Successo crescente per l'iniziativa dell'immigrato nord-americano in bicicletta
Della crisi
economica europea che da un paio d’anni ha colpito fortemente il Portogallo non
si parla tanto quanto si parla, invece, della crisi greca. Ma resta una realtà,
come testimoniano le diverse manifestazioni di protesta contro la stretta
imposta dalla “Troika” svoltesi nelle principali città lusitane, benché
scarsamente riprese se non addirittura ignorate dai media italiani. E,
nonostante agli occhi poco attenti di un turista che sbarchi per un week end
all’aeroporto di Portela, Lisbona continui a presentarsi con tutta la sua
vivacità e bellezza intatte, qualche sua rua
nasconde anche dolore.
Disoccupazione e
taglio degli stipendi si sono fatti sentire e c’è chi non riesce a mettere
insieme il pranzo con la cena: ma c’è anche chi non è rimasto a guardare. Il
soggetto di questa storia è Hunter Halder, arrivato dalla Virginia 21 anni fa
per visitare il Paese che non ha più lasciato, folgorato dalla bellezza di
Lisbona e dal fascino di una guida turistica diventata sua moglie. Anche per
questo cittadino portoghese di adozione, la scure della crisi si è fatta
sentire, compromettendo all’improvviso il suo quindicennale lavoro di
consulente delle risorse umane.
L’idea,
diventata oggi la sua ragione di vita, è scaturita dalla domanda rivoltagli
dalla sua bambina che, alla fine di un semplice pranzo fuori casa con la
famiglia, aveva avanzato qualcosa sul piatto. Che fine fanno i miei avanzi e quelli
degli altri commensali?, aveva chiesto. Questa la risposta del padre: penso che
vadano a finire nelle immondizie perché non vi è altro modo di conservarli.
La cosa non
finisce lì. Hunter, sull’onda anche della campagna lanciata in internet da
António Costa Pereira contro lo spreco alimentare, immagina di recuperare da
ristoranti e panifici il cibo inutilizzato e distribuirlo a chi non ha
quell’euro in più in tasca per fare la spesa. Deciso a rimuovere tutti i
possibili ostacoli, Halder si mette all’opera partendo dalla Parrocchia di
Nossa Senhora de Fátima, facendo un censimento dei ristoratori disponibili e
raccogliendo una trentina di volontari. In poco tempo, il suo passaggio per il
quartiere, in sella alla bicicletta coi cestoni pieni di confezioni pasto,
diventa una rassicurante consuetudine.
Nelle molteplici
interviste rilasciate ai media portoghesi, Hunter sottolinea la grande
differenza tra l’ormai proverbiale fame dell’Africa e quella di Lisbona,
caratterizzata da un senso di vergogna e di umiliazione. Il repentino crollo
del potere d’acquisto ha infatti investito i ceti medi, costringendo anche
famiglie abituate a vivere dignitosamente, a scegliere tra comprare le medicine
o il cibo. Grazie al successo conseguito dal progetto nato il 9 marzo 2011 e chiamato
“Re-Food 4 Good”, prima alcune decine,
poi centinaia di cittadini locali, hanno evitato di andare letto con la pancia
vuota. Attualmente –a quanto si apprende dalla stampa locale- è salita a 300 la
rete di volontari che distribuisce i preziosi avanzi forniti da oltre un
centinaio tra ristoranti, panifici, bar e tavole calde, trasformati in migliaia
di pasti al mese.
La consegna,
visti i numeri, non avviene più solo porta a porta a bordo di una bicicletta: l’organizzazione si è dotata infatti di un
centro operativo situato dietro la Chiesa di Nossa Senhora de Fátima, nello
spazio messo a disposizione dal Patriarcato. Nel giro di un paio d’anni
l’iniziativa si è spinta anche nel quartiere di Telheiras, dove è sorto un
secondo centro operativo nello stabile ceduto da un’azienda pubblica municipale
e ora l’intenzione è di estendersi all’intera città. Ma “Re-Food 4 Good” ha un
obiettivo ancor più ambizioso: fare di Lisbona, entro la fine del 2014, la
prima città del mondo senza spreco alimentare e senza fame. Per realizzarla
servono però 100mila volontari e una cifra di 200mila euro, allo scopo di
allestire dai 30 a i 40 nuclei operativi, distribuiti in altrettante zone della
capitale. Una cifra di gran lunga superiore ai 25mila euro ricevuti vincendo il
premio per “il volontariato giovanile” da parte della Fondazione Montepio e
della Lusitania – compagnia di assicurazioni- distinguendosi tra ben 121
partecipanti. Nel frattempo, l’interesse ad imitare il progetto, è emerso anche
in altre località portoghesi come Braga, Coimbra, Porto e Algarve.
Vedi il video sul progetto Refood.
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