martedì 25 giugno 2013

LISBONA: “RE-FOOD 4 GOOD” CONTRO LA FAME E LO SPRECO ALIMENTARE

Successo crescente per l'iniziativa dell'immigrato nord-americano in bicicletta

Della crisi economica europea che da un paio d’anni ha colpito fortemente il Portogallo non si parla tanto quanto si parla, invece, della crisi greca. Ma resta una realtà, come testimoniano le diverse manifestazioni di protesta contro la stretta imposta dalla “Troika” svoltesi nelle principali città lusitane, benché scarsamente riprese se non addirittura ignorate dai media italiani. E, nonostante agli occhi poco attenti di un turista che sbarchi per un week end all’aeroporto di Portela, Lisbona continui a presentarsi con tutta la sua vivacità e bellezza intatte, qualche sua rua nasconde anche dolore.
Disoccupazione e taglio degli stipendi si sono fatti sentire e c’è chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena: ma c’è anche chi non è rimasto a guardare. Il soggetto di questa storia è Hunter Halder, arrivato dalla Virginia 21 anni fa per visitare il Paese che non ha più lasciato, folgorato dalla bellezza di Lisbona e dal fascino di una guida turistica diventata sua moglie. Anche per questo cittadino portoghese di adozione, la scure della crisi si è fatta sentire, compromettendo all’improvviso il suo quindicennale lavoro di consulente delle risorse umane.
L’idea, diventata oggi la sua ragione di vita, è scaturita dalla domanda rivoltagli dalla sua bambina che, alla fine di un semplice pranzo fuori casa con la famiglia, aveva avanzato qualcosa sul piatto. Che fine fanno i miei avanzi e quelli degli altri commensali?, aveva chiesto. Questa la risposta del padre: penso che vadano a finire nelle immondizie perché non vi è altro modo di conservarli.



La cosa non finisce lì. Hunter, sull’onda anche della campagna lanciata in internet da António Costa Pereira contro lo spreco alimentare, immagina di recuperare da ristoranti e panifici il cibo inutilizzato e distribuirlo a chi non ha quell’euro in più in tasca per fare la spesa. Deciso a rimuovere tutti i possibili ostacoli, Halder si mette all’opera partendo dalla Parrocchia di Nossa Senhora de Fátima, facendo un censimento dei ristoratori disponibili e raccogliendo una trentina di volontari. In poco tempo, il suo passaggio per il quartiere, in sella alla bicicletta coi cestoni pieni di confezioni pasto, diventa una rassicurante consuetudine.
Nelle molteplici interviste rilasciate ai media portoghesi, Hunter sottolinea la grande differenza tra l’ormai proverbiale fame dell’Africa e quella di Lisbona, caratterizzata da un senso di vergogna e di umiliazione. Il repentino crollo del potere d’acquisto ha infatti investito i ceti medi, costringendo anche famiglie abituate a vivere dignitosamente, a scegliere tra comprare le medicine o il cibo. Grazie al successo conseguito dal progetto nato il 9 marzo 2011 e chiamato “Re-Food 4 Good”,  prima alcune decine, poi centinaia di cittadini locali, hanno evitato di andare letto con la pancia vuota. Attualmente –a quanto si apprende dalla stampa locale- è salita a 300 la rete di volontari che distribuisce i preziosi avanzi forniti da oltre un centinaio tra ristoranti, panifici, bar e tavole calde, trasformati in migliaia di pasti al mese.  


La consegna, visti i numeri, non avviene più solo porta a porta a bordo di una bicicletta: l’organizzazione si è dotata infatti di un centro operativo situato dietro la Chiesa di Nossa Senhora de Fátima, nello spazio messo a disposizione dal Patriarcato. Nel giro di un paio d’anni l’iniziativa si è spinta anche nel quartiere di Telheiras, dove è sorto un secondo centro operativo nello stabile ceduto da un’azienda pubblica municipale e ora l’intenzione è di estendersi all’intera città. Ma “Re-Food 4 Good” ha un obiettivo ancor più ambizioso: fare di Lisbona, entro la fine del 2014, la prima città del mondo senza spreco alimentare e senza fame. Per realizzarla servono però 100mila volontari e una cifra di 200mila euro, allo scopo di allestire dai 30 a i 40 nuclei operativi, distribuiti in altrettante zone della capitale. Una cifra di gran lunga superiore ai 25mila euro ricevuti vincendo il premio per “il volontariato giovanile” da parte della Fondazione Montepio e della Lusitania – compagnia di assicurazioni- distinguendosi tra ben 121 partecipanti. Nel frattempo, l’interesse ad imitare il progetto, è emerso anche in altre località portoghesi come Braga, Coimbra, Porto e Algarve.

sabato 15 giugno 2013

Nelson Pereira dos Santos: il regista del Cinema Novo Brasileiro ha "nostalgia del dopoguerra"

Il presidente del 23/mo Festival d'America Latina di Milano lo confessa a “Il Manifesto”

 
La 23/ma edizione del Festival del cinema Africano, d'Asia e d'America Latina svoltasi a Milano dal 4 al 10 maggio u.s. ha visto presiedere la giuria ufficiale del concorso lungometraggi "Finestre sul Mondo" il pluripremiato regista brasiliano Nelson Pereira dos Santos, cui il Festival ha riservato un'accoglienza particolarmente calorosa omaggiandolo con la proiezione in anteprima italiana del suo film A música segundo Tom Jobim, presentato all’ultimo Festival di Cannes. Il diario portoghese, che di Tom Jobin aveva già parlato nel post inserito il 28 aprile u.s., più che sul film dedicato ad uno dei maggiori protagonisti della musica brasiliana, vuole concentrarsi ora sulla figura di Nelson Pereira dos Santos, a dir poco avvincente.

 
Scorrendo la sua scheda biografica diffusa dagli organizzatori del Festival si apprende che, nato il 22 ottobre 1928 a São Paulo, Nelson vanta origini italiane e un nonno anarchico, peculiarità che lo ha portato a coltivare, parallelamente alla passione per il cinema, anche quella per la rivoluzione. Al cinema arriverà però solo nel 1952, dopo esperienze di formazione in Europa e l'attività di giornalista, svolta al rientro in patria, seguita da quella di assistente regista. Se il suo primo documentario (Juventude) girato a São Paulo è oggi andato perduto, ad  imporlo all’attenzione nazionale e internazionale furono due lungometraggi, Rio, 40 graus  del 1955 e Rio, zona norte del 1957, in cui dimostrava di aver interiorizzato lo stile neo-realista come mezzo di conoscenza e approfondimento della realtà.
 
Tutti i suoi film - rileva ancora la scheda biografica - si nutriranno dei temi nazionali, dalle sfumature musicali a quelle più squisitamente letterarie, costituendo, nella loro diversità, una linea di continuità stilistica che non abbandonerà mai il suo modo di fare cinema e facendogli guadagnare la fama di padre fondatore del cinema brasiliano moderno. Con la sua ricerca di un radicale realismo - sentenzia dal canto suo la voce che gli dedica l'Enciclopedia Treccani - precorse il "cinema novo", di cui fu poi uno dei protagonisti.

Per meglio conoscere questo regista, oltreché docente di materie cinematografiche alle università di Brasilia e Rio, Il diario portoghese è lieto di condividere coi suoi lettori qualche stralcio dell'interessante intervista realizzata a margine del Festival da Cecilia Ermini per “Il Manifesto”, che l'ha pubblicata il 7 maggio u.s. a pagina 12.
 
Alla domanda: "È stato difficile il processo artistico di decolonizzazione in Brasile?", Nelson Pereira dos Santos risponde: "Il processo è stato molto lento: la prima forma d'arte a ribellarsi è stata la letteratura, successivamente la pittura, poi la musica. La tradizione musicale popolare dei neri si mischiava alle melodie portoghesi e brasiliane ma non era considerata cultura nazionale prima di Heitor Villa Lobos, genio capace di riconnettere le esperienze maggiori della musica popolare e trasformarle in fenomeno colto. Il cinema ha impiegato molto di più a riconoscersi e a riconoscere la cultura nazionale brasiliana, il solo che ci è riuscito, fino agli anni ‘40, è stato Umberto Mauro, creatore dell'unico cinema in cui mi riconoscevo in quanto brasiliano. Il resto della produzione era semplice imitazione del cinema americano, per un complesso di inferiorità rispetto al resto del mondo".
 
"La presenza dei neri -aggiunge il regista- era sempre marginale, al massimo erano servitori dei ricchi, come in Via col vento. Gli attori si ossigenavano i capelli e si mettevano le lenti a contatto azzurre mentre le storie erano completamente distaccate dalla realtà e la lingua portoghese parlata al cinema non era quella corrente ma quella letteraria. Poi è arrivato il neorealismo italiano, una vera liberazione. Con il mio primo film Rio 40 graus seguii la corrente neorealista ma sono stato subito bloccato dai censori perché a loro avviso quello che rappresentavo era una menzogna, a partire dal titolo! Ebbero il coraggio di dirmi che a Rio la temperatura massima era di 39.6 gradi."  
 

 
Poiché il cinema di dos Santos si è spesso ispirato alla letteratura, gli viene chiesto: "Come sceglie cosa adattare sul grande schermo e cosa la colpisce maggiormente di uno scrittore?”. "La mia prima influenza letteraria, anche grazie ai miei studi classici -risponde- è stata Jorge Amado: Rio 40 graus non è liberamente tratto, né basato sulle opere di Amado ma la sua poetica è stata fondamentale per il mio lavoro. Poi nel 1958 ho deciso di fare un adattamento letterario, dopo un viaggio nel nord del Brasile dove una casa di produzione mi aveva commissionato un documentario sulle zone colpite da una fortissima siccità. Uno dei libri che ho consultato per documentarmi era Vidas secas di Graciliano Ramos, mi ha colpito talmente tanto che ho voluto portarlo sullo schermo. Visto che il film è andato bene ho ricevuto in seguito molte offerte di adattamenti, ma non è mai stata una questione automatica per me. Più il romanzo è ben trattato e puntuale e più per me è facile pensare a un film ed è questo mi colpisce più di ogni altra cosa."

Nella diffusa intervista non manca un accenno all'attuale fase di grande progresso che sta attraversando il Brasile rispetto al resto del mondo. Sollecitato a raccontare come stia vivendo, personalmente, questo momento, ecco la sua risposta: "Sento materialmente il progresso e lo noto anche nelle piccole cose: quando ho comprato anni fa il mio studio nel centro di Rio, c'erano solo due uffici occupati al mio piano e i palazzi attorno erano decadenti. Ora è tutto occupato e restaurato. L'economia cresce ed è solida ma ho già vissuto periodi dove si credeva ciecamente a un immediato sviluppo per poi vederlo scendere improvvisamente. Nonostante tutto il Brasile è forte e democratico, con schieramenti politici opposti ma con una strana somiglianza nell'essenza del loro programma.

"Confesso però -conclude Pereira dos Santos- di provare un po' di nostalgia per il dopoguerra, all'epoca eravamo tutti studenti e militanti mentre oggi i giovani brasiliani mi sembrano tutti pacificati." 

mercoledì 12 giugno 2013

Fernando Pessoa: il 13 GIUGNO il 125/mo anniversario della sua nascita

Omaggiamo colui che si autodefinì “poeta e escritor por vocação”


A Lisbona lo ricordano con una maratona di tre giorni, proprio nella Casa Fernando Pessoa (CFP) in Campo de Ourique, grazie al Festival Desassosego coincidente quest’anno col 125/mo anniversario dalla nascita di colui che, pochi mesi prima di morire, si autodefinì “poeta e escritor por vocação”.

L’ultima residenza dell’indimenticabile autore di Mensagem ospiterà per l’occasione letture, dibattiti, proiezioni cinematografiche e concerti oltre alla presentazione del libro Fernando Pessoa & Ofélia Queiroz - Correspondência amorosa completa (1919 - 1935) curato da Richard Zenith, vincitore della passata edizione del Premio Pessoa. L’opera, che contiene lettere in gran parte inedite, è stata pubblicata dapprima in Brasile e solo ora ha trovato un editore in Portogallo.



Di Pessoa si potrebbe parlare lungamente, analizzandone il profilo da diverse angolazioni e già in passato il diario portoghese ha dedicato attenzione a quella che ormai universalmente è riconosciuta come una delle figure capitali della letteratura del Novecento. In occasione del 125/mo anniversario della sua nascita a Lisbona -città che lascerà trascorrendo la giovinezza in Sudafrica dopo il secondo matrimonio della madre rimasta vedova quando Fernando aveva appena cinque anni e dove ritornerà solo nel 1905- scegliamo di affidarne il ricordo all’autore italiano maggiormente autorizzato a farlo.

Superfluo dire che parliamo di Antonio Tabucchi, la cui vita prese il corso che tutti i suoi estimatori conoscono, proprio grazie ad una prima, casuale di lettura di un libricino di poesie di Pessoa, avvenuta a Parigi negli anni ‘60. Per sentire questo avvincente racconto dalla voce dello scrittore italo-portoghese, alleghiamo il link della sua intervista rilasciata alla serie “Scrittori per un anno” di Rai Educational. 
Buon ascolto!

sabato 8 giugno 2013

Il fotografo brasiliano Sebastião Salgado porta a Roma il pianeta incontaminato

All’Ara Pacis fino al 15 settembre oltre 200 scatti nella Mostra “Genesi” 

Come potrebbe il diario portoghese non cogliere al volo l'occasione di ammirare in Italia oltre 200 scatti di un fotografo documentario della statura del brasiliano Sebastião Salgado per segnalarla ai propri lettori? Stiamo parlando della Mostra in corso al Museo dell’Ara Pacis, a Roma, dal 15 maggio scorso intitolata “Genesi”, che durerà fino al 15 settembre prossimo in contemporanea con altre grandi capitali (Londra, Rio De Janeiro e Toronto). Le cose da dire per invogliare a visitare la Mostra sono talmente tante che certamente ne dimenticheremo qualcuna. Di rigore, iniziare con l'identikit del suo autore, che si racconta così nell'autobiografia predisposta per l'evento.
Sono nato nel 1944 ad Aimorés nello stato di Minas Gerais, in una grandissima azienda agricola il cui territorio era coperto all’epoca, per circa il 60%, dalla foresta tropicale. Quando negli anni Novanta i miei genitori, ormai anziani, hanno voluto consegnare l’azienda agricola a noi figli, io e le mie sette sorelle ci siamo ritrovati tra le mani un territorio in cui le foreste erano perlopiù annientate. Dalla copertura originaria, superiore al 50%, eravamo scesi a meno dello 0,5%. Era ormai una terra bruciata; un territorio dove avrebbero potuto essere allevati decine di migliaia di capi di bestiame, ora era in grado di sostenerne appena qualche centinaia. Mia moglie Lélia (lei non è solo la curatrice delle mie esposizioni, dei miei libri, quella che di fatto progetta tutto questo, ma è la mia socia per tutto ciò che facciamo nella nostra vita) mi ha detto: “Sebastião, visto che sostieni di essere nato in paradiso, perché non costruire – o ricostruire – veramente questo paradiso? Perché non ripristinare la foresta tropicale che una volta ricopriva questa superficie?”
 
In queste parole si racchiude lo spirito con cui Salgado affronta il mestiere di fotografo al quale arriva da una doppia laurea in economia, conseguita prima in Brasile e poi a Parigi, ma che utilizzerà solo inizialmente lavorando nell' “Organizzazione Mondiale per il Caffè” dopo di che sceglierà la fotografia come mezzo diverso per comunicare il suo messaggio ambientalista. Nella sua carriera, infatti, fotografia e tutela dell'ambiente andranno sempre di pari passo, tanto che così prosegue il suo racconto: “Abbiamo subito capito che per tentare di ripristinare l’ecosistema quale esisteva prima di questa devastazione, avremmo dovuto piantare per lo meno 2 milioni, forse 2 milioni e mezzo di alberi di almeno 100 specie botaniche diverse. Per raccogliere le risorse necessarie, abbiamo viaggiato da un capo all’altro del mondo e devo dire che l’Italia è stata tra i Paesi che ci hanno aiutato di più, come anche Spagna, Stati Uniti e comunque in primis il nostro Brasile. Attualmente, siamo a oltre 2 milioni di alberi piantati: abbiamo più di 300 specie diverse." Salgado si riferisce ai successi conseguiti dall’Instituto Terra, creato con Lélia nello stato di Minas Gerais, che ha riconvertito la foresta equatoriale a rischio di sparizione.
Affascinante sentire come nasce l'idea che confluisce in “Genesi”, partendo dal progetto nato nel '93 fino alla sua realizzazione, costata quasi nove anni di lavoro viaggiando per otto mesi l'anno nei posti più incontaminati del pianeta: dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia. Di conseguenza, la mostra è suddivisa in cinque sezioni che ricalcano le zone geografiche in cui Salgado ha realizzato le fotografie, tutte rigorosamente in bianco e nero come sua tradizione: il Pianeta Sud, i Santuari della Natura, l’Africa, il Grande Nord, l’Amazzonia e il Pantanal.
Brasile, 2005 © Sebastião Salgado/Amazonas Images
Lasciamo ancora che sia Salgado a raccontare: "Lavorando sulla ricostruzione di un paradiso come quello in cui ero nato, abbiamo avuto l’idea di mettere a punto un grande progetto fotografico, diverso però dai precedenti. Lo scopo doveva essere vedere e cercare un modo nuovo di presentare il Pianeta Terra: questa volta non avrei puntato l’obiettivo sull’uomo e sulla sua lotta per la sopravvivenza, ma avrei mostrato piuttosto le meraviglie che rimangono nel nostro pianeta. Abbiamo deciso di cogliere con la macchina fotografica quella grande parte del pianeta che si presenta ecologicamente pura, forse un 45%, allo stato primordiale. Creare dunque una quantità d’immagini che fosse sufficiente a far capire al maggior numero possibile di persone che esiste una grande porzione del mondo ancora integra, allo stato della Genesi, e mostrare quanto proteggere questa parte sia fondamentale per tutti noi.
Non si sottolineerà mai abbastanza -insiste il grande fotografo brasiliano- l’importanza di ricostruire ciò che abbiamo distrutto."

Per maggiori informazioni sulla mostra si veda il sito del Museo dell'Ara Pacis.

domenica 2 giugno 2013

L’ANGOLA TRIONFA ALLA 55/MA BIENNALE D’ARTE DI VENEZIA - LEÃO DE OURO PER LA MIGLIOR PARTECIPAZIONE NAZIONALE

Per l’Angola era già motivo di soddisfazione aver partecipato, per la prima volta, alla Biennale d’arte di Venezia e non si aspettava di vincere. Invece è diventata la star di questa 55/ ma edizione aggiudicandosi il Leone d'oro per l’istallazione “Luanda, Encyclopedic City" (Luanda, Cidade Enciclopédica) basata sulle foto di Edson Chagas e curata da Stefano Rabolli Pansera con Paula Nascimento. Questa la motivazione dei giurati: “Per la capacità dei curatori e dell’artista che insieme riflettono sull’inconciliabilità e complessità della nozione di sito”. A salire sul podio della premiazione, sabato 1 giugno u.s. per ricevere il leone d'oro dalle mani del ministro per i Beni e le Attività Culturali Massimo Bray, è stato il ministro per la Cultura dell'Angola Rosa Cruz e Silva. Il ministro italiano si è detto “molto contento per il riconoscimento, poiché di quel che ho visto mi aveva molto emozionato il padiglione dell'Angola”. Dal canto suo, il ministro angolano ha dichiarato: "Este prémio demonstra que estamos no bom caminho".
 
 
 
Ma come è riuscita l'Angola a colpire i giurati con la sua installazione? Cerchiamo di capirlo affidandoci al comunicato ufficiale della Biennale il quale così recita: Questa nazione si presenta al pubblico internazionale attraverso l’opera fotografica di Edson Chagas, giovane angolano (classe 1977) che, dopo i primi studi compiuti nel campo del fotogiornalismo, sviluppa una propria poetica artistica al limite tra realismo e astrazione. La mostra dell’Angola esprime già nel titolo la volontà di seguire le tematiche proposte dal direttore della Biennale di Arti Visive Massimiliano Gioni. Edson Chagas, attraverso l’apparecchio fotografico, descrive una città dai mille volti. Luanda, capitale dell’Angola abitata da quasi 5 milioni di abitanti, è un centro urbano in cui convivono moltissimi ambienti diversi in una situazione di costante conflittualità; curioso a questo punto ricordare che il motto del Paese centro-africano è "L’unità dà forza".
Le fotografie presenti in mostra -riferisce ancora il comunicato- fanno parte del corpus fotografico Found Not Taken di Edson Chagas: un progetto di recupero di oggetti abbandonati (scarpe, giochi, elementi di arredo urbano…) ricollocati in spazi cittadini che non presentano precisi legami con questi manufatti. Le riflessioni dell’artista riguardano gli "inserimenti forzati" degli oggetti all’interno di uno spazio e la loro ricontestualizzazione in ambienti "altri" da quello iniziale. Interrogandosi sulla genesi delle relazioni tra oggetti e individui all’interno di un’area urbana, Chagas vuole indagare il ruolo che ha l’immaginazione nella formazione di nuovi legami. L’artista invita inoltre il visitatore a riflettere sulle conseguenze che questo nuovo rapporto potrebbe presentare nel tessuto cittadino.

Una curiosità interessante per chi volesse andare a Venezia: l’installazione, realizzata negli spazi di Palazzo Cini a Dorsoduro, interagisce con il pubblico presentando 23 fotografie stampate in formato poster e collezionabili dai visitatori.
Il diario portoghese, notoriamente attento anche alle ex colonie, è particolarmente felice di questo "Leão de Ouro" attribuito all'Angola e per meglio consentire ai suoi lettori di partecipare seppur virtualmente all'evento, allega volentieri sia il link del video della premiazione sia quello del retroscena che ha portato all'allestimento del padiglione espositivo.
 
Biennale, i vincitori del Leone d’oro: “Sorpresi”, Video di Dario Migliardi, La Stampa, 2-06-2013
Biennale Architettura 2012 - intervista a Stefano Rambolli Pansera, 6 settembre 2012