Dell'ultimo libro di
David Machado abbiamo già riferito con la presentazione pubblicata nel post del 17 marzo u.s. Ora il diario portoghese lo ha fatto leggere ad una sua
affezionata collaboratrice che ci ha girato le sue impressioni. Ve le
proponiamo, come invito ad una lettura che vi accompagni magari in vacanza se
avete la fortuna di andarci o che vivacizzi i momenti di relax in casa, se la
crisi vi fa rinunciare alle vacanze. Per chi ama il Portogallo,
"viaggiare" con la lettura di Machado, è come trasferirsi idealmente
in Portogallo per tutte le sue avvincenti 320 pagine.
Quando ho preso in mano
"Che parlino le pietre" non conoscevo David Machado, o meglio, non
avevo letto nulla di suo. Non potevo quindi avvicinarmi alla lettura con delle
attese ben precise, né con dei pregiudizi. Ero semplicemente attratta da un
libro portoghese in quanto affascinata da quella terra, da quella lingua, da
quella storia. Già dopo poche pagine mi è parso chiaro che quel racconto non
sarebbe mai potuto uscire dalla mente e dalla penna di chi non fosse nato e
cresciuto in Portogallo. Tutta la trama, infatti, è strettamente legata alla
recente storia che il Paese ha vissuto sotto la lunga dominazione dittatoriale.
Mi spiego meglio:
Machado non si mette a scrivere l'ennesimo libro sulla dittatura, immagina e
racconta una storia dei giorni nostri, in cui l'io narrante è un ragazzo ancora
adolescente che la dittatura non l'ha nemmeno vissuta. A chi poi obiettasse che
di Paesi passati sotto le forche caudine di uno strapotere dominante
altrettanto spietato, ce ne sono parecchi, mi viene da dire che funzionali a
questa storia risultano altre caratteristiche imprescindibili del Portogallo,
come avere la Spagna confinante da cui gli oppositori fuggivano e possedere ex
colonie popolate di isole sperdute dove relegare detenuti giudicati
pericolosissimi. Ma questi sono dettagli.
Il ragazzo che narra si
chiama Valdemar ed ha un'ossessione, fra le tante: riscattare il nonno da una
vita funestata da incredibili sofferenze, vendicandolo. Si darà quindi ad una
spasmodica ricerca del responsabile della mala sorte del nonno, il delatore che
lo ha denunciato alla PIDE come rivoluzionario, mentendo. Machado, cui certo
non manca l'immaginazione, gioca tutta la storia su più piani, sempre al limite
del fantastico e con scaltrezza. Ben sapendo che il lettore si chiederà se
situazioni e scenari descritti possano realmente essere accaduti, l'autore lo
spiazza avanzando lui stesso il dubbio con varie opzioni. Avremo così più
ipotesi, più versioni, più fatti con cui misurarci.
Scopriremo la verità, o
avremo l'illusione di scoprirla, solo in fondo al lungo racconto che mi è apparso
intenso, appassionante e a tratti persino urticante. C'è molta violenza nel
libro, sia nei gesti del ragazzo che aggredisce i suoi compagni, sia negli
interrogatori e nelle varie prigionie subite dal nonno. Poi, improvvisamente,
affiorano tra le righe anche dolcezza e tenerezza, che non ti aspetteresti. E
che Machado sappia tenere sulla corda il lettore, sorprendendolo, è palese.
Come indubbio è che sappia utilizzare la scrittura con maestria.
Ogni lettore potrà
restarne colpito o affascinato o persino disgustato, mai indifferente. Potrà
focalizzare la sua attenzione su questo o quel personaggio, su una delle tante
identità vissute dal nonno, sul mondo parallelo di Valdemar che immagina draghi
e persino sulla sua relazione con la ragazzina anoressica che si concede a lui,
ma non solo a lui, lusingandolo con una dichiarazione tranchant ("sei
figo, tu sei proprio figo") che non basta però a rassicurarlo.
Un grazie sincero alla nostra affezionata lettrice per la bella recensione e un augurio a tutti di Buone Vacanze!
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