lunedì 28 dicembre 2015

“Natal das Ilhas”: Vitorino Nemésio ci porta in vacanza alle Azzorre con la poesia

Nato a Praia da Vitória, è tra le figure più rappresentative della cultura portoghese del XX secolo


Le isole Azzorre, parte integrante e al tempo stesso originalissima della cultura portoghese, sono nel cuore del nostro Blog che spesso ne ha parlato prendendo spunto dalle figure di alcuni azzorriani particolarmente interessanti. Pur sapendo che non  si tratta di un paradiso tropicale e pertanto risulta difficile inserirle tra le mete per le vacanze natalizie, scegliamo di andarci comunque, seppure idealmente. A trasportarci nello spirito dell’arcipelago composto da quelle nove isole che il regista portoghese Gonçalo Tocha considera “barche ferme in mezzo all’oceano”, sarà un azzorriano considerato tra le figure più rappresentative della cultura portoghese del XX secolo. Si tratta di Vitorino Nemésio, nato a Praia da Vitória nell’isola di Terceira il 19 dicembre 1901 e morto a Lisbona il 20 febbraio 1978.

Soprattutto poeta - nel senso che si dedicò alla poesia ininterrottamente dal 1916 al 1976 - Nemésio fu anche romanziere, giornalista, biografo, filologo, storico della letteratura, ricercatore, docente universitario, conferenziere e persino comunicatore televisivo apprezzato. Tra i molti riconoscimenti ottenuti, spiccano il Prémio Nacional de Literatura del 1966 e il prestigioso Prémio Montaigne del 1975. Senza addentarci nella molteplicità della sua opera ed esplorare nella sua ricca biografia dove alla cultura si affianca pure l’umanista che tutti riconoscono come suo tratto distintivo, con questo nostro post ci concentriamo sul Nemésio capace di conservare intatta la sua origine azzorriana nonostante i lunghi periodi trascorsi lontano dalla terra natale, non solo in Portogallo, anche in Francia, Belgio e Brasile.

Del resto, definì egli stesso il concetto di “Açorianidade” nel 1932 e la sua definizione fu ampiamente divulgata in contesti differenti, sia in ambito di studi letterari sia in ambito politico. Ecco cosa scriveva Nemésio sul numero speciale di Insula, rivista edita a Ponta Delgada -São Miguel, uscito in occasione del V centenario della scoperta delle Azzorre: «(...) Quisera poder enfeixar nesta página emotiva o essencial da minha consciência de ilhéu. Em primeiro lugar o apego à terra, este amor elementar que não conhece razões, mas impulsos; e logo o sentimento de uma herança étnica que se relaciona intimamente com a grandeza do mar.Um espírito nada tradicionalista, mas humaníssimo nas suas contradições (...) Uma espécie de embriaguez do isolamento impregna a alma e os actos de todo o ilhéu, estrutura-lhe o espírito e procura uma fórmula quási religiosa de convívio com quem não teve a fortuna de nascer, como o logos, na água (...)».

Emblematico, sempre a proposito del suo indissolubile legame con le isole, citare “Mau Tempo no Canal”, romanzo su cui aveva cominciato a lavorare già dal 1939 ma che fu pubblicato nel 1944, anno in cui fu insignito del Prémio Ricardo Malheiros promosso dall’Academia das Ciências de Lisboa. Il “canal” cui fa rifermento il titolo è il braccio di mare che separa Faial e Pico, due delle isole in cui si svolge la storia oltre a São Jorge, mentre la città protagonista è Horta nella costa su-est dell’Ilha do Faial. Ambientato negli anni tra il 1917 e il 1919, il romanzo fotografa le relazioni tra le famiglie di diverse condizioni sociali, con le loro regole e convenzioni, le loro rivalità e le complicità. Descrive la società dell’epoca con una peculiarità legata alla dimensione isolana, talmente piccola e limitata da far apparire ogni cosa, per contro, esagerata. Secondo David Mourão-Ferreira (in “O Essencial sobre Vitorino Nemésio”, p. 38) si tratta dell’opera romanzesca «mais complexa, mais variada, mais densa e mais subtil em toda a nossa história literária».
E adesso, finalmente, lasciamo che la sua poesia faccia sentire un po’ azzorriano in queste vacanze di Natale anche chi la legge:


NATAL DAS ILHAS

À Maria e ao Manuel Pinheirinho, primos-irmãos

Natal das Ilhas. Aonde
O prato do trigo novo,
A camélia imaculada,
O gosto no pão do povo?
Olho, já não vejo nada.
Chamo, ninguém me responde.
Natal das Ilhas. Serão
Ilhas de gente sem telha,
Jesus nascido no chão
Sobre alguma colcha velha?
Burra de cigano às palhas,
Vaca com língua de pneu,
Presépio girando em calhas
Como o elétrico, tu e eu.
Natal das Ilhas. Já brilha
Nas ondas do mar de inverno
O menino bem lembrado,
Que trouxe da sua ilha
O gosto do peixe eterno
Em perdão do seu passado.

Vitorino Nemésio


Poemas Portugueses 

mercoledì 9 dicembre 2015

Disastro Rio Doce Minas Gerais: per Salgado “É a maior tragédia ambiental do Brasil”

Il grande fotografo filantropo lancia proposta Fondo di conservazione con la sua Ong Instituto Terra


“É a maior tragédia ambiental do Brasil”. Così Sebastião Salgado sintetizza quanto avvenuto il 5 novembre scorso proprio nel Minas Gerais, sua terra natale, ossia lo sversamento di 62 mln di metri cubi di fanghi tossici seguiti al crollo di due dighe che contenevano le attività estrattive di un’enorme miniera di ferro. L’ondata gigantesca, dopo aver sommerso il villaggio più vicino -Bento Rodrigues a Mariana- ha invaso il Rio Doce, fiume che coi suoi 850 km di lunghezza arriva fino all’Oceano Atlantico, contaminando nel suo percorso le coste. Flora e fauna ittica di Rio Doce e dei suoi affluenti sono andati distrutti. Se fortunatamente il numero delle persone tra morti e dispersi è contenuto in poche decine, almeno un milione di abitanti dell’enorme zona contaminata (circa 100 km di raggio dal punto del crollo delle dighe) è rimasta senza acqua potabile.

La notizia di quella che è stata definita la “fukushima brasileira” benché in questo caso non c’entrino le centrali nucleari, ha tardato ad arrivare in Europa ed è stata offuscata dall’attentato al Bataclan di Parigi che monopolizzava i media in quelle giornate. Sebastião Salgado, che  si trovava in Cina, è rientrato nel Minas Gerais il 10 novembre per constatare di persona l’accaduto. Va ricordato che alla sua attività di reporter ha affiancato quella di filantropo ambientalista dando vita nella fine degli anni ‘90 all’Instituto Terra, una Ong dedita alla riforestazione della cosiddetta “mata atlantica” che include progetti di sviluppo nel rispetto del territorio su un’area di oltre 700 ettari. All’Istituto Terra, attivo proprio nelle valli del Rio Doce e di Espirito Santo ora contaminate dai fanghi tossici, Salgado ha destinato gran parte degli introiti provenienti dal suo lavoro.

Chi meglio di un “mineiro” par suo potrebbe commentare le sensazioni di fronte all’accaduto in una terra che gli ha dato i natali e cui dedica ogni sforzo per conservarla? Toccanti le dichiarazioni rilasciate alle principali testate brasiliane che non hanno esitato a sollecitarlo al riguardo. Estrapoliamone qualcuna. A Em.com. br. Gerais ha detto:« Quando a gente vê fotos ou pela TV, não tem noção do que é realmente. Mas aqui, pessoalmente, estou chocado. É terrível ver a água avermelhada, como se fosse um gel, os peixes mortos. É uma morte biológica brutal. Nunca ia imaginar que no rio em que nadei tanto na minha infância, hoje não consigo nem colocar a mão.»  A EL PAÍS ha dichiarato di aver assistito a «um dos espetáculos mais terríveis da minha vida. Todos os peixes do rio, todos, todos, sem exceção, mortos. Não existe mais oxigênio na água do rio».

Ma Salgado non si è fermato davanti allo sconforto e alla desolazione. Senza perder tempo ha avanzato  un progetto di conservazione da attuare tramite Instituto Terra - l’unica istituzione con progetti rivolti alla valle del Rio Doce - che ha presentato sia ai governatori di Minas Gerais e di Espirito Santo, sia al presidente Dilma Roussef. L’idea è di creare un Fondo di risorse finanziarie sovvenzionate dalle imprese responsabili del disastro (la società Samarco, una joint venture tra la brasiliana Vale e l’anglo-australiana Bhp Billiton che gestisce la miniera) che permetta, con adeguato controllo sociale, di facilitare il ripristino delle condizioni di vita esistenti prima del “desastre em Mariana”  nella zona colpita.

Deve trattarsi di un Fondo perpetuo destinato al valle del Rio Doce. Il perché lo spiega lo stesso Salgado: «Isto porque, além das vidas perdidas, houve grandes danos materiais, redução de postos de trabalho, redução de fontes de renda como a pesca, perda de arrecadação para as cidades, ademais da necessidade de recuperação da fauna, flora, do solo e da água». L’autore dell’indimenticabile opera “Genesis” mette al primissimo posto degli interventi del Fondo il recupero di quante più possibili tra le 377mila fonti sorgive possedute dal bacino del Rio Doce e annuncia che già è pronto a partire un progetto pilota per recuperarne mille. Ma occorre ottenere i soldi necessari per mettere in pratica l’intero progetto, decisamente a lungo termine, i cui frutti sarebbero visibili solo in due o tre decenni. Ecco perché, a quello ormai riconosciuto come il  più grande fotografo del mondo, non resta che ammettere: « Hoje é muito mais importante eu lutar por esse fundo que fazer fotos» .

Per saperne di più: