Il presidente del 23/mo Festival d'America Latina di Milano lo confessa a “Il Manifesto”
La
23/ma edizione del Festival del cinema Africano, d'Asia e d'America Latina
svoltasi a Milano dal 4 al 10 maggio u.s. ha visto presiedere la giuria
ufficiale del concorso lungometraggi "Finestre sul Mondo" il
pluripremiato regista brasiliano Nelson Pereira dos Santos, cui il Festival ha
riservato un'accoglienza particolarmente calorosa omaggiandolo con la
proiezione in anteprima italiana del suo film A música segundo Tom Jobim, presentato all’ultimo Festival di
Cannes. Il diario portoghese, che di Tom Jobin aveva già parlato nel post
inserito il 28 aprile u.s., più che sul film dedicato ad uno dei maggiori
protagonisti della musica brasiliana, vuole concentrarsi ora sulla figura di
Nelson Pereira dos Santos, a dir poco avvincente.
Tutti
i suoi film - rileva ancora la scheda biografica - si nutriranno dei temi
nazionali, dalle sfumature musicali a quelle più squisitamente letterarie,
costituendo, nella loro diversità, una linea di continuità stilistica che non
abbandonerà mai il suo modo di fare cinema e facendogli guadagnare la fama di
padre fondatore del cinema brasiliano moderno. Con
la sua ricerca di un radicale realismo - sentenzia dal canto suo la voce che
gli dedica l'Enciclopedia Treccani - precorse il "cinema novo", di
cui fu poi uno dei protagonisti.
Per
meglio conoscere questo regista, oltreché docente di materie cinematografiche
alle università di Brasilia e Rio, Il diario portoghese è lieto di condividere
coi suoi lettori qualche stralcio dell'interessante intervista realizzata a
margine del Festival da Cecilia Ermini per “Il Manifesto”, che l'ha pubblicata
il 7 maggio u.s. a pagina 12.
Alla
domanda: "È stato difficile il processo artistico di decolonizzazione in
Brasile?", Nelson Pereira dos Santos risponde: "Il processo è stato
molto lento: la prima forma d'arte a ribellarsi è stata la letteratura,
successivamente la pittura, poi la musica. La tradizione musicale popolare dei
neri si mischiava alle melodie portoghesi e brasiliane ma non era considerata
cultura nazionale prima di Heitor Villa Lobos, genio capace di riconnettere le
esperienze maggiori della musica popolare e trasformarle in fenomeno colto. Il
cinema ha impiegato molto di più a riconoscersi e a riconoscere la cultura
nazionale brasiliana, il solo che ci è riuscito, fino agli anni ‘40, è stato
Umberto Mauro, creatore dell'unico cinema in cui mi riconoscevo in quanto
brasiliano. Il resto della produzione era semplice imitazione del cinema
americano, per un complesso di inferiorità rispetto al resto del mondo".
"La
presenza dei neri -aggiunge il regista- era sempre marginale, al massimo erano
servitori dei ricchi, come in Via col
vento. Gli attori si ossigenavano i capelli e si mettevano le lenti a
contatto azzurre mentre le storie erano completamente distaccate dalla realtà e
la lingua portoghese parlata al cinema non era quella corrente ma quella
letteraria. Poi è arrivato il neorealismo italiano, una vera liberazione. Con
il mio primo film Rio 40 graus seguii
la corrente neorealista ma sono stato subito bloccato dai censori perché a loro
avviso quello che rappresentavo era una menzogna, a partire dal titolo! Ebbero
il coraggio di dirmi che a Rio la temperatura massima era di 39.6 gradi."
Poiché
il cinema di dos Santos si è spesso ispirato alla letteratura, gli viene
chiesto: "Come sceglie cosa adattare sul grande schermo e cosa la colpisce
maggiormente di uno scrittore?”. "La mia prima influenza letteraria, anche
grazie ai miei studi classici -risponde- è stata Jorge Amado: Rio 40 graus non è liberamente tratto,
né basato sulle opere di Amado ma la sua poetica è stata fondamentale per il
mio lavoro. Poi nel 1958 ho deciso di fare un adattamento letterario, dopo un
viaggio nel nord del Brasile dove una casa di produzione mi aveva commissionato
un documentario sulle zone colpite da una fortissima siccità. Uno dei libri che
ho consultato per documentarmi era Vidas
secas di Graciliano Ramos, mi ha colpito talmente tanto che ho voluto
portarlo sullo schermo. Visto che il film è andato bene ho ricevuto in seguito
molte offerte di adattamenti, ma non è mai stata una questione automatica per
me. Più il romanzo è ben trattato e puntuale e più per me è facile pensare a un
film ed è questo mi colpisce più di ogni altra cosa."
Nella
diffusa intervista non manca un accenno all'attuale fase di grande progresso
che sta attraversando il Brasile rispetto al resto del mondo. Sollecitato a
raccontare come stia vivendo, personalmente, questo momento, ecco la sua
risposta: "Sento materialmente il progresso e lo noto anche nelle piccole
cose: quando ho comprato anni fa il mio studio nel centro di Rio, c'erano solo
due uffici occupati al mio piano e i palazzi attorno erano decadenti. Ora è
tutto occupato e restaurato. L'economia cresce ed è solida ma ho già vissuto
periodi dove si credeva ciecamente a un immediato sviluppo per poi vederlo
scendere improvvisamente. Nonostante tutto il Brasile è forte e democratico,
con schieramenti politici opposti ma con una strana somiglianza nell'essenza
del loro programma.
"Confesso
però -conclude Pereira dos Santos- di provare un po' di nostalgia per il
dopoguerra, all'epoca eravamo tutti studenti e militanti mentre oggi i giovani
brasiliani mi sembrano tutti pacificati."
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