sabato 27 luglio 2013

Jorge Amado: il cantore di Bahia, ribelle in letteratura e in politica

Nacque e morì in agosto, lo omaggiamo nel duplice anniversario.


"Dovunque io vada porto il Brasile con me, purtroppo non porto con me la farina di manioca, ogni giorno mi manca, a pranzo e a cena." E ancora: "Voglio soltanto raccontare delle cose, alcune divertenti, altre malinconiche, proprio come è la vita. La vita, che breve navigazione di cabotaggio!" 

Attraverso queste due brevi affermazioni, tratte da "Navigazione di cabotaggio - Appunti per un libro di memorie che non scriverò mai" (Edizione Garzanti Elefanti Bestseller, traduzione dal portoghese di Irina Bajini) si può intuire il carattere di un pilastro della letteratura brasiliana come Jorge Amado.


Profondamente legato alle tradizioni e alla gente dello Stato di Bahia nonostante i lunghi anni dell'esilio, frutto della sua militanza politica nel partito comunista, Amado è altrettanto ben rappresentato dalla frase: "Io dico no quando tutti, in coro, dicono sì. Questo è il mio  impegno", tratto da "Tocaia grande" (Editore Garzanti Elefanti Bestseller, traduzione dal  portoghese di Elena Grechi). Una sua caratteristica costante, infatti, sta nell'atteggiamento ribelle che in un Paese arretrato, liberatosi buon ultimo dallo schiavismo, veniva considerato "sovversivo".

Il diario portoghese, nel rendergli omaggio in occasione del duplice anniversario sia della nascita (Itabuna, 10 agosto 1912) sia della morte (Salvador de Bahia, 6 agosto 2001), toccherà solo qualche momento, tra i tanti significativi, della sua lunga e intensa vita, ricca di  premi e onorificenze. A narrarne la biografia, infatti, si riempirebbero troppe pagine benché lui, ormai anziano, minimizzasse con modestia dichiarando: "Sono nato con la camicia, la vita è stata generosa con me, mi ha dato più di quanto abbia chiesto e meritato."

Di rigore ricordare l'esperienza della dura realtà delle fazendas, al cui interno trascorre  l'infanzia dapprima in quanto figlio di un proprietario di fazenda, poi dal fronte opposto essendosi il padre dovuto adattare a lavorare nelle piantagioni di cacao dopo che un'inondazione aveva distrutto le piantagioni di famiglia. Le violente lotte per accaparrarsi le terre e lo sfruttamento dei lavoratori, cui gli capita di assistere, gli formano quella spiccata sensibilità sociale destinata ad emergere in romanzi come "Cacau" del 1933 e "Sudore" dell'anno seguente, in cui affronterà l'altrettanto drammatica condizione del sottoproletariato urbano.

Amado è un ribelle anche dal punto di vista letterario: scrittore precocissimo, con le prime esperienze da giornalista in diverse testate iniziate fin dal 1927, aderisce non a caso al  gruppo "Academia dos Rebeldes" gettando le basi per il suo primo romanzo "O país do Carnaval" (1931), autobiografia di un narratore che assieme ad altri intellettuali intende rompere col passato e aprire una nuova stagione letteraria. La sua affermazione definitiva avviene nel 1935 con "Jubiabá", romanzo provocatorio in cui si infrangono numerosi tabù: dallo stregone negro di Bahia scelto come protagonista, alla storia d'amore tra un nero e una  bianca, passando attraverso la lotta di classe rappresentata da un grande sciopero.

Mentre continua a coltivare la passione per lo scrivere, sia da giornalista sia da romanziere  dedicandosi con la prima moglie Matilde Garcia Rosa anche alla letteratura infantile  ("Descoberta do mundo"), si aprono per Amado gli anni delle lotte politiche nell'era cupa e turbolenta di Getúlio Vargas, che sfocerà nello stato nazionalista (Estado Novo) di stampo dittatoriale. Il “cantore di Bahia” comincerà a conoscere l'esilio, trascorrendo il '41 e il '42 tra Argentina e Uruguay e viaggiando in America Latina. Solo nel '45 dopo la deposizione di Vargas, la sua militanza verrà ripagata, tanto che l’anno seguente sarà eletto  membro dell'Assemblea Nazionale Costituente come rappresentante del Partito Comunista  Brasileiro (PCB), risultando il più votato nello Stato di São Paulo.

Ma la pausa democratica del Paese sarà breve: già nel '47 il Partito Comunista sarà  dichiarato illegale e, per sfuggire a persecuzioni e arresti dilaganti, sarà costretto nuovamente ad emigrare. Stavolta al suo fianco avrà la seconda moglie Zélia Gattai, figlia di immigrati anarchici italiani, conosciuta quando lavorarono insieme nel movimento per l'amnistia dei prigionieri politici. Zélia si rivelerà una compagna preziosa, sostenendolo e aiutandolo anche nel suo lavoro di scrittore.

Teatro di questi anni di esilio diventa l'Europa: prima a Parigi, poi in Cecoslovacchia e infine in Russia, dove nel frattempo il narratore brasiliano ha ricevuto il premio Stalin per la pace. La coppia farà rientro in patria nel '55 e di lì in poi emergerà un Amado diverso, dedito più alla letteratura che alla politica, persino in crisi con l'ideologia tanto che nel '56 uscirà dal PCB per dissensi con gli sviluppi subiti dal comunismo in Russia. Gli anni della militanza verranno però consegnati alla storia tramite "Os subterrâneos da libertade", opera in tre parti sulle lotte del Partito Comunista in Brasile pubblicata nel '54, alla cui stesura si era dedicato durante l'esilio.

Ma il bello deve ancora arrivare: con "Gabriela, cravo e canela" stupisce il mondo. Benché  affronti sempre temi d’impegno sociale, la sua scrittura assume un tono ironico e picaresco, tanto che l'amico Jean-Paul Sartre definisce il romanzo “il miglior romanzo di novella folk”. Il libro riscuote cinque premi in Brasile, viene tradotto in molte lingue, è adattato sia in due telenovelas sia nell’omonimo film ad opera del regista Bruno Barreto e interpretato da Sônia Braga. Il sodalizio con Barreto e la Braga replicherà il successo con "Dona Flor e seus dois maridos", altro romanzo-cult uscito nel '66. 

Instancabile fino alla fine di suoi giorni, Amado continuerà a sfornare romanzi tradotti in una cinquantina tra lingue e dialetti, di cui si venderanno milioni di copie, inanellando premi letterari nel mondo. Per una manciata di giorni mancherà l’appuntamento col suo 89/simo compleanno spegnendosi il 6 agosto 2001.

venerdì 19 luglio 2013

Amália Rodrigues: nata nel luglio 1920, non conosceva il giorno

un ricordo della vita fuori dal comune della “voz de portugal”

Sul suo certificato di nascita la data segnata è il 23 luglio. Lei però amava festeggiare il primo, ma in verità non sapeva di preciso in quale giorno del luglio 1920 fosse nata nel quartiere Alcântara di Lisbona. Se il buongiorno si vede dal mattino, già con questo inconsueto esordio nel mondo, la vita di Amália da Piedade Rebordão Rodrigues si preannunciava fuori dal comune benché fosse difficile immaginare che sarebbe passata alla storia come l'icona del fado, riuscendo a trasformare il canto tradizionale del popolo portoghese in qualcosa di universale.

Figlia di poveri immigrati della Beira Baxa, viene affidata dai genitori ai nonni materni e cresce in un bairro popolare di Lisbona, del quale assorbe ogni sfaccettatura. Terminate le elementari è costretta a cercarsi un lavoro e si adatta a fare un po' di tutto, dalla ricamatrice alla stiratrice, dalla venditrice di frutta alla pasticcera. Ma il suo vero talento non sta nelle mani, quanto nella voce, quella voce che coltiverà dapprima solitariamente poi  deliziando poche persone o allargandosi via via a piccole manifestazioni locali.


La svolta decisiva che lancerà Amália in un'escalation di successi durata oltre mezzo secolo, avviene a 15 anni quando partecipa alla Marcha de Alcântara, dove canta accompagnata per la prima volta dalla chitarra. Da lì alle assidue esibizioni nella famosa casa del fado "Retiro da Severa" il passo è breve. E il gradimento da parte del pubblico è tanto forte e unanime da aprirle  le porte dei maggiori teatri, prima del Portogallo, poi del mondo.

Olympia di Parigi e Carnegie Hall di New York sono solo due degli innumerevoli teatri dai cui palchi si esibirà approdando in tutti e quattro i continenti. Di successo in successo, alle esibizioni canore si vanno affiancando sia i dischi (ben 170) che le frutteranno il prestigioso MIDEM (disco de ouro) nel 1967 a Cannes, sia i numerosi film. Tra questi, uno per tutti “Os Amantes do Tejo" di Henri Verneuil in cui interpreta i brani “Barco Negro” e “Solidão”, una versione della “Canção do Mar”di David Mourão-Ferreira.

Della vita piena ed esaltante di Amália, pur non esente da dolori, si potrebbe parlare a lungo citando ad esempio lo sfortunato quanto breve matrimonio con un chitarrista ambulante a soli 19 anni, durante il quale tenterà persino il suicidio col veleno per topi. Per ritrovare una serenità affettiva dovrà aspettare fino al 1961 quando sposerà a Rio de Janeiro l'ingener César Seabra che le resterà sempre accanto, morendo purtroppo due anni prima di lei. La biografia più completa la scriverà Vítor Pavão dos Santos, amico personale di Amália di cui ha raccolto testimonianze e memorie. Il risultato è il libro "Amália Rodrigues. Una biografia", (traduzione di Cinzia Buffa, Edizioni Cavallo di Ferro 2006) scritto in prima persona, con la voce di Amália, quasi si trattasse di una confessione.

Amata, osannata, corteggiata (tra i corteggiatori celebri citati sulla biografia, Porfirio Rubirosa, Aristotele Onassis e Umberto di Savoia esiliato a Cascais), anche Amália vivrà anni di difficoltà e amarezza alla caduta della dittatura salazarista con cui aveva finito, suo malgrado, per essere identificata avendo incarnato "o símbolo vivo de Portugal dentro e fora do país". Solo dieci anni dopo la rivoluzione dei garofani  Amália verrà pienamente riabilitata dal governo socialista, ma il dolore per essere stata oggetto di maldicenza sarà tanto acuto da spingerla ad una sorta di auto-esilio, vuoi esibendosi quasi solo all'estero vuoi rinchiudendosi nella casa di Rua São Bento a Lisbona, oggi museo.

Proprio al civico 193 morirà di tumore il 6 ottobre 1999 e allora il riscatto della sua figura da parte dello Stato sarà inappellabile: verranno proclamati tre giorni di lutto nazionale, il funerale sarà oceanico e, in segno di massimo riconoscimento, la sua salma verrà inumata nel Pantheon assieme alle altre personalità che hanno dato lustro al Paese.


Impossibile chiudere questo ricordo senza condividere almeno un assaggio delle sue interpretazioni. Come ulteriore omaggio alle doti artistiche di Amália, tra la mole di canzoni basate sui versi dei maggiori poeti (da Pedro Homem de Mello a David Mourão Ferreira, passando por Alberto Janes, José Régio fino a Camões) la scelta del diario portoghese cade su versi composti da lei stessa, raccolti nell'album del 1980 "Gostava de Ser Quem Era" dal titolo di una delle sue composizioni. 

Buon ascolto.


lunedì 8 luglio 2013

"Follia…" di Mário de Sá-Carneiro

Tra le tante pubblicazioni interessanti di questo periodo, merita decisamente un po’ di attenzione il racconto lungo di Mário de Sá-Carneiro, Follia…, tradotto dal portoghese da Martina Matozzi ed edito da Vittoria Iguazù Editora. Il volume, disponibile in ebook, è già in vendita sulle maggiori piattaforme online.

Gustiamoci insieme la lettura dell’incipit del racconto (l’estratto è disponibile anche sul sito della casa editrice, insieme all’introduzione al volume firmata da Riccardo Greco):

In tanti compiansero la morte di Raul Vilar. Tutti i giornali consacrarono lunghi articoli al grande scultore. Elogiandolo, scrivendo la sua biografia, catalogando le sue opere – tra le quali spicca Amore, un ammirevole basso rilievo – e considerando, all’unanimità, il suo prematuro decesso una grave perdita per l’arte nazionale. Poi, passarono gli anni e oggi in pochi ricordano il povero Raul. È proprio per questo che ho deciso di parlare di lui. D’altronde, non c’è nessuno che sia più competente di me: ero il suo più caro amico, il suo unico amico. Non fraintendete le mie intenzioni: l’unico fine di questo scritto è mettere in luce tutti gli elementi che possano servire da fondamento per lo studio di una peculiarissima psicologia; che possano rendere comprensibile l’incomprensibile tragedia di un’anima, spiegare un inspiegabile suicidio. Inoltre, mi sento in dovere di dichiarare che queste pagine pretendono smentire quelle stupide fantasie che si diffusero sui motivi che avrebbero indotto il giovane artista al disperato gesto. Cercherò di essere il più chiaro possibile nell’affrontare questo argomento veramente oscuro. Forse non ce la farò e – senza troppi preamboli – inizio.


Io e Raul ci conosciamo sin dai tempi del liceo. All’inizio ci trattavamo con freddezza; nulla poteva presagire una futura grande amicizia. Al contrario: io guardavo con estrema irritazione la sua faccia bianca e rosea, i capelli biondi e inanellati di quel ragazzino dagli enormi occhi azzurri che mi ricordavano una miss inglese. Lui, dal canto suo – confessò in seguito – per mesi aveva nutrito una segreta antipatia nei miei confronti. Lo infastidivano le mie fattezze mascoline, la mia pelle scura, i miei capelli neri e lisci; in poche parole tutta la mia figura, che era l’antitesi della sua. Per questo, per strada, ci limitavamo a una decisa stretta di mano e, in classe, a chiedere in prestito il temperino o la gomma… Ma durò poco tempo; un bel giorno smettemmo di stringerci la mano e di servirci mutuamente della gomma o del temperino altrui. Accadde un pomeriggio, all’uscita di scuola, quando Raul si mise improvvisamente a picchiare un povero esserino gracile e rachitico – il migliore alunno della classe, per intenderci. Io lo difesi. Con due cazzotti obbligai il malvagio a lasciare la sua vittima; poi lo picchiai con forza e costrinsi quel selvaggio ritirarsi. Se ne andò, borbottando, a testa bassa. Pensai che con questo gesto di giustizia mi fossi guadagnato l’eterno odio di quella canaglia. Ma che stupore quando, la settimana dopo, io ruppi la zampa di una panca e Raul si prese spontaneamente la colpa per risparmiarmi i rimproveri! Da quel giorno ci riavvicinammo e la mutua antipatia si trasformò in simpatia. Io accettai i suoi occhi e i suoi capelli; lui tollerò il mio colorito olivastro e s’instaurò tra di noi una grande intimità. Da notare: non parlammo mai né dei miei cazzotti, né del suo gesto di altruismo; facemmo finta di non esserci mai conosciuti prima. Seguimmo le lezioni sempre insieme e la convivenza quotidiana accompagnò e rafforzò la nostra amicizia. Raul aveva un carattere bizzarro: certe volte allegro, altre volte triste, certe volte loquace – senza zittirsi neanche un minuto – altre volte estremamente silenzioso, immerso in una meditazione profonda. Talvolta, per cose insignificanti, lo assalivano terribili collere: ricordo che un giorno, solo perché non condividevo una sua opinione, mi aggredì con un insulto osceno accompagnato dal lancio di un pesante calamaio di vetro; se mi avesse preso mi avrebbe tolto dal mondo. Ma le sue collere si placavano subito; piangeva e chiedeva perdono. Io lo perdonavo sempre… Aveva spesso idee strane, di una stranezza sinistra. Per esempio, una notte, dopo uno di quei suoi abituali momenti di mutismo esclamò improvvisamente:
– Mi piacerebbe che morissero tutti… anche gli animali e che rimanessi vivo solo io…
– A che scopo? – domandai spaventato.
– Per provare la paura di essere completamente solo in un mondo pieno di cadaveri. Deve essere incantevole! Che brivido d’orrore!…
Ormai conoscevo le sue bizzarrie, mi facevano sorridere; o meglio, quando le sentivo, mi sforzavo e sorridevo. Infatti, durante queste divagazioni la faccia di Raul assumeva una strana espressione e i suoi occhi esplodevano di un fulgore tale da far presagire al mio cuore angosciato un vago presentimento di follia. Cercavo di cambiare discorso, ma non sempre ci riuscivo. Fu a lui che mostrai i miei primi lavori letterari. Di solito mi elogiava, ma poi aggiungeva:
– Amico mio, complimenti per la pazienza! Ma a che diavolo ti servirà tutto questo?
– A niente – rispondevo io di buon umore – è un intrattenimento che non fa male a nessuno… e per giunta è economico: un quaderno costa venti centesimi; e a comprare inchiostro e pennini non si rischia certo il fallimento…
– Un intrattenimento… – mormorava con un sorriso sdegnato. – Ah! Hai bisogno di intrattenerti… per questo scrivi; ovvero, lavori. Ma, mio caro, intrattenere significa far passare il tempo. Ora, il tempo scorre anche troppo in fretta, non ha certo bisogno di stimoli. Gli uomini dovrebbero cercare di intrattenere il tempo, non di intrattenere se stessi… Io faccio proprio così… Penso al passato, rivivo i giorni passati… In questo modo innalzo una barriera tra presente e futuro. D’altronde, il futuro è un grande saltatore… Salta tutte le barriere, si trasforma in presente e io concludo ben poco… E tu scrivi per non annoiarti… Ah! Sarei molto felice se riuscissi ad annoiarmi!…
Questa, e molte altre trovate assurde, erano così irritanti. Tuttavia, abituato a ogni cosa che il mio amico dicesse, le sopportavo; le ascoltavo e non discutevo. Quando Raul era sereno, le nostre conversazioni erano piacevoli, parlavamo soprattutto d’arte, di letteratura e di teatro. Le sue idee erano allora quelle di una persona normale, fino a quando – improvvisamente – spuntava un non so che di stravagante. Come quando, una mattina, parlai al mio amico dei più bei libri d’amore. Commentavo l’appassionante Manon, il tenebroso Werter, la romantica Signora delle Camelie. Citavo Dante, Camões, Petrarca;  immaginavo un episodio lirico, in cui, al chiaro di luna, davanti agli occhi di due innamorati, passassero tutti gli amori famosi, da Elena e Paride fino a Saffo e Jean Gaussin. Il mio amico, che pareva interessato, scoppiò d’improvviso in un’aspra risata e disse: – Sono tutte idiozie… L’Amore? Ih… Ma cos’è davvero l’amore? Una necessità organica, nulla più. Per defecare ci serviamo di un vaso di porcellana; per amare abbiamo bisogno di un recipiente di carne… Dante, Camões il Guercio… Ma per favore… Patetici sdolcinati, verseggiatori imbecilli… Tu probabilmente, mio povero stolto, non sfuggi alla regola: te ne stai lì, nella penombra, a sussurrare banalità a una qualsiasi borghesuccia sensuale e racchia… Resisti, impassibile, alla pioggia e al vento eh?… Povero di spirito! Beato te… Andrai nel regno dei cieli… Ah! Ah!… Mi resi conto della piega che stava prendendo la conversazione e mi zittii. Io, in tali circostanze mi zittivo sempre… In verità, i venti anni di Raul erano trascorsi senza neanche una pagina d’amore. La sua gioventù non era mai stata illuminata da un sorriso di donna. Aveva perso la madre e non aveva relazioni. Molte volte, per distrarlo, avevo cercato di portarlo a qualche riunione di famiglia.
Non ci riuscii mai. Mi diceva:
– Mio caro, abbiamo tutti un ideale. Io non ti dico qual è il mio. Se te lo confessassi, non sarebbe più un ideale… Tuttavia ti assicuro che non c’è nessuna donna… non c’è proprio nessuno, a parte me. Sono un selvaggio io… Ah! Non avere nessuno accanto… fare soltanto ciò che desidera la propria volontà… Mi sembra impossibile che si possa amare la vita famigliare… La famiglia! che nausea!…
– Ma senza una famiglia, non può esistere la felicità totale! – insorgevo io.
Raul, pensieroso, invece di difendere la sua opinione, rispondeva:
– Certo. È proprio per questo che la vita famigliare mi ripugna. Io non voglio essere felice, sarebbe per me la più grande infelicità!… Povero amico… povero pazzo…
Dopo tre anni passati in Belgio, dove, senza grandi risultati, avevo cercato di studiare ingegneria, tornai in Portogallo. Durante la mia assenza ricevetti poche notizie di Raul. Quando arrivai a Lisbona, fu la prima persona che andai a trovare. Mi ricevette con le mani sporche di gesso, nel suo vecchio studio, trasformato ora in un atelier di scultura. Con estremo stupore dissi:
– Cosa?! E così, all’improvviso, sei diventato un artista?!
– Come vedi: – mi rispose serenamente – perché ti meravigli tanto?
– Per prima cosa – risposi – perché non conoscevo questa tua dote. Per quel che ricordo, non ne hai neanche mai alluso. E poi anche perché, pensando alle tue fantastiche teorie, credevo che il tempo non si dovesse occupare in nessun modo, per far sì che offra più…
– Ed è proprio per questo che son diventato scultore; faccio statue. Le mie statue non sono come le altre, vecchio mio, hanno vita… Vita, capisci?… Invece di fare carne con la mia carne, faccio vita con le mie mani; proprio così, è il mio cervello che le guida. Faccio vita, il tempo passa sulle mie statue, non su di me…
Aveva ragione. Mi mostrò le sue opere. Quelle sculture vivevano… Marmo di una fattezza geniale, agghiacciante… Capolavori, senza dubbio; ma capolavori singolari, a volte di una bellezza allucinante… Essendo ricco, non aveva consegnato la sua arte al commercio. Per questo gli riconoscevano ancora più talento: Raul Vilar, il ragazzo scultore, sarebbe diventato famoso in poco tempo. Mi misi a indagare seriamente sulla sua vita. Non c’era ancora una donna. Quando glielo domandai, con un giro di parole, esclamò:
– Che sciocco… Donne? A che scopo? Non ho forse le mie statue, non ho il marmo?… Voi, cretini letterati, dite, descrivendo il corpo di una donna ideale: «le sue belle gambe tornite e nervose, erano due colonne di rigido marmo; il suo seno, puro alabastro». Sì, nonostante la vostra estrema imbecillità, anche voi capite che la suprema bellezza della carne consiste nel sembrare pietra. Io ho la pietra; perché dovrei volere la carne, stolto?
E mentre diceva così, accarezzava i seni di una meravigliosa ballerina greca.


Pensando a Raul, dicevo tra me e me: «sarà solo un eccentrico desideroso di mettersi in mostra vantandosi delle sue trovate originali; o sarà un pazzo?». Un pazzo, mi sembrava l’ipotesi più plausibile. Lo spirito del mio amico era contraddittorio ma io, seppur esitando, arrivavo sempre a questa conclusione: «è una creatura incomprensibile… un ragazzo eccellente… un grande artista».




Titolo originale: Loucura…
Autore: Mário de Sá-Carneiro
Traduzione dal portoghese: Martina Matozzi
Anno di pubblicazione: 2013

Per maggiori informazioni:


venerdì 5 luglio 2013

Dilagano le proteste indigene in Brasile. Grido d'allarme di Survival International


Tempi duri per il governo brasiliano. Oltre alle proteste di piazza che hanno caratterizzato la fine di giugno e di cui il diario portoghese si è occupato (vedi articolo), non cessano le mobilitazioni delle popolazioni indigene che, al contrario, si intensificano unendosi al coro dei manifestanti. La parola d'ordine, in questo caso, è quella di rispettare i diritti ottenuti con la costituzione del 1988, in primis il diritto esclusivo e originario sulle proprie terre che ora appare a forte rischio.

Un grido dall'allarme in tal senso viene lanciato da Survival, Ente Morale internazionale che dal 1969 aiuta i popoli indigeni di tutto il mondo a difendere le loro vite, a proteggere le loro terre e a decidere autonomamente del loro futuro, nonché unica organizzazione al mondo totalmente dedicata ai popoli tribali e ai loro diritti. Drastica la dichiarazione del Direttore generale di Survival International, Stephen Corry, il quale afferma: "È dai tempi della dittatura militare, degli anni ‘60 e ‘80, che gli Indiani del Brasile non affrontano un simile assalto, illegale e incostituzionale, ai loro diritti. Il Paese -aggiunge- si sta preparando ad ospitare la Coppa del Mondo, la visita del Papa e le Olimpiadi: le autorità devono dimostrare di governare per tutti, anche per i primi abitanti del Brasile".

Nell’ultimo periodo - ricorda Survival nel suo sito - tre indiani sono stati uccisi durante proteste legate ai conflitti territoriali. Un uomo Guaranì è stato assassinato da sicari in giugno, dopo che la sua comunità aveva rioccupato il proprio territorio ancestrale; un indiano Terena è stato ucciso in maggio dalla polizia durante uno sfratto violento dalla sua terra nello stato meridionale del Mato Grosso do Sul, e un uomo Mundukuru è stato assassinato quando la polizia ha invaso una comunità lo scorso novembre. Nonostante le recenti promesse di incontrare tutti i leader della proteste, la Presidente Dilma, dopo due anni e mezzo di governo - lamenta Survival facendosi interprete delle oltre 300 tribù - non ha ancora incontrato alcun rappresentante indigeno.

Sempre dal sito dell'Organizzazione si apprende che Davi Kopenawa, portavoce della tribù Yanomami ed il movimento studentesco Movimento Passe Livre (MPL), centrale nelle proteste, hanno denunciato i numerosi attacchi subiti  da parte di proprietari terrieri e istituzioni pubbliche oltre alle "manovre ordite dal governo per minare i diritti costituzionali duramente conquistati dagli Indiani". Quello che viene imputato all'attuale Governo, in sintesi, è di voler trasformare l'Amazzonia in un polo industriale a sostegno della crescita economica nazionale, favorendo l'attività estrattiva e la costruzione di mega-dighe, che andranno ad erodere ulteriormente la già mutilata foresta.
In un video messaggio, Davi ha dichiarato: “Sono arrabbiato per gli errori del Governo. Alle autorità brasiliane non interessa che i popoli indigeni vivano in pace, e non vogliono neanche aiutare la popolazione delle città. Nel mio mondo, la natura è con me - ha aggiunto - e sta ascoltando. Vede gli errori che le autorità stanno facendo in questo paese. Dovrebbero rispettare il nostro Paese, le popolazioni delle città, le comunità e i popoli indigeni brasiliani”.

Poiché una delle situazioni più drammatiche riguarda il Mato Grosso do Sul dove i Guaranì sono ridotti a vivere ai margini delle strade o stipati in riserve, si è alzata in loro difesa anche la voce del Consiglio Missionario Indigeno (CIMI) sostenendo che "la repressione contro gli indigeni è diventata una pratica sistematica”. In un comunicato il CIMI denuncia "il modo illegale e autoritario" con cui i missionari e il personale del CIMI sono stati trattati dalla Polizia Federale nel comune di Sidrolândia, nel corso delle operazioni di sgombero della fattoria Buriti, occupata dagli indigeni dal 15 maggio scorso.

Survival ha scritto a Papa Francesco, che si recherà in visita in Brasile questo mese, pregandolo di sollevare il problema della grave situazione dei popoli indigeni con il governo.

Guarda il video integrale.

lunedì 1 luglio 2013

Brasile: cosa sta succedendo? Sentiamo cosa ne pensano gli esperti

STRALCI DI OPINIONI TRA LE PIU' AUTOREVOLI USCITE DURANTE LE PROTESTE

Da giorni ormai i titoli dei giornali del mondo si concentrano sulle clamorose, quanto inaspettate, manifestazioni di piazza che hanno sconvolto le principali città del Brasile ed hanno visto confluire in strada veri fiumi di persone di varie età ed estrazioni sociali, talora sconfinando in un clima di violenza. L’origine di tale esplosione di proteste, in apparente contrasto con l'immagine diffusa di uno tra i pochi Paesi Emergenti, è stata messa al vaglio di possibili interpretazioni affidate ad esperti.
II diario portoghese ha curiosato tra le varie opinioni emerse sulla stampa internazionale riguardo alle proteste e ne ha selezionato alcuni stralci da riproporre ai suoi lettori. Tra le più autorevoli, quella di Boaventura de Sousa Santos, docente di sociologia del diritto all’università di Yale e ordinario di sociologia all’Università di Coimbra in Portogallo, figura caratterizzata dalla vicinanza agli organizzatori del Fórum Social Mundial, pubblicata sul sito del Fórum e rilanciata a pioggia in rete.


“Le manifestazioni- afferma tra l’altro de Sousa Santos- rivelano che, più che il Paese, è stata la presidente a svegliarsi. Con lo sguardo rivolto agli avvenimenti internazionali e anche alle elezioni presidenziali del 2014, la presidente Dilma ha ben chiaro che le risposte repressive servono solo ad acuire i conflitti e a isolare i governi. In questo senso, i sindaci di nove capitali hanno già deciso di abbassare il prezzo dei trasporti. E' solo un inizio. Perché sia consistente, è necessario che le due narrazioni (democrazia partecipativa e inclusione sociale interculturale) ritrovino il dinamismo. Se così sarà, il Brasile -conclude- mostrerà al mondo che vale la pena pagare il prezzo del progresso solo se si approfondisce la democrazia, si distribuisce la ricchezza prodotta e si riconosce la differenza culturale e politica di coloro che considerano arretratezza un progresso senza dignità.”
Per Lúcio Flávio Rodrigues de Almeida, docente di sociologia all’Università Cattolica di São Paulo intervistato dal Guardian, “finora le autorità hanno risposto solo con la repressione alle proteste, che sono frutto di un movimento autorganizzato che non fa capo a nessun partito e che è stato rafforzato dagli episodi di violenza indiscriminata messi in atto dalla polizia nei giorni scorsi. La forte repressione, soprattutto a São Paulo- secondo il sociologo- ha rafforzato il movimento e ha creato una forma di sostegno da parte dell’opinione pubblica per una protesta che ha semplicemente comparato i costi della Confederations cup e dei Mondiali con gli investimenti nei trasporti e negli altri servizi.”

Ricardo Antunes, docente di sociologia all’Università Estadual di Campinas (Unicamp), in un articolo apparso su Folha de S.Paulo dall’emblematico titolo “Fim da letargia”, osserva tra l’altro: “I brasiliani hanno capito che dietro il mito pericoloso della nuova classe media e della crescita economica, c’è la vita reale dei lavoratori che è ancora molto difficile: sanità e istruzione non hanno risorse economiche, i trasporti sono costosi e fatiscenti, le città malsane, trafficate e violente”.
Marcelo Alencar (professore di storia, deputato federale del Psol dal 2005 e parlamentare del Pt a partire dal 1989, oltreché marxista cattolico, legato alla Teologia della Liberazione), intervistato da Heitor De Figuereido per Il Manifesto, ha detto: “ Siamo in un momento in cui la protesta è generalizzata nel condannare la corruzione. È una protesta inter-classista con forti componenti organizzate anti-capitaliste che vogliono trasparenza e partecipazione proprio per evitare che lo stato diventi un balção de negocios , cioè un locale per affari tra amici”.
Sul fondamentale ruolo giocato dai social media nelle manifestazioni interviene il noto giornalista e blogger brasiliano Leonardo Sakamoto, come sempre monitorato da "Voci Globali" de La Stampa.it che ne riporta le seguenti considerazioni: "I politici tradizionali faticano a comprendere il modo in cui i movimenti usano strumenti come Twitter e Facebook. Credono che si tratti esclusivamente di spazi per farsi pubblicità o un modo per divulgare informazioni agli elettori. C’è anche chi crede che i social network siano delle entità a sé, non delle piattaforme su cui fare politica, dove le voci di dissenso guadagnano terreno, dal momento che non sono filtrate dai mezzi tradizionali di comunicazione sociale. Il potere dei rappresentanti, in termini di partiti, sindacati, associazioni e simili sta diminuendo, mentre aumenta di conseguenza l’azione diretta dei cittadini, in qualità di architetti della propria realtà politica".