Tra le tante pubblicazioni interessanti di questo
periodo, merita decisamente un po’ di attenzione il racconto lungo di Mário de
Sá-Carneiro, Follia…, tradotto dal
portoghese da Martina Matozzi ed edito da Vittoria Iguazù Editora. Il volume,
disponibile in ebook, è già in vendita sulle maggiori piattaforme online.
Gustiamoci insieme la lettura dell’incipit del
racconto (l’estratto è disponibile anche sul sito della casa editrice, insieme
all’introduzione al volume firmata da Riccardo Greco):
In tanti compiansero la morte di Raul Vilar. Tutti
i giornali consacrarono lunghi articoli al grande scultore. Elogiandolo,
scrivendo la sua biografia, catalogando le sue opere – tra le quali spicca Amore,
un ammirevole basso rilievo – e considerando, all’unanimità, il suo prematuro decesso
una grave perdita per l’arte nazionale. Poi, passarono gli anni e oggi in pochi
ricordano il povero Raul. È proprio per questo che ho deciso di parlare di lui.
D’altronde, non c’è nessuno che sia più competente di me: ero il suo più caro
amico, il suo unico amico. Non fraintendete le mie intenzioni: l’unico fine di
questo scritto è mettere in luce tutti gli elementi che possano servire da
fondamento per lo studio di una peculiarissima psicologia; che possano rendere comprensibile
l’incomprensibile tragedia di un’anima, spiegare un inspiegabile suicidio. Inoltre,
mi sento in dovere di dichiarare che queste pagine pretendono smentire quelle
stupide fantasie che si diffusero sui motivi che avrebbero indotto il giovane
artista al disperato gesto. Cercherò di essere il più chiaro possibile
nell’affrontare questo argomento veramente oscuro. Forse non ce la farò e –
senza troppi preamboli – inizio.
★ ★ ★
Io e Raul ci conosciamo sin dai tempi del liceo.
All’inizio ci trattavamo con freddezza; nulla poteva presagire una futura
grande amicizia. Al contrario: io guardavo con estrema irritazione la sua
faccia bianca e rosea, i capelli biondi e inanellati di quel ragazzino dagli
enormi occhi azzurri che mi ricordavano una miss inglese. Lui, dal canto
suo – confessò in seguito – per mesi aveva nutrito una segreta antipatia nei
miei confronti. Lo infastidivano le mie fattezze mascoline, la mia pelle scura,
i miei capelli neri e lisci; in poche parole tutta la mia figura, che era
l’antitesi della sua. Per questo, per strada, ci limitavamo a una decisa
stretta di mano e, in classe, a chiedere in prestito il temperino o la gomma… Ma
durò poco tempo; un bel giorno smettemmo di stringerci la mano e di servirci
mutuamente della gomma o del temperino altrui. Accadde un pomeriggio,
all’uscita di scuola, quando Raul si mise improvvisamente a picchiare un povero
esserino gracile e rachitico – il migliore alunno della classe, per intenderci.
Io lo difesi. Con due cazzotti obbligai il malvagio a lasciare la sua vittima;
poi lo picchiai con forza e costrinsi quel selvaggio ritirarsi. Se ne andò,
borbottando, a testa bassa. Pensai che con questo gesto di giustizia mi fossi
guadagnato l’eterno odio di quella canaglia. Ma che stupore quando, la
settimana dopo, io ruppi la zampa di una panca e Raul si prese spontaneamente
la colpa per risparmiarmi i rimproveri! Da quel giorno ci riavvicinammo e la
mutua antipatia si trasformò in simpatia. Io accettai i suoi occhi e i suoi
capelli; lui tollerò il mio colorito olivastro e s’instaurò tra di noi una
grande intimità. Da notare: non parlammo mai né dei miei cazzotti, né del suo
gesto di altruismo; facemmo finta di non esserci mai conosciuti prima. Seguimmo
le lezioni sempre insieme e la convivenza quotidiana accompagnò e rafforzò la
nostra amicizia. Raul aveva un carattere bizzarro: certe volte allegro, altre
volte triste, certe volte loquace – senza zittirsi neanche un minuto – altre
volte estremamente silenzioso, immerso in una meditazione profonda. Talvolta,
per cose insignificanti, lo assalivano terribili collere: ricordo che un
giorno, solo perché non condividevo una sua opinione, mi aggredì con un insulto
osceno accompagnato dal lancio di un pesante calamaio di vetro; se mi avesse preso
mi avrebbe tolto dal mondo. Ma le sue collere si placavano subito; piangeva e
chiedeva perdono. Io lo perdonavo sempre… Aveva spesso idee strane, di una
stranezza sinistra. Per esempio, una notte, dopo uno di quei suoi abituali
momenti di mutismo esclamò improvvisamente:
– Mi piacerebbe che morissero tutti… anche gli
animali e che rimanessi vivo solo io…
– A che scopo? – domandai spaventato.
– Per provare la paura di essere completamente solo
in un mondo pieno di cadaveri. Deve essere incantevole! Che brivido d’orrore!…
Ormai conoscevo le sue bizzarrie, mi facevano
sorridere; o meglio, quando le sentivo, mi sforzavo e sorridevo. Infatti,
durante queste divagazioni la faccia di Raul assumeva una strana espressione e
i suoi occhi esplodevano di un fulgore tale da far presagire al mio cuore angosciato
un vago presentimento di follia. Cercavo di cambiare discorso, ma non sempre ci
riuscivo. Fu a lui che mostrai i miei primi lavori letterari. Di solito mi
elogiava, ma poi aggiungeva:
– Amico mio, complimenti per la pazienza! Ma a che
diavolo ti servirà tutto questo?
– A niente – rispondevo io di buon umore – è un
intrattenimento che non fa male a nessuno… e per giunta è economico: un
quaderno costa venti centesimi; e a comprare inchiostro e pennini non si
rischia certo il fallimento…
– Un intrattenimento… – mormorava con un sorriso
sdegnato. – Ah! Hai bisogno di intrattenerti… per questo scrivi; ovvero,
lavori. Ma, mio caro, intrattenere significa far passare il tempo. Ora,
il tempo scorre anche troppo in fretta, non ha certo bisogno di stimoli. Gli
uomini dovrebbero cercare di intrattenere il tempo, non di intrattenere
se stessi… Io faccio proprio così… Penso al passato, rivivo i giorni passati… In
questo modo innalzo una barriera tra presente e futuro. D’altronde, il futuro è
un grande saltatore… Salta tutte le barriere, si trasforma in presente e io
concludo ben poco… E tu scrivi per non annoiarti… Ah! Sarei molto felice se
riuscissi ad annoiarmi!…
Questa, e molte altre trovate assurde, erano così
irritanti. Tuttavia, abituato a ogni cosa che il mio amico dicesse, le
sopportavo; le ascoltavo e non discutevo. Quando Raul era sereno, le nostre
conversazioni erano piacevoli, parlavamo soprattutto d’arte, di letteratura e
di teatro. Le sue idee erano allora quelle di una persona normale, fino a
quando – improvvisamente – spuntava un non so che di stravagante. Come quando,
una mattina, parlai al mio amico dei più bei libri d’amore. Commentavo
l’appassionante Manon, il tenebroso Werter, la romantica Signora delle Camelie.
Citavo Dante, Camões, Petrarca; immaginavo
un episodio lirico, in cui, al chiaro di luna, davanti agli occhi di due
innamorati, passassero tutti gli amori famosi, da Elena e Paride fino a Saffo e
Jean Gaussin. Il mio amico, che pareva interessato, scoppiò d’improvviso in
un’aspra risata e disse: – Sono tutte idiozie… L’Amore? Ih… Ma cos’è davvero
l’amore? Una necessità organica, nulla più. Per defecare ci serviamo di un vaso
di porcellana; per amare abbiamo bisogno di un recipiente di carne…
Dante, Camões il Guercio… Ma per favore… Patetici sdolcinati, verseggiatori imbecilli…
Tu probabilmente, mio povero stolto, non sfuggi alla regola: te ne stai lì,
nella penombra, a sussurrare banalità a una qualsiasi borghesuccia sensuale e
racchia… Resisti, impassibile, alla pioggia e al vento eh?… Povero di spirito!
Beato te… Andrai nel regno dei cieli… Ah! Ah!… Mi resi conto della piega che
stava prendendo la conversazione e mi zittii. Io, in tali circostanze mi
zittivo sempre… In verità, i venti anni di Raul erano trascorsi senza neanche
una pagina d’amore. La sua gioventù non era mai stata illuminata da un sorriso di
donna. Aveva perso la madre e non aveva relazioni. Molte volte, per distrarlo,
avevo cercato di portarlo a qualche riunione di famiglia.
Non ci riuscii mai. Mi diceva:
– Mio caro, abbiamo tutti un ideale. Io non ti dico
qual è il mio. Se te lo confessassi, non sarebbe più un ideale… Tuttavia ti
assicuro che non c’è nessuna donna… non c’è proprio nessuno, a parte me. Sono un
selvaggio io… Ah! Non avere nessuno accanto… fare soltanto ciò che desidera la
propria volontà… Mi sembra impossibile che si possa amare la vita famigliare…
La famiglia! che nausea!…
– Ma senza una famiglia, non può esistere la
felicità totale! – insorgevo io.
Raul, pensieroso, invece di difendere la sua
opinione, rispondeva:
– Certo. È proprio per questo che la vita famigliare
mi ripugna. Io non voglio essere felice, sarebbe per me la più grande
infelicità!… Povero amico… povero pazzo…
Dopo tre anni passati in Belgio, dove, senza grandi
risultati, avevo cercato di studiare ingegneria, tornai in Portogallo. Durante
la mia assenza ricevetti poche notizie di Raul. Quando arrivai a Lisbona, fu la
prima persona che andai a trovare. Mi ricevette con le mani sporche di gesso,
nel suo vecchio studio, trasformato ora in un atelier di scultura. Con estremo
stupore dissi:
– Cosa?! E così, all’improvviso, sei diventato un
artista?!
– Come vedi: – mi rispose serenamente – perché ti
meravigli tanto?
– Per prima cosa – risposi – perché non conoscevo
questa tua dote. Per quel che ricordo, non ne hai neanche mai alluso. E poi
anche perché, pensando alle tue fantastiche teorie, credevo che il tempo non si
dovesse occupare in nessun modo, per far sì che offra più…
– Ed è proprio per questo che son diventato
scultore; faccio statue. Le mie statue non sono come le altre, vecchio mio,
hanno vita… Vita, capisci?… Invece di fare carne con la mia carne, faccio vita
con le mie mani; proprio così, è il mio cervello che le guida. Faccio vita, il
tempo passa sulle mie statue, non su di me…
Aveva ragione. Mi mostrò le sue opere. Quelle
sculture vivevano… Marmo di una fattezza geniale, agghiacciante… Capolavori,
senza dubbio; ma capolavori singolari, a volte di una bellezza allucinante… Essendo
ricco, non aveva consegnato la sua arte al commercio. Per questo gli
riconoscevano ancora più talento: Raul Vilar, il ragazzo scultore, sarebbe
diventato famoso in poco tempo. Mi misi a indagare seriamente sulla sua vita.
Non c’era ancora una donna. Quando glielo domandai, con un giro di parole,
esclamò:
– Che sciocco… Donne? A che scopo? Non ho forse le
mie statue, non ho il marmo?… Voi, cretini letterati, dite, descrivendo il
corpo di una donna ideale: «le sue belle gambe tornite e nervose, erano due colonne
di rigido marmo; il suo seno, puro alabastro». Sì, nonostante la vostra estrema
imbecillità, anche voi capite che la suprema bellezza della carne consiste nel
sembrare pietra. Io ho la pietra; perché dovrei volere la carne, stolto?
E mentre diceva così, accarezzava i seni di una
meravigliosa ballerina greca.
★ ★ ★
Pensando a Raul, dicevo tra me e me: «sarà solo un
eccentrico desideroso di mettersi in mostra vantandosi delle sue trovate
originali; o sarà un pazzo?». Un pazzo, mi sembrava l’ipotesi più plausibile.
Lo spirito del mio amico era contraddittorio ma io, seppur esitando, arrivavo
sempre a questa conclusione: «è una creatura incomprensibile… un ragazzo
eccellente… un grande artista».
Titolo originale: Loucura…
Autore: Mário de Sá-Carneiro
Traduzione dal portoghese: Martina Matozzi
Anno di pubblicazione: 2013
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