Da giorni ormai i
titoli dei giornali del mondo si concentrano sulle clamorose, quanto
inaspettate, manifestazioni di piazza che hanno sconvolto le principali città
del Brasile ed hanno visto confluire in strada veri fiumi di persone di varie
età ed estrazioni sociali, talora sconfinando in un clima di violenza.
L’origine di tale esplosione di proteste, in apparente contrasto con l'immagine
diffusa di uno tra i pochi Paesi Emergenti, è stata messa al vaglio di
possibili interpretazioni affidate ad esperti.
II diario portoghese ha
curiosato tra le varie opinioni emerse sulla stampa internazionale riguardo
alle proteste e ne ha selezionato alcuni stralci da riproporre ai suoi lettori.
Tra le più autorevoli, quella di Boaventura de Sousa Santos, docente di sociologia
del diritto all’università di Yale e ordinario di sociologia all’Università di
Coimbra in Portogallo, figura caratterizzata dalla vicinanza agli organizzatori
del Fórum Social Mundial, pubblicata sul sito del Fórum e rilanciata a pioggia
in rete.
“Le manifestazioni-
afferma tra l’altro de Sousa Santos- rivelano che, più che il Paese, è stata la
presidente a svegliarsi. Con lo sguardo rivolto agli avvenimenti internazionali
e anche alle elezioni presidenziali del 2014, la presidente Dilma ha ben chiaro
che le risposte repressive servono solo ad acuire i conflitti e a isolare i
governi. In questo senso, i sindaci di nove capitali hanno già deciso di
abbassare il prezzo dei trasporti. E' solo un inizio. Perché sia consistente, è
necessario che le due narrazioni (democrazia partecipativa e inclusione sociale
interculturale) ritrovino il dinamismo. Se così sarà, il Brasile -conclude-
mostrerà al mondo che vale la pena pagare il prezzo del progresso solo se si
approfondisce la democrazia, si distribuisce la ricchezza prodotta e si
riconosce la differenza culturale e politica di coloro che considerano
arretratezza un progresso senza dignità.”
Per Lúcio Flávio
Rodrigues de Almeida, docente di sociologia all’Università Cattolica di São
Paulo intervistato dal Guardian, “finora le autorità hanno risposto solo con la
repressione alle proteste, che sono frutto di un movimento autorganizzato che
non fa capo a nessun partito e che è stato rafforzato dagli episodi di violenza
indiscriminata messi in atto dalla polizia nei giorni scorsi. La forte
repressione, soprattutto a São Paulo- secondo il sociologo- ha rafforzato il
movimento e ha creato una forma di sostegno da parte dell’opinione pubblica per
una protesta che ha semplicemente comparato i costi della Confederations cup e
dei Mondiali con gli investimenti nei trasporti e negli altri servizi.”
Ricardo Antunes,
docente di sociologia all’Università Estadual di Campinas (Unicamp), in un
articolo apparso su Folha de S.Paulo dall’emblematico titolo “Fim da letargia”,
osserva tra l’altro: “I brasiliani hanno capito che dietro il mito pericoloso
della nuova classe media e della crescita economica, c’è la vita reale dei
lavoratori che è ancora molto difficile: sanità e istruzione non hanno risorse
economiche, i trasporti sono costosi e fatiscenti, le città malsane, trafficate
e violente”.
Marcelo Alencar
(professore di storia, deputato federale del Psol dal 2005 e parlamentare del
Pt a partire dal 1989, oltreché marxista cattolico, legato alla Teologia della
Liberazione), intervistato da Heitor De Figuereido per Il Manifesto, ha detto:
“ Siamo in un momento in cui la protesta è generalizzata nel condannare la
corruzione. È una protesta inter-classista con forti componenti organizzate
anti-capitaliste che vogliono trasparenza e partecipazione proprio per evitare
che lo stato diventi un balção de negocios , cioè un locale per affari tra
amici”.
Sul fondamentale ruolo
giocato dai social media nelle manifestazioni interviene il noto giornalista e
blogger brasiliano Leonardo Sakamoto, come sempre monitorato da "Voci
Globali" de La Stampa.it che ne riporta le seguenti considerazioni:
"I politici tradizionali faticano a comprendere il modo in cui i movimenti
usano strumenti come Twitter e Facebook. Credono che si tratti esclusivamente
di spazi per farsi pubblicità o un modo per divulgare informazioni agli elettori.
C’è anche chi crede che i social network siano delle entità a sé, non delle
piattaforme su cui fare politica, dove le voci di dissenso guadagnano terreno,
dal momento che non sono filtrate dai mezzi tradizionali di comunicazione
sociale. Il potere dei rappresentanti, in termini di partiti, sindacati,
associazioni e simili sta diminuendo, mentre aumenta di conseguenza l’azione
diretta dei cittadini, in qualità di architetti della propria realtà
politica".
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