Il grande fotografo filantropo lancia proposta Fondo di conservazione con la sua Ong Instituto Terra
“É a maior tragédia
ambiental do Brasil”. Così Sebastião
Salgado sintetizza quanto avvenuto il 5 novembre scorso proprio nel Minas
Gerais, sua terra natale, ossia lo sversamento di 62 mln di metri cubi di
fanghi tossici seguiti al crollo di due dighe che contenevano le attività
estrattive di un’enorme miniera di ferro. L’ondata gigantesca, dopo aver
sommerso il villaggio più vicino -Bento Rodrigues a Mariana- ha invaso il Rio
Doce, fiume che coi suoi 850 km di lunghezza arriva fino all’Oceano Atlantico,
contaminando nel suo percorso le coste. Flora e fauna ittica di Rio Doce e dei
suoi affluenti sono andati distrutti. Se fortunatamente il numero delle persone
tra morti e dispersi è contenuto in poche decine, almeno un milione di abitanti
dell’enorme zona contaminata (circa 100 km di raggio dal punto del crollo delle
dighe) è rimasta senza acqua potabile.
La notizia di quella
che è stata definita la “fukushima brasileira” benché in questo caso non c’entrino
le centrali nucleari, ha tardato ad arrivare in Europa ed è stata offuscata dall’attentato
al Bataclan di Parigi che monopolizzava i media in quelle giornate. Sebastião
Salgado, che si trovava in Cina, è
rientrato nel Minas Gerais il 10 novembre per constatare di persona l’accaduto.
Va ricordato che alla sua attività di reporter ha affiancato quella di
filantropo ambientalista dando vita nella fine degli anni ‘90 all’Instituto
Terra, una Ong dedita alla riforestazione della cosiddetta “mata atlantica” che
include progetti di sviluppo nel rispetto del territorio su un’area di oltre
700 ettari. All’Istituto Terra, attivo proprio nelle valli del Rio Doce e di
Espirito Santo ora contaminate dai fanghi tossici, Salgado ha destinato gran
parte degli introiti provenienti dal suo lavoro.
Chi meglio di un “mineiro”
par suo potrebbe commentare le sensazioni di fronte all’accaduto in una terra
che gli ha dato i natali e cui dedica ogni sforzo per conservarla? Toccanti le
dichiarazioni rilasciate alle principali testate brasiliane che non hanno
esitato a sollecitarlo al riguardo. Estrapoliamone qualcuna. A Em.com. br.
Gerais ha detto:« Quando a gente vê fotos ou pela TV, não tem noção do que é
realmente. Mas aqui, pessoalmente, estou chocado. É terrível ver a água
avermelhada, como se fosse um gel, os peixes mortos. É uma morte biológica
brutal. Nunca ia imaginar que no rio em que nadei tanto na minha infância, hoje
não consigo nem colocar a mão.» A EL
PAÍS ha dichiarato di aver assistito a «um dos espetáculos mais terríveis da
minha vida. Todos os peixes
do rio, todos, todos, sem exceção, mortos. Não existe mais oxigênio
na água do rio».
Ma Salgado non si è
fermato davanti allo sconforto e alla desolazione. Senza perder tempo ha
avanzato un progetto di conservazione da
attuare tramite Instituto Terra - l’unica istituzione con progetti rivolti alla
valle del Rio Doce - che ha presentato sia ai governatori di Minas Gerais e di
Espirito Santo, sia al presidente Dilma Roussef. L’idea è di creare un Fondo di
risorse finanziarie sovvenzionate dalle imprese responsabili del disastro (la
società Samarco, una joint venture tra la brasiliana Vale e l’anglo-australiana
Bhp Billiton che gestisce la miniera) che permetta, con adeguato controllo
sociale, di facilitare il ripristino delle condizioni di vita esistenti prima
del “desastre em Mariana” nella zona
colpita.
Deve trattarsi di un
Fondo perpetuo destinato al valle del Rio Doce. Il perché lo spiega lo stesso
Salgado: «Isto porque, além das vidas perdidas, houve grandes danos materiais,
redução de postos de trabalho, redução de fontes de renda como a pesca, perda
de arrecadação para as cidades, ademais da necessidade de recuperação da fauna,
flora, do solo e da água». L’autore dell’indimenticabile opera “Genesis” mette
al primissimo posto degli interventi del Fondo il recupero di quante più
possibili tra le 377mila fonti sorgive possedute dal bacino del Rio Doce e
annuncia che già è pronto a partire un progetto pilota per recuperarne mille.
Ma occorre ottenere i soldi necessari per mettere in pratica l’intero progetto,
decisamente a lungo termine, i cui frutti sarebbero visibili solo in due o tre
decenni. Ecco perché, a quello ormai riconosciuto come il più grande fotografo del mondo, non resta che
ammettere: « Hoje é muito mais importante eu lutar por esse fundo que fazer
fotos» .
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