venerdì 28 settembre 2012

Outra vez te revejo. Viaggio nella poetica pessoana (Convegno Internazionale di Studi. Firenze, 2-3 Ottobre)

 
Programma
 

Martedì 2 Ottobre 2012

9,15 Apertura dei lavori

Piero Ceccucci, Presentazione del Congresso

9,30 Saluto del Magnifico Rettore

Saluto dell’Ambasciatore del Portogallo in Italia

Saluto del Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia

9,45 Inês Pedrosa

(Diretora Casa Fernando Pessoa – Lisboa)

10,00 Conferenza di apertura

Eduardo Lourenço

(Filósofo e Ensaista)

10,45-11,15 - Intervallo

I Sessione: Presiede Arnaldo Saraiva

11,20 Piero Ceccucci, “Amor mas devagar”, o del profilo asimmetrico del sentire amoroso

di Fernando e Ophélia

(Università di Firenze)

12,00 Giulia Lanciani Il libro del genio e della follia

(Università Roma3)

13,00-15,00 - Pausa Pranzo

II Sessione: Presiede Giuseppe Tavani

15,00 Barbara Gori, Riflessioni sugli ottonari “tristi” dell’ultimo Pessoa

(Università Padova)

15,20 Maria João Reynaud, Raul Brandão e Fernando Pessoa, um diálogo (im)provável

(Universidade Porto)

15,40 Guia Boni, Le lettere di Fernando Pessoa: poetica di una corrispondenza

(Università Napoli)

16,00-16,20 - Intervallo

III Sessione: Presiede Fernando Martinho

16,20 Jeronimo Pizarro, Quem é o autor: Pessoa ou não Pessoa?

(Universidad de los Andes - Bogotá)

16,40 Michela Graziani, Um Oriente ao oriente do Oriente”. Elementi di filosofia

orientale in “Mensagem”

(Università Firenze)

17,00 António Carlos Cortez, Fernando Pessoa: da crítica e do ensaio como formas de

literatura

(Crítico e Ensaista)

Discussione conclusiva

Mercoledì 3 Ottobre 2012

I Sessione: Presiede Giulia Lanciani

9,30 Apertura dei lavori

9,30 José Gil, A heteronímia revisitada

(Universidade Nova de Lisboa)

10,00 Nuno Júdice, Fernando na “Presença”

(Universidade Nova de Lisboa)

10,20 Federico Bertolazzi, Anima e paesaggio in Bernardo Soares e Alberto Caeiro

(Università Roma2)

10,40 Orietta Abbati, Pessoa vs Whitman: per la lettura di un possibile (?) supra-Whitman

(Università Torino)

11,00-11,20 - Intervallo

II Sessione: Presiede José Gil

11,20 António Fournier, Il misterioso Don Fernando: a propósito da primeira recepção

de Pessoa na Itália

(Università Torino)

11,40 Arnaldo Saraiva, A Ceifeira de Pessoa: variações

(Universidade Porto)

12,00 Fernando Martinho, Para uma tópica da melancolia: o ubi sunt em Fernando Pessoa

(Universidade de Lisboa)

12,20 Mariagrazia Russo, Rumore, musica e silenzio nel lessico pessoano: frammentarietà

e unitarietà

(Università della Tuscia – Viterbo)

13,00-15,00 - Pausa Pranzo

III Sessione: Presiede Nuno Júdice

15,00 António José Borges, Culto do paradoxo e poética da filosofia não-reflexiva/

não-reflexão filosófica em Alberto Caeiro

(Ensaista)

15,20 Matteo Rei, Por este papel dentro: Pessoa e la scrittura

(Università Torino)

15,40 Maria Bochicchio, Fernando Pessoa e Carlos Queiroz: o quotidiano moderno nas

dialécticas da emoção e da razão

(Universidade Coimbra)

16,00 Conferenza di chiusura

Teresa Rita Lopes, Fernando Pessoa, quem foi? Descendente de fidalgos e judéus?

Português à inglesa? Com uma costela algarvia?

(Universidade Nova de Lisboa)

Discussione conclusiva

martedì 25 settembre 2012

Novità Urogallo (4): Rubem Fonseca, "Diario di un libertino"


Rubem Fonseca, Diario di un libertino

 
 
Rufus, scrittore in fase calante, il 1 gennaio decide di registrare un diario le sue peripezie sentimentali e le sue considerazioni personali. In quel periodo si trova in una relazione con una donna – dal nome di casanoviana memoria di Henriette – che ben presto volgerà al termine. Ma l’e-mail di Clorinda, giovane fan dell’opera letteraria di Rufus, cambierà per sempre il corso della sua vita. Fra coinvolgimenti sentimentali al limite dell’incesto involontario, torbide vicende di droga e sadomasochismo, accuse di violenze carnale e uccisioni sospette, Rufus si troverà a dirimere una vicenda complicatissima, dalla quale uscirà completamente cambiato.
 
I giapponesi hanno un proverbio: un tipo inizia a invecchiare quando non vuole più apprendere. Il mio proverbio è che il tipo in questione inizia a invecchiare quando non vuole più amare, quando perde l’entusiasmo per la comunione sessuale, non ha più il coraggio di affrontare l’incandescenza, le raffinatezze erotiche e anche le delusioni, afflizioni, e la logistica esasperante dell’avventura amorosa. È necessario, come afferma il Don Giovanni di Molière, mantenere uno sguardo attento ai meriti di tutte le donne, rendere omaggio a ognuna e pagare il tributo a ognuna di loro il tributo a cui ci obbliga la natura.

Novità Urogallo (3): João Paulo Borges Coelho, "Campo di Transito"


João Paulo Borges Coelho, Campo di transito

 
 

Mungau viene sottratto alla sua vita quotidiana dalle forze di polizia, senza alcuna spiegazione, né la formulazione di alcuna accusa, per essere condotto prima in uno stabilimento di detenzione temporanea e poi deportato in un campo di transito, immerso nelle foreste del Nord del paese. Un romanzo perturbante, venato di toni kafkiani, sulla rieducazione degli elementi “scomodi” al regime mozambicano. La fine tessitura della prosa di Borges Coelho, però, ne fa un’opera universale, godibile ben al di fuori delle frontiere del suo paese d’origine.

«Guardate quest’orto qui vicino, l’orto del gruppo del 13.2. Cresce a vista d’occhio, tutti i giorni il terreno nudo viene trasformato in terra arata e seminata, terra che darà benefici a quelli che vi hanno investito: bei carciofi e teneri asparagi. Adesso confrontatela con quella laggiù». […] «Vale la pena tutta quell’ostinazione individuale? Tanti eccessi, diciamo così, di un singolo? Vale la pena sfidare da soli la natura?» «No!», rispondono gli alunni prigionieri, più convinti dopo essere stati dispensati da lui. «Solo nella collettività ci è possibile vincere la natura!»

 

Novità Urogallo (2): Rubem Fonseca, "E nel mezzo del mondo prostituto, solo amore pel mio sigaro ho tenuto"


Rubem Fonseca, E nel mezzo del mondo prostituto, solo amore pel mio sigaro ho tenuto



Mandrake si trova stavolta alle prese con una sciarada che si annuncia impossibile: Gustavo Flávio, scrittore di successo e amante di successo ancor più grande, si vede recapitare per posta delle foto di donna, tutte di sue ex partner o amanti occasionali. A pochi giorni di distanza da ogni invio, la donna ritratta nella foto viene brutalmente uccisa con dei colpi d’arma da fuoco, sempre la stessa, in circostanze simili tra di loro. Le deposizioni di Gustavo, quelle di sua moglie Luíza e della sua ex moglie Amanda, registrate e trascritte da Mandrake, ci danno un quadro della situazione, anche se frammentario e discontinuo. Sullo sfondo del consumo di sigari di marca quale indicatore sociale di mondanità e vizio, si snoda una vicenda dai contorni sfuggenti e inquietanti.
Il mio nome è Mandrake, sono avvocato criminalista. I casi di omicidio sono sempre una specie di sciarada. I clienti ti mentono sempre, i poliziotti ti mentono, i testimoni mentono a tutti. Ho iniziato a mettere insieme questo rompicapo senza disporre di tutte le sue parti, con pazienza, dopo aver sentito attori e coadiuvanti di questa trama. Ho registrato la maggior parte delle conversazioni che ho avuto con tutti loro. […] «Quel giorno sono arrivata all’appartamento di Gustavo con una scatola di Corona giganti (il formato di un churchill), della Bolívar. Mentre lui apriva la scatola, commentando che il disegno del coperchio mostrava un antipatico Bolívar con il naso a punta e la bocca cinica, mi sono versata un bicchiere d’acqua nel cucinino e ho preso la pillola inibitrice dell’appetito. Volevo dimagrire fino ad essere come la sua nuova moglie, Luíza».

Novità Urogallo (1): José Eduardo Agualusa, "Al posto del morto"

José Eduardo Agualusa, Al posto del morto

Agualusa ci regala un nuovo volumetto di prosa breve, nel quale vari autori già deceduti (tra cui Bruce Chatwin, Jorge Amado, Pessoa, Jorge Luis Borges, Antoine de Saint- Exupéry, Nabokov e Bertrand Russel) si prendono la briga di scrivere, a partire dall’aldilà, un elzeviro su uno dei tanti aspetti della nostra attualità, da un punto di vista senz’altro originale e dal quale la distanza critica è innegabile. Gli elzeviri raccolti nel volume provengono dall’omonima rubrica (O Lugar do Morto) apparsa mensilmente nella rivista letteraria lisbonese LER.
Sarà sempre di più il compito dei piccoli editori –riesco a vederli anche da qui, giovani e appassionati– scoprire nuovi autori. Loro dovranno farsi carico del rischio, mentre i grandi ci mangiano sopra. Perderanno il poco che hanno, mentre i grandi accumuleranno. E quando finalmente centreranno il bersaglio e cominceranno ad ottenere dei guadagni verranno divorati. Eh sì, la bellezza è ingrata. Ma, in fondo, è bellezza! [Jorge Luis Borges]
Le accademie possono anche perdonare il talento, ma non il successo: e io possedevo entrambi (mi dispiace se la mia immodestia vi disturba, ma la modestia non ha mai fatto parte dei miei difetti). [Vinicius de Moraes]

sabato 22 settembre 2012

Antonio Tabucchi: un ricordo in sei appuntamenti (2° incontro)

 
Lunedì 24 settembre, a Pisa (Palazzo Boilleau, via S. Maria 85), si terrà l'incontro “Adamastor e dintorni. Tabucchi, Pisa e la filologia”, in ricordo dello scrittore scomparso. Grazie alla generosità della vedova dello scrittore, Maria José De Lancastre, verrà inoltre letto il brano inedito “Quaderno greco”.
 
L’iniziativa è nata dalla volontà di toccare le molte corde dell'universo tabucchiano in un itinerario distribuito nel tempo portando il suo ricordo nelle università italiane più care allo scrittore e lusitanista: Siena (dove ha insegnato negli ultimi anni), Pisa (dove ha studiato), Bologna (la sua prima sede istituzionale), Genova (dove fu docente negli anni Ottanta), Milano e Venezia.
 
Interverranno: Valeria Bertolucci Pizzorusso, Remo Ceserani, Giuseppe Di Stefano, Francesco Guazzelli, Giuseppe Marcocci, Bruno Mazzoni, Sandro Martinengo, Thea Rimini, Salvatore Settis, Mauro Tulli, Valeria Tocco e Maria José De Lancastre.
 
Visualizza il  programma completo.

lunedì 17 settembre 2012

Novità da Cavallo di Ferro: "Una giornata con Tabucchi", ricordo di un amico che non c'è più


Il 24 settembre prossimo Antonio Tabucchi avrebbe compiuto 69 anni. In omaggio al grande scrittore, scomparso a Lisbona lo scorso 25 marzo, la casa editrice romana Cavallo di Ferro pubblica un libro in cui alcuni suoi amici scrittori (Paolo Di Paolo, Dacia Maraini, Romana Petri Ugo Riccarelli) - attraverso racconti inediti, lettere, testimonianze, conversazioni - lo ricordano, narrando il legame che avevano con lui. 

Con affetto e un po' di nostalgia, i suoi amici aprono per noi le porte su un Tabucchi intimo e sconosciuto: così, ripercorrendo nella memoria momenti trascorsi in sua compagnia e scambi di idee, lasciano che appaia fra le pareti della sua casa di Vecchiano in Toscana, nel suo salotto di Lisbona, ai fornelli dove era davvero bravo, magari intento a cucinare una ribollita, e ancora al telefono in piena notte, o in viaggio. Ognuno di questi quattro amici lo evoca a suo modo; con uno scritto inedito, una testimonianza personale, un'immagine del primo incontro. Il risultato è un racconto a più voci, commosso e mai cattedratico, per onorare il grande autore italiano che, richiamato indietro dalle parole di amici e colleghi, ricompare come fosse la presenza fantasmatica di una delle sue storie. Ma con lui si manifesta pure l'uomo Tabucchi, con le sue stravaganze e debolezze, capace di grandi amicizie e slanci di generosità e al contempo di lunghi momenti di assenza, come quando - racconta Paolo di Paolo - spariva per un po' per riapparire, poi, come se il tempo non fosse mai passato o fosse stato l'altro, e non lui, a non farsi più sentire.
Il vuoto lasciato è difficile da colmare. Rimangono le sue opere e la forza del suo pensiero, eterno, capace di resistere al tempo e agli scherzi della memoria. Rimangono le sue idee, le convinzioni, intatte e adamantine, che in questo volume è possibile riascoltare - dalla sua viva voce e da quell'altrove che lui più volte aveva esplorato - grazie all'intervista, fino ad oggi inedita, rilasciata a Carlos Gumpert.

Un dono per tutti noi lettori: assistere, ancora una volta, al suo ironico, pungente, divertito e instancabile ragionare sul mondo e sulla letteratura.

Una giornata con Tabucchi, Cavallo di Ferro, Roma, 2012 (120 pagine, 12.90 euro).

Sul portale Rai Letteratura trovate il video dell'intervista in cui Paolo Di Paolo regala il suo personalissimo ricordo di Antonio Tabucchi, mentre sul sito del quotidiano Il Messaggero potete leggere in anteprima il testo di Dacia Maraini


venerdì 7 settembre 2012

"L'uomo dallo stecchino in bocca" di João Melo: un racconto

La casa editrice Urogallo fa un regalo ai suoi lettori e dà loro la possibilità di scaricare gratuitamente dal sito gli estratti dei libri in pubblicazione. Incuriosite da questa bella iniziativa, siamo rimaste piacevolmente sorprese dalla prosa eclettica, verbosa, a tratti sconnessa di un autore angolano, quasi completamente dimenticato dal panorama italiano: João Melo. Vi proponiamo uno dei quattro racconti della raccolta L’uomo dallo stecchino in bocca, certi di incontrare il vostro interesse, sebbene l’immediatezza comunicativa e la prosa tagliente del nostro autore richiedano di certo uno sforzo per apprezzarne il valore.  

Cazzo!

Un Paese in cui se dici “Touareg” si pensa a una “macchina da amante” non è un Paese! Ovviamente non sono stato io a dirlo. È anche vero che, non è stato nessuno a dirlo, visto che una delle virtù tipiche degli angolani, è quella di essere discreti e di sapersela cavare. Questo ha permesso loro di sopravvivere a tutte le sventure che, nei secoli, li hanno costantemente perseguitati. Intanto, non riporterò qui tali sciagure poiché, come mi ha garantito una stimata professoressa, la letteratura non si può limitare a essere una mera trascrizione della realtà. Inoltre, ciò che per qualcuno è sfortuna da altri può essere considerato un giusto e meritato castigo. Chi può comprendere in modo pieno e soddisfacente i meandri della mente umana? Allora scrivo: lo sfogo si limitò a svolazzare dentro la testa del vecchio Zacaria, come un uccello del malaugurio, quando vide scendere elegantemente dalla jeep verde bottiglia, lucidata a specchio quella mulatta slanciata, dalla chioma fulva, con le labbra scarlatte, gli occhi scuri, l’abito che le scivolava morbidamente sul corpo e le scarpe alte e sottili. La scena scorse lentamente, come in un film al rallentatore ed ebbe un impatto olistico: tutt’intorno, gli uomini si fermarono e si concentrarono sulla straordinaria figura che sembrava uscita da un universo sconosciuto; le donne si sentirono stranamente violentate e persino i cani smisero di abbaiare. Fra i denti, il vecchio Zacaria mormorò con esitazione una parolina proibita, che il decoro mi impedirebbe di scrivere nel testo: «Cazzo!» Si dice che da quel giorno il vecchio Zacaria impazzì definitivamente. Niente di tutto ciò. Niente di tutto ciò. Ancora una volta, non sono stato io a proferire questa frase piena di angoscia. Il suo autore è Romero O Kota, al quale adesso cedo la parola. Agisco – devo dirlo – con le migliori intenzioni, poiché, credetemi, fare il narratore non è facile. Siamo malvisti da tutti. Alcuni pensano che abbiamo qualcosa a che fare con l’autore, quando questi, per regola generale, altro non è che un povero disgraziato, come nel mio caso. Cerco di spiegare chiaramente che, quando scrivo, sono posseduto da una sorta di spirito che desidera soltanto la mia disfatta, ma nessuno crede nella mia innocenza. Altri giurano e spergiurano che cerco vigliaccamente di nascondermi dietro ai personaggi. Cito Jorge Amado e Agualusa per affermare che sono i personaggi a comandare la narrazione, ma, dato che i lettori non conoscono nessuno di questi notevoli scrittori, mi accusano di essere un bugiardo compulsivo. Ripeto: la vita del narratore non è per nulla facile. D’altronde, non a caso, l’opinione pubblica afferma perentoriamente che la bugia è come la valanga; più rotola, più s’ingrossa. Odio questa presunta verità, anche perché nulla posso contro di lei. È difficile affrontare verità presunte.

Ora, la parola a Romero O Kota. Conobbi Zacaria alla vecchia Fazenda e Contabilidade. Un funzionario esemplare. Adesso pare una banalità. Le parole, a forza di ripetizioni, perdono l’anima. I comizi sono sempre grandiosi. I capi sono sempre chiaroveggenti. I mariti, alla loro morte, vengono ricordati per essere stati in vita oculati capi di famiglia. Una volta non era così. Ma Zacaria era davvero esemplare. Non fu mai promosso direttore dei servizi solo perché era nero. Per questo, non gli piacevano le ingiustizie. Non lo sapeva nessuno. Soltanto io. Zacaria era legato alla rete clandestina che appoggiava la guerriglia della 1° Regione. Nascondeva in casa sua, nel Bairro dos Saiotes, a Luanda, dei guerriglieri che penetravano furtivamente in città, alla ricerca di viveri. Regolarmente, nei fine settimana, andava fino a Caxito, ufficialmente per fare un picnic con la famiglia ma, nel cammino, si incontrava coi guerriglieri. Quando la PIDE lo scoprì, Zacaria venne catturato. Si fece tre anni di galera. È questo che lo ha lasciato frastornato. Mi ricordo come se fosse oggi il giorno in cui uscì. Accompagnai sua moglie, che lo era andato a prendere al carcere di São Paulo. Si abbracciarono silenziosamente. Poi, mi strinse la mano. Invece di un sorriso, giuro che vidi sulla sua bocca, in sordina, una parola che non avevo mai sentito prima: «Cazzo!». Non fu la prigione che lo fece impazzire, nossignore. Quando lo conobbi, parlava già a vanvera. Ma era un grande ipocrita… Sembrava tutto perfettino, ma dalla sua bocca usciva tutto e niente… Addirittura, a volte, sobbalzavo alle parolacce che diceva… Quando tornava dal lavoro, farneticava sempre… Quando scopavamo (scusatemi ma, sinceramente, non abbiamo mai fatto l’amore), diceva: «Cazzo! Cazzo! Cazzo!» Non sbagliatevi: le inusitate rivelazioni già citate le ha fatte la moglie del vecchio Zacaria; la quale aggiunge anche quest’altra citazione estratta dal repertorio escatologico del marito: «Quando se ne vanno questi coloni di merda?». Questa domanda era sempre sulla sua bocca. Penso che sia per questo che era mezzo suonato. Sì, è vero, era anche un funzionario esemplare. Il suo capo, un bianco di Trás-os-Montes, diceva che era un nero civilizzato. Addirittura lo invitò a una festa. Ma Zacaria non ci andò. Era un cospiratore. Tuttavia, a tutt’oggi non ha mai apprezzato veramente qualcuno. È cambiato soltanto dopo la Dipanda. Una metamorfosi totale: lo Zacaria che ho sempre desiderato ma che ho avuto soltanto per un lasso di tempo breve quanto un sogno mattutino. Si ammansì. Addirittura, quando tornava a casa, salutava. Confesso: ho nostalgia di quei baci calmi e umidi sul mio viso!… Cominciò a preoccuparsi dei figli. Un giorno, dopo aver fatto l’amore, finalmente esclamò: «Ti amo, donna!». Tuttavia, la Dipanda finì velocemente. Per me, terminò il giorno in cui Zacaria tornò a casa e non mi baciò. Cominciò a urlare (questo verbo mi piace poiché si confà al nostro lato animalesco): «Chi si credono di essere questi? Siamo noi che abbiamo sopportato questa merda mentre loro erano là fuori! Che cosa ne sanno loro? Niente! Perché adesso ci allontanano?!…» E, come al solito: «Cazzo!». Il narratore si compiace, per non aver ancora chiamato il vecchio Zacaria “Compagno Cazzo”, come si diceva all’epoca, o “Dottor Cazzo”, come raccomandano gli standard di adesso, ricreati dai giovani infatuati post-socialismo, ma la stimata professoressa di letteratura nuovamente gli ricorda: «L’eccesso di ovvietà cancella la realtà…». Per cui è meglio che non interferisca nella storia del vecchio Zacaria.

Eppure non riesco a fare a meno di raccontare, pur rischiando di essere additato per strada come letterale, che egli quando seppe, qualche mese dopo l’indipendenza, che il suo nuovo direttore era un vecchio servitore della divisione dove lavorava, riuscì a ottenere l’esonero e cominciò a lavorare come contabile. Così tirò avanti i primi quindici anni di indipendenza, sopportando, come quasi tutti, sacrifici veramente straordinari, ma senza mai chiedere nulla a nessuno. Quando l’avventura socialista venne sostituita dalla cosiddetta democrazia e poi dal capitalismo, iniziò a diffidare dei nuovi discorsi, visto che dietro vedeva le stesse maschere di sempre, il che gli faceva venire una voglia matta di emettere i suoi famosi “cazzo”. Tanto che, davanti al caos generale che si era diffuso nel paese pensò che era tutto definitivamente perso. Informò i suoi clienti che non avrebbe più lavorato per loro, collocò i suoi libri di contabilità nel fondo di un cassetto qualsiasi e cominciò a sedersi tutti i pomeriggi, immancabilmente, nel balcone dell’appartamento in cui viveva, godendosi il movimento della città con l’aria sinceramente compunta di chi si trova alla veglia funebre di qualcuno che gli è stato molto caro. A chi lo osservava dalla strada, sembrava che un’ombra senza colore avesse avvolto completamente la sua figura fragile e triste. Doveva trattarsi di sofferenza. Fu da questo balcone che il vecchio Zacaria vide la mulatta dalla capigliatura fulva scendere dal Touareg, alle tre del pomeriggio, a Luanda, come se si stesse dirigendo a una serata di gala a Hollywood. Una puttana, di certo. Un uccello del malaugurio sbatté le ali dentro la testa del vecchio Zacaria. Egli non lo sentì. Indolenziti e lenti i pensieri dentro la sua testa: «L’Angola è perduta… Un Paese dove una jeep Touareg è una “macchina da amante” non è un Paese!… Che vergogna!… Sarà l’amante di qualche generale, qualche ministro, qualche trafficante di diamanti o chissà che!… Guarda un po’… questo è il vestito da usare a quest’ora, con tutto questo sole, questa polvere, questa spazzatura, questo degrado?». Degrado. Questa parola perseguitava da molto tempo il vecchio Zacaria. Nella sua testa assumeva varie forme. Come direbbe la professoressa di letteratura, era una parola multiforme o polisemica. La cosa peggiore era il degrado morale. Non ci sono più principi. Non ci sono valori. Tutto vale. Dove s’è mai vista, all’epoca, una puttana andare con una jeep come questa in pieno giorno? La donna camminava verso il palazzo dove abitava il vecchio Zacaria prima dell’indipendenza. Quando i coloni e i loro scatoloni se ne andarono, nel ’75, non volle occupare nessuna casa. Quell’appartamento gli bastava, a lui e alla sua famiglia: donna Domingas, già deceduta, il figlio scomparso in guerra e la figlia buttata fuori di casa il giorno in cui lei gli sbatté in faccia questa frase strana: «Papà, sei fuori dal mondo!» Il vecchio Zacaria non ammetteva frasi ambigue. Per lui, pane al pane, vino al vino. Dalla terrazza che da tempo aveva trasformato in una specie di osservatorio del degrado quotidiano che stava inesorabilmente espandendosi per la città, accompagnò con lo sguardo la donna dalla capigliatura fulva e gli occhi scuri che si dirigeva verso il suo palazzo. Adesso che viveva solo, senza nessuno che potesse civilizzare il suo linguaggio, poté esclamare, con un misto di sollievo e di rabbia: «Cazzo!» Il resto della storia è veloce. Due scampanellate. Chi sarà? Da secoli, quasi, nessuno lo andava a trovare. «Violante!?» La figlia cacciata di casa. Capigliatura fulva, occhi scuri, abito che le scivola morbidamente sul corpo, scarpe alte e sottili. Un sorriso che gli acceca lo sguardo. Ditemi, cari lettori: come reagireste se foste al posto del vecchio Zacaria?

(Racconto incluso nella raccolta L’uomo dallo Stecchino in Bocca, Edizioni Urogallo, 2010, traduzione dal portoghese di Donatella Orioli)

Per maggiori informazioni sull’autore e sulla raccolta di racconti, si veda il sito della casa editrice Urogallo.


sabato 1 settembre 2012

Alle origini di José Saramago con "Lucernario", romanzo giovanile inedito

Vi proponiamo qui la recensione del romanzo Lucernario di José Saramago, pubblicata il 3 agosto scorso su "L'espresso" e firmata da Nello Ajello. 

Terminato nel 1953 e ignorato dall'editore a cui il trentenne Saramago lo aveva proposto, Lucernario (Claraboia, in portoghese) si aggiunge ai numerosi casi di "errori editoriali", alle infinite e clamorose storie di libri rifiutati ma destinati a diventare famosi (a questo proposito è interessante il saggio di Mario Baudino, Il gran rifiuto. Storie di autori e di libri rifiutati dagli editori, Passigli, Milano, 2009). 

Un conformismo dolente e opaco, una mesta caligine dei sentimenti. È difficile immaginare il ritratto più compiuto di un regime politico oppressivo di quello che emerge dal romanzo di José Saramago, "Lucernario" (Feltrinelli, pp. 330, euro 18). Si tratta di un autentico "recupero" nella produzione del premio Nobel. Scritto dal 1949 al 1952 - l'autore aveva fra i vensisette e i trent'anni - e rimasto finora inedito, è come un ideale compendio della vita quotidiana del Portogallo sotto Salazar, benché mai nominato. La vicenda è centrata in un caseggiato piccolo-borghese di Lisbona, gremito di personaggi in preda a sentimenti repressi. Non può stupire la mancata pubblicazione, in quegli anni lontani. 

Fa spicco nelle pagine una ragazza, Maria Claudia, il cui amore per un coetaneo viene vissuto in famiglia come una trasgressione delittuosa. Vi si incontra un'altra donna, meno giovane, la cui libertà sessuale è motivo di scandalo fra i pianerottoli. Per non parlare dei sentimenti che uniscono due sorelle, Candida e Adriana, con una sottaciuta pulsione omosessuale. Le «vite di coppia» che l'autore descrive sono di un'aridità resa soffocante dalle convenzioni. Non basta a ravvivare il clima la presenza di un giovane, Abel, pigionante presso la famiglia d'un calzolaio: la sua aspirazione a qualcosa di eticamente diverso si spegne in un'estenuata disfatta. A tratti si pensa agli "Indifferenti" di Moravia, opera anch'essa giovanile composta nell'aura di una dittatura, benché con superiore capacità espressiva. In questo Saramago non mancano, insomma, ingenuità e lungaggini, e tuttavia vi si avverte l'esordio promettente d'un narratore di alto livello. L'avversione per l'assetto sociale che il libro descrive è così evidente da contagiare il lettore. Il quale si sente assunto a testimone d'un mondo senza gioia.



("Alle origini di Saramago", Recensione di Nello Ajello, L'espresso, 03/08/2012)


José Saramago, Lucernario, trad. it. di Rita Desti, Feltrinelli, Milano, 2012, pp. 336, euro 18.