazzo che aggredisce i suoi compagni, sia negli interrogatori e nelle varie prigionie subite dal nonno. Poi, improvvisamente, affiorano tra le righe anche dolcezza e tenerezza, che non ti aspetteresti. E che Machado sappia tenere sulla corda il lettore, sorprendendolo, è palese. Come indubbio è che sappia utilizzare la scrittura con maestria.

Ogni lettore potrà restarne colpito o affascinato o persino disgustato, mai indifferente. Potrà focalizzare la sua attenzione su questo o quel personaggio, su una delle tante identità vissute dal nonno, sul mondo parallelo di Valdemar che immagina draghi e persino sulla sua relazione con la ragazzina anoressica che si concede a lui, ma non solo a lui, lusingandolo con una dichiarazione tranchant ("sei figo, tu sei proprio figo") che non basta però a rassicurarlo.