lunedì 28 dicembre 2015

“Natal das Ilhas”: Vitorino Nemésio ci porta in vacanza alle Azzorre con la poesia

Nato a Praia da Vitória, è tra le figure più rappresentative della cultura portoghese del XX secolo


Le isole Azzorre, parte integrante e al tempo stesso originalissima della cultura portoghese, sono nel cuore del nostro Blog che spesso ne ha parlato prendendo spunto dalle figure di alcuni azzorriani particolarmente interessanti. Pur sapendo che non  si tratta di un paradiso tropicale e pertanto risulta difficile inserirle tra le mete per le vacanze natalizie, scegliamo di andarci comunque, seppure idealmente. A trasportarci nello spirito dell’arcipelago composto da quelle nove isole che il regista portoghese Gonçalo Tocha considera “barche ferme in mezzo all’oceano”, sarà un azzorriano considerato tra le figure più rappresentative della cultura portoghese del XX secolo. Si tratta di Vitorino Nemésio, nato a Praia da Vitória nell’isola di Terceira il 19 dicembre 1901 e morto a Lisbona il 20 febbraio 1978.

Soprattutto poeta - nel senso che si dedicò alla poesia ininterrottamente dal 1916 al 1976 - Nemésio fu anche romanziere, giornalista, biografo, filologo, storico della letteratura, ricercatore, docente universitario, conferenziere e persino comunicatore televisivo apprezzato. Tra i molti riconoscimenti ottenuti, spiccano il Prémio Nacional de Literatura del 1966 e il prestigioso Prémio Montaigne del 1975. Senza addentarci nella molteplicità della sua opera ed esplorare nella sua ricca biografia dove alla cultura si affianca pure l’umanista che tutti riconoscono come suo tratto distintivo, con questo nostro post ci concentriamo sul Nemésio capace di conservare intatta la sua origine azzorriana nonostante i lunghi periodi trascorsi lontano dalla terra natale, non solo in Portogallo, anche in Francia, Belgio e Brasile.

Del resto, definì egli stesso il concetto di “Açorianidade” nel 1932 e la sua definizione fu ampiamente divulgata in contesti differenti, sia in ambito di studi letterari sia in ambito politico. Ecco cosa scriveva Nemésio sul numero speciale di Insula, rivista edita a Ponta Delgada -São Miguel, uscito in occasione del V centenario della scoperta delle Azzorre: «(...) Quisera poder enfeixar nesta página emotiva o essencial da minha consciência de ilhéu. Em primeiro lugar o apego à terra, este amor elementar que não conhece razões, mas impulsos; e logo o sentimento de uma herança étnica que se relaciona intimamente com a grandeza do mar.Um espírito nada tradicionalista, mas humaníssimo nas suas contradições (...) Uma espécie de embriaguez do isolamento impregna a alma e os actos de todo o ilhéu, estrutura-lhe o espírito e procura uma fórmula quási religiosa de convívio com quem não teve a fortuna de nascer, como o logos, na água (...)».

Emblematico, sempre a proposito del suo indissolubile legame con le isole, citare “Mau Tempo no Canal”, romanzo su cui aveva cominciato a lavorare già dal 1939 ma che fu pubblicato nel 1944, anno in cui fu insignito del Prémio Ricardo Malheiros promosso dall’Academia das Ciências de Lisboa. Il “canal” cui fa rifermento il titolo è il braccio di mare che separa Faial e Pico, due delle isole in cui si svolge la storia oltre a São Jorge, mentre la città protagonista è Horta nella costa su-est dell’Ilha do Faial. Ambientato negli anni tra il 1917 e il 1919, il romanzo fotografa le relazioni tra le famiglie di diverse condizioni sociali, con le loro regole e convenzioni, le loro rivalità e le complicità. Descrive la società dell’epoca con una peculiarità legata alla dimensione isolana, talmente piccola e limitata da far apparire ogni cosa, per contro, esagerata. Secondo David Mourão-Ferreira (in “O Essencial sobre Vitorino Nemésio”, p. 38) si tratta dell’opera romanzesca «mais complexa, mais variada, mais densa e mais subtil em toda a nossa história literária».
E adesso, finalmente, lasciamo che la sua poesia faccia sentire un po’ azzorriano in queste vacanze di Natale anche chi la legge:


NATAL DAS ILHAS

À Maria e ao Manuel Pinheirinho, primos-irmãos

Natal das Ilhas. Aonde
O prato do trigo novo,
A camélia imaculada,
O gosto no pão do povo?
Olho, já não vejo nada.
Chamo, ninguém me responde.
Natal das Ilhas. Serão
Ilhas de gente sem telha,
Jesus nascido no chão
Sobre alguma colcha velha?
Burra de cigano às palhas,
Vaca com língua de pneu,
Presépio girando em calhas
Como o elétrico, tu e eu.
Natal das Ilhas. Já brilha
Nas ondas do mar de inverno
O menino bem lembrado,
Que trouxe da sua ilha
O gosto do peixe eterno
Em perdão do seu passado.

Vitorino Nemésio


Poemas Portugueses 

mercoledì 9 dicembre 2015

Disastro Rio Doce Minas Gerais: per Salgado “É a maior tragédia ambiental do Brasil”

Il grande fotografo filantropo lancia proposta Fondo di conservazione con la sua Ong Instituto Terra


“É a maior tragédia ambiental do Brasil”. Così Sebastião Salgado sintetizza quanto avvenuto il 5 novembre scorso proprio nel Minas Gerais, sua terra natale, ossia lo sversamento di 62 mln di metri cubi di fanghi tossici seguiti al crollo di due dighe che contenevano le attività estrattive di un’enorme miniera di ferro. L’ondata gigantesca, dopo aver sommerso il villaggio più vicino -Bento Rodrigues a Mariana- ha invaso il Rio Doce, fiume che coi suoi 850 km di lunghezza arriva fino all’Oceano Atlantico, contaminando nel suo percorso le coste. Flora e fauna ittica di Rio Doce e dei suoi affluenti sono andati distrutti. Se fortunatamente il numero delle persone tra morti e dispersi è contenuto in poche decine, almeno un milione di abitanti dell’enorme zona contaminata (circa 100 km di raggio dal punto del crollo delle dighe) è rimasta senza acqua potabile.

La notizia di quella che è stata definita la “fukushima brasileira” benché in questo caso non c’entrino le centrali nucleari, ha tardato ad arrivare in Europa ed è stata offuscata dall’attentato al Bataclan di Parigi che monopolizzava i media in quelle giornate. Sebastião Salgado, che  si trovava in Cina, è rientrato nel Minas Gerais il 10 novembre per constatare di persona l’accaduto. Va ricordato che alla sua attività di reporter ha affiancato quella di filantropo ambientalista dando vita nella fine degli anni ‘90 all’Instituto Terra, una Ong dedita alla riforestazione della cosiddetta “mata atlantica” che include progetti di sviluppo nel rispetto del territorio su un’area di oltre 700 ettari. All’Istituto Terra, attivo proprio nelle valli del Rio Doce e di Espirito Santo ora contaminate dai fanghi tossici, Salgado ha destinato gran parte degli introiti provenienti dal suo lavoro.

Chi meglio di un “mineiro” par suo potrebbe commentare le sensazioni di fronte all’accaduto in una terra che gli ha dato i natali e cui dedica ogni sforzo per conservarla? Toccanti le dichiarazioni rilasciate alle principali testate brasiliane che non hanno esitato a sollecitarlo al riguardo. Estrapoliamone qualcuna. A Em.com. br. Gerais ha detto:« Quando a gente vê fotos ou pela TV, não tem noção do que é realmente. Mas aqui, pessoalmente, estou chocado. É terrível ver a água avermelhada, como se fosse um gel, os peixes mortos. É uma morte biológica brutal. Nunca ia imaginar que no rio em que nadei tanto na minha infância, hoje não consigo nem colocar a mão.»  A EL PAÍS ha dichiarato di aver assistito a «um dos espetáculos mais terríveis da minha vida. Todos os peixes do rio, todos, todos, sem exceção, mortos. Não existe mais oxigênio na água do rio».

Ma Salgado non si è fermato davanti allo sconforto e alla desolazione. Senza perder tempo ha avanzato  un progetto di conservazione da attuare tramite Instituto Terra - l’unica istituzione con progetti rivolti alla valle del Rio Doce - che ha presentato sia ai governatori di Minas Gerais e di Espirito Santo, sia al presidente Dilma Roussef. L’idea è di creare un Fondo di risorse finanziarie sovvenzionate dalle imprese responsabili del disastro (la società Samarco, una joint venture tra la brasiliana Vale e l’anglo-australiana Bhp Billiton che gestisce la miniera) che permetta, con adeguato controllo sociale, di facilitare il ripristino delle condizioni di vita esistenti prima del “desastre em Mariana”  nella zona colpita.

Deve trattarsi di un Fondo perpetuo destinato al valle del Rio Doce. Il perché lo spiega lo stesso Salgado: «Isto porque, além das vidas perdidas, houve grandes danos materiais, redução de postos de trabalho, redução de fontes de renda como a pesca, perda de arrecadação para as cidades, ademais da necessidade de recuperação da fauna, flora, do solo e da água». L’autore dell’indimenticabile opera “Genesis” mette al primissimo posto degli interventi del Fondo il recupero di quante più possibili tra le 377mila fonti sorgive possedute dal bacino del Rio Doce e annuncia che già è pronto a partire un progetto pilota per recuperarne mille. Ma occorre ottenere i soldi necessari per mettere in pratica l’intero progetto, decisamente a lungo termine, i cui frutti sarebbero visibili solo in due o tre decenni. Ecco perché, a quello ormai riconosciuto come il  più grande fotografo del mondo, non resta che ammettere: « Hoje é muito mais importante eu lutar por esse fundo que fazer fotos» .

Per saperne di più:

domenica 29 novembre 2015

80 anni fa moriva a Lisbona Fernando Pessoa, 100 anni fa nasceva la rivista “Orpheu”

Si celebra sia il poeta dai molti eteronimi sia l’avvento del modernismo portoghese-brasiliano


Sono trascorsi 80 dalla scomparsa di uno dei più rappresentativi poeti, narratori e aforisti del XX secolo. Il 30 novembre 1935 moriva infatti all’Hospital de São Luís dos Franceses di Lisbona Fernardo Pessoa, dopo essere stato ricoverato d’urgenza per una pancreatite acuta. Nato nella capitale portoghese il 13 giugno 1888, aveva solo 47 anni. Certi che Pessoa -come i suoi celeberrimi eteronimi Álvaro de Campos, Ricardo Reis e Alberto Caeiro- siano arcinoti ai lettori del nostro Blog, con questo post ci limitiamo a rendergli un riconoscente omaggio. Non mancano le iniziative per ricordarne la figura e l’opera. Un’opera vastissima e celebre a livello mondiale soprattutto grazie proprio agli eteronomi, protagonisti indiscussi della sua narrazione letteraria: oltre a quelli più noti sopra citati e all’altrettanto noto semi eteronimo Bernardo Soares, dallo studio dei suoi innumerevoli manoscritti ritrovati (“un baule pieno di gente”, per dirla con Tabucchi) sembra essere emerso un numero di cosiddetti “fittizi” intorno ai 130 e destinato forse ad aumentare via via che si approfondirà la ricerca.

Indipendentemente dal numero degli eteronimi, la peculiarità di Pessoa resterà impressa nella storia della letteratura per una capacità senza eguali di vivere sia la propria vita sia molteplici vite immaginarie, tanto che il suo traduttore e ammiratore Antonio Tabucchi nella prefazione al libro “Una sola moltitudine” -Volume I/mo (Adelphi 1979) si chiede addirittura: “E se Fernando Pessoa avesse finto di essere Fernando Pessoa? Le prove -continua- non le avremo mai”. “Credo che Pessoa -aggiunge ancora Tabucchi- sia il personaggio più straordinario della letteratura. Su di lui regnerà sempre il mistero, un mistero tanto più grande quanto più lo sentiamo vicino a noi, eppure così lontano, inarrivabile”.

Quanto all’anniversario della morte, va detto che quest’anno la commemorazione è amplificata dalla coincidenza col 100/mo anniversario della nascita della rivista “Orpheu”, di cui Pessoa fu una prestigiosa firma assieme ad altri poeti di spicco come Mário de Sá-Carneiro, Alfredo Pedro Guisado, Armando Côrtes-Rodrigues, Ângelo de Lima e Raul Leal. Collaboratore prezioso della rivista fu anche lo scrittore-pittore Almada Negreiros. Nonostante la sua brevissima vita -ne uscirono solo due numeri- “Orpheu” lasciò un’impronta intellettuale molto forte iniziando quel movimento modernista portoghese-brasiliano che riuniva letterati e artisti noto sotto il nome, appunto, di “Geração de Orpheu”.

Fra le celebrazioni promosse nel mondo lusofono, quelle su cui ci concentriamo benché per la sua statura l’autore portoghese sia conosciuto e omaggiato in ogni dove, da segnalare che la Fondazione Saramago assieme alla Casa Fernando Pessoa ha organizzato a Lisbona un programma itinerante di letture in strada oltre a performance teatrali al Teatro São Luiz e al Teatro da Cornucopia nel Bairro. Il giorno 30, ingresso libero alla Casa che porta il suo nome. Voluta dalla Câmara Municipal de Lisboa e inaugurata nel 1993, la Casa è situata in campo de Ourique, il bairro dove il poeta trascorse gli ultimi 5 anni. Vero e proprio centro culturale grazie a biblioteca ricca di 1200 titoli, auditorium, sale espositive in cui sono raccolti oggetti personali e d’arredo appartenuti a Pessoa ora patrimonio municipale, la Casa -leggiamo sul sito ufficiale- si presenta a chiunque venga a visitarla come “um pequeno universo polivalente” e la sua stessa architettura trasporta il visitatore nel “labirinto pessoano”.

Tra gli oggetti di culto della cui vista possono godere i suoi ammiratori: la macchina da scrivere, il comò, numerosi blocchi di appunti e i famosi occhiali da cui non voleva mai separarsi come testimoniano i suoi ritratti. Non a caso, altra forte attrazione per gli appassionati è il suo celeberrimo ritratto realizzato da Almada Negreiros nel 1954, di forte significato simbolico in quanto congiunge idealmente i due esponenti della “Geração de Orpheu”. Per i 100 anni della “revista extinta e inextinguível” -come recita la presentazione delle celebrazioni- il quadro è stato ricollocato in uno spazio privilegiato, in modo da poter osservato in ogni suo dettaglio, da ogni punto di vista.

Non meno sentito è il duplice anniversario in Brasile dove tra le numerose iniziative ci hanno colpito sia l’esposizione internazionale “Nós, os de Orpheu” nell’ambito della 11/ma edizione di “Fliporto – Festa Literário Internacional de Pernambuco” di Olinda dedicata specificamente alla  portata di rinnovamento culturale della rivista, sia la Mostra allestita nel Museu do Estado de Pernambuco (MEPE) di Recife intitolata “Fernando Pessoa – uma coleção”. Questa mostra costituisce un’occasione rara per i visitatori in quanto viene esposta la collezione personale dell’avvocato e scrittore pernambucano José Paulo Cavalcanti, autore del volume “Fernando Pessoa - Uma Quase Autobiografia” (Editora Record, 2011) con cui si è aggiudicato il prestigioso Prêmio Jabuti 2012 nella categoria autobiografie.

venerdì 6 novembre 2015

Luaty Beirão: rapper dissidente angolano interrompe sciopero della fame dopo 37 giorni spinto da mobilitazione sostegno

Graffiter Slap lo ritrae sul “muro das Amoreiras”. Scrittori lusofoni in campo pro 15 attivisti, l'appello di Chico Buarque


Chi si aggira in questi giorni nel quartiere della street art a Lisbona, non può far a meno di notare un volto sofferente con il capo cinto da una corona di spine. A catturare lo sguardo dei passanti ci ha pensato il graffiter portoghese Slap dipingendo sul “muro das Amoreiras” il ritratto di Luaty Beirão in sostegno alla lotta per la libertà di espressione che il rapper dissidente portoghese-angolano sta realizzando in maniera tanto pacifica quanto estrema. Beirão fa parte del gruppo dei 15 attivisti arrestati e incarcerati dalle forze di polizia a Luanda tra il 20 e il 24 giugno, dopo aver partecipato a un incontro politico che dibatteva sulla presidenza di José Eduardo dos Santos  -in carica ormai da ben 36 anni- da tempo fonte di vivaci critiche in atto nel Paese africano. L’accusa mossa ai giovani è di aver pianificato un attentato contro il Presidente in carica, mirando a un colpo di stato.

Dopo grandi traversie, lungaggini burocratiche avvolte nel silenzio e una situazione carceraria di isolamento, il rapper famoso col soprannome “Ikonoklasta” ha iniziato il 20 settembre scorso lo sciopero della fame per protestare contro la carcerazione preventiva protrattasi oltre i 90 giorni previsti dalla legge. La vicenda non può non far venire alla mente la somiglianza con quella di Bobby Sands, l’attivista politico nordirlandese che morì in prigione nel 1981 all’età di 27 anni dopo 66 giorni dall’avvio di questa forma di protesta per le condizioni carcerarie.

Fortunatamente per Luaty, 33 anni, il pericolo di vita è scongiurato. Dopo 37 giorni, grazie alle molteplici manifestazioni di sostegno ricevute, il musicista-attivista ha sospeso lo sciopero mentre era ricoverato in una clinica di Luanda in seguito a un malore subito in carcere dove però aveva chiesto di rientrare rifiutando trattamenti diversi da quelli riservati al resto del gruppo. Nel dare l’annuncio tramite una lettera inviata al giornale Rede Angola, il rapper ha ribadito la sua innocenza e lamentato la mancata risposta alla richiesta di poter aspettare il processo da libero cittadino. «Só posso esperar - ha scritto dal letto dell’ospedale- que os responsáveis do nosso País também parem a sua greve humanitária e de justiça. De todos os modos, a máscara já caiu. A vitória já aconteceu».

Tornando al murale che ritrae Luaty, da cui eravamo partiti, a lato del volto spicca questa significativa frase tratta dalla canzone “Redemption Song” di Bob Marley: “How long shall they kill our prophets while we stand aside and look?”. Il graffiter Slap ha spiegato all’agenzia Lusa di essersi messo all’opera dopo aver appreso che il processo ai 15 attivisti inizierà solo il prossimo 16 novembre e aver considerato l’annuncio “como uma sentença de morte antecipada”. Per Slap il suo «è um mural para dar força à luta dele, que é por liberdades e direitos. Uma luta que devia ser de todos nós».

Benché in Italia la vicenda abbia avuto scarsa eco, come del resto le notizie dell’Angola in generale, va detto che in Portogallo la mobilitazione invece è forte. Soprattutto a farsi sentire è stata la voce di scrittori: uno dei più attivi è senz’altro l’angolano José Eduardo Agualusa che dalle pagine del quotidiano brasiliano O Globo ha dedicato all’amico Luaty una struggente “carta de amor” e in un articolo del settimanale portoghese Expresso ha sentenziato: «A cada hora que passa, à medida que se deteriora o estado de saúde de Luaty, deteriora-se também a imagem de José Eduardo dos Santos». Non meno esplicito l’altro celebre scrittore angolano Ondjaki -già  vincitore del Prémio José Saramago 2013- il quale in un’intervista all’emittente radiofonica portoghese TSF, premesso di sentirsi «triste e envergonhado» ha aggiunto tra l’altro che: «Não há clareza da parte da justiça» e «não é possível que o governo continue a não ouvir tantos pedidos de justiça humana».

Nella fitta rosa di scrittori che hanno speso parole in favore degli attivisti angolani incriminati si inserisce anche il recentissimo vincitore del Prémio José Saramago 2015, Bruno Vieira Amaral, che a Luaty Beirão ha dedicato il premio e nel riceverlo ha affermato: «Não é concebível que alguém esteja preso pelas suas ideias». Restando in casa Saramago aggiungiamo la voce di Pilar Del Rio, vedova e traduttrice del Premio Nobel 1998 che, a nome della Fundação José Saramago di cui è presidente, ha inviato una petizione al Presidente dell’Angola Eduardo dos Santos sollecitando la liberazione di tutti i giovani arrestati. Da segnalare, infine, la scrittrice portoghese Dulce Maria Cardoso che ha approfittato del suo intervento a Encontros da Lusofonia- svoltosi a Parigi presso la Fondazione Gulbenkian- per denunciare le incongruenze in seno al mondo lusofono. «Se nos mantivermos calados em relação a Luaty Beirão, discutir a lusofonia -ha dichiarato- corre o risco de se tornar num obsceno entretenimento de colonizadores e seus cúmplices».

Intanto, dall’altro lato dell’oceano, scendeva in campo persino il musicista brasiliano Chico Buarque de Hollanda facendosi promotore di questa importante petizione per l’intervento del Governo portoghese cui hanno prontamente aderito personalità della cultura. Un appello, quello di Chico Buarque, giunto a proposito visto che anche esponenti politici e rappresentanti del governo portoghese si stanno mobilitando col serio rischio di incrinare le relazioni diplomatiche con l’ex colonia. Non a caso la visita dell’ambasciatore João da Câmara, intrattenutosi con Luaty per circa 20 minuti forte anche della doppia nazionalità del rapper, è stata fortemente criticata dal giornale statale Jornal de Angola. In un editoriale domenicale attribuito al direttore, la visita viene definita un precedente grave in quanto sul cittadino Beirão “pendem acusações gravíssimas”. Lo stesso editoriale definisce pertanto corretta la decisione del Governo angolano di sospendere “a parceria estratégica com Portugal”.

Che la tensione tra i due Paesi stia salendo lo confermano via via le notizie in arrivo. Un esempio, tra gli ultimi emersi: l’ambasciatore angolano José Marcos Barrica, riferendosi sia alla forte attenzione mediatica sulla vicenda sia alle manifestazioni pubbliche di solidarietà -vedi quella con centinaia di persone riunite  nella  “praça do Rossio” a Lisbona- ha accusato il Portogallo di utilizzare il caso dei 15 attivisti incriminati come «pretexto para diabolizar Angola» ed ha ironizzato sul fatto che nel Paese si parli più di Luaty che di Papa Francesco.

Della vicenda si è fatta carico Amnesty International, l’Organizzazione che dal 1961 si batte in difesa dei diritti umani. Sul sito della sezione italiana di Amnesty trovate l'appello cui è possibile aderire: Angola- 15 attivisti in carcere, uno di loro in condizioni critiche. Per chi volesse ascoltare un brano tra i più noti composti da Luaty Beirão suggeriamo «sono un kami­kaze ango­lano e que­sta è la mia mis­sione».

mercoledì 14 ottobre 2015

“Estive em Lisboa e Lembrei de Você”: uno dei romanzi cult di Luiz Ruffato è diventato un film

Diretto da José Barahona e coprodotto da Brasile e Portogallo, riusciremo mai a vederlo in Italia?


Torniamo a parlare di Luiz Ruffato, lo scrittore brasiliano di fama internazionale tra i favoriti del nostro Blog. L’occasione non viene dall’uscita di un suo nuovo romanzo - l’ultimo tradotto in italiano è il recente Fiori Artificali (2015 laNuovafrontiera), ma dalla trasposizione cinematografica di uno dei suoi romanzi cult: Sono stato a Lisbona e ho pensato a te.

A chi ha letto e apprezzato le pagine del libro uscito nel 2011, sempre per laNuovafrontiera, la notizia potrà apparire in parte allettante in parte deludente. Questa seconda ipotesi è realistica, dato che difficilmente il film si potrà vedere in Italia, tranne grazie alla buona volontà di qualche organizzatore di festival tematici che riesca a inserirlo nel programma. Allettante, invece, per chi ha spesso occasione di muoversi tra Portogallo e Brasile, cioè i due Paesi che hanno prodotto e realizzato il film. Fedele alla storia che vede protagonista Sérgio, detto Serginho partire da  Cataguases - proprio la città del Minas Gerais dov’è nato Ruffato - per cercare fortuna a Lisbona, il lungometraggio è ambientato in entrambe le città.

La vicenda biografica di Sérgio de Souza Sampaio è datata 2005 e narrata in prima persona dallo scrittore che l’ha fatta sua, dopo aver annotato rigorosamente i racconti del suo concittadino emigrante, durante quattro incontri svoltisi nei giorni 9-16-23 e 30 luglio 2005 sempre il sabato pomeriggio, al ristorante Solar dos Galegos situato in cima alle scalinate della Calçada do Duque. A precisarlo è l’autore stesso nella nota che introduce il romanzo, in cui afferma che a presentargli Serginho è stato un certo Paulo Nogueira a cui sente di dover dire grazie per l’interessante incontro procuratogli.

Del film, a parte qualche nota tecnica, lasceremo che sia Luiz Ruffato a raccontare com’è nata l’idea e perché l’ha accolta favorevolmente, nonostante l’iniziale diffidenza motivata dalla consapevolezza che tradurre parole in immagini sia operazione tutt’altro che semplice. Se avrete la pazienza di gustare la breve e simpatica intervista realizzata a casa sua, lo sentirete convinto a correre il rischio sia per la fiducia in Barahona sia per l’attualità della storia: la tragedia dell’immigrazione tuttora dilagante, ben nota a Ruffato figlio di emigranti, può rendere «il film - si augura lo scrittore- abbastanza interessante non solo dal punto di vista estetico ma anche politico».

Quanto al lungometraggio, ecco in sintesi i dati essenziali estrapolati dal sito di Refinaria Filmes – Brasil che lo ha coprodotto con David & Golias – Portugal e Mutuca Filmes- Brasil.  Diretto da José Barahona, interpretato da Paulo Azevedo nel ruolo di  Serginho, è classificato nel genere Ficção e dura 94 minuti. Lo distribuisce Tucumán Filmes.

Per chi non avesse letto il libro, ricordiamo che Serginho avendo perso il lavoro in Brasile, parte speranzoso per il Portogallo spinto da chi gli assicura che quello è “il miglior Paese del mondo” se non si ha paura di faticare e si vuole diventar ricchi alla svelta. Peccato che la realtà si riveli ben diversa: il Portogallo attraversa una fase di crisi economica per cui manca il lavoro e la lingua comune, su cui contava, anziché avvantaggiarlo diventa una barriera. Date le forti differenze tra il portoghese europeo e quello brasiliano, la sua provenienza traspare subito così da venire  identificato e trattato da ex-colonizzato. Può aspirare solo ai lavori più umili e, per conservarli, si trova a vivere una “guerra tra emigrati” inclusi quelli delle altre ex colonie venuti a Lisbona col suo stesso miraggio: tornare a casa col gruzzoletto sufficiente a campare di rendita mantenendo tutta la famiglia.

Se gli ingredienti della saudade ci sono tutti - dallo spaesamento dell’extracomunitario alla dipendenza dal permesso di soggiorno per non diventare clandestini - la storia, pur drammatica, non è mai cupa grazie all’inconfondibile ritmo di Ruffato. Non mancano intrecci amorosi, colpi di scena e incontri pericolosi con personaggi impossibili, ma certamente verosimili. Storie tanto ordinarie quanto al limite che, se rese efficacemente dalla trasposizione cinematografica tradendo il meno possibile quelle scolpite nel libro, ne solleticano la visione. 

Come anticipato, lasciamo la parola a Luiz Ruffato tramite questo breve video in cui lo scrittore ricorda anche di quando nacque la sua passione per il cinema e della sua predilezione per Fellini. Dulcis in fundo, a beneficio di eventuali gattofili, la presenza costante del suo amico “felino” a quattro zampe chiamato Federico.    

mercoledì 7 ottobre 2015

Angola: José Eduardo Agualusa «Não se constrói uma democracia com presos políticos»

Lo scrittore interviene su diritti umani nel suo Paese al dibattito Amnesty Università Lisbona


José Eduardo Agualusa
Non è passato molto tempo da quando abbiamo parlato di un’importante ex colonia portoghese, tuttora travagliata da contrasti interni tra opposte fazioni e della presa di posizione al riguardo da parte di un importante scrittore. Si trattava del Mozambico e di Mia Couto che lanciava un forte appello alla pacificazione. Ora torniamo a parlare di un’ex colonia e di uno scrittore non meno importante, cioè dell’Angola e di José Eduardo Agualusa che ha reso onore al suo Paese natale (è nato a Huambo il 13 dicembre 1960) facendosi apprezzare nel panorama internazionale con decine di opere tra romanzi, racconti e poesie, tradotte in ben 25 lingue. Basti citare, tra quelli editi in Italia, “Un estraneo a Goa” (2009 Urogallo), “Barocco Tropicale” (2012 La Nuova Frontiera), “Borges all’inferno e altri racconti” (2009 Urogallo).

Sia nel caso di Couto sia in quello di Agualusa, a colpire Il diario portoghese è il forte senso civico di appartenenza che contraddistingue i due scrittori e l’incessante anelito a conseguire una stabilità democratica nei Paesi, entrambi protagonisti di luttuose rivoluzioni per poter conquistare l’indipendenza. Quel che ci preme cogliere è soprattutto la portata del loro messaggio e l’alto senso civico dimostrato più che inserirci nei meandri delle questioni politiche interne dei due Paesi, a dir poco complesse. Lo spunto ci viene da una “conversa aberta” sulla situazione dei diritti umani in Angola organizzata da Amnesty International Portogallo presso la Facoltà di Diritto di Lisbona, svoltasi il 17 settembre u.s. cui ha partecipato tra gli altri José Eduardo Agualusa, che attualmente vive tra Lisbona, Rio de Janeiro e Luanda.

Nell’occasione -a quanto riportato da numerosi organi di stampa locali- lo scrittore ha fatto riferimento a un clamoroso caso, molto dibattuto dai media lusofoni, ma la cui eco ha stentato ad arrivare fino a noi. Si tratta dell’arresto avvenuto a Luanda alla fine del giugno scorso e alla conseguente detenzione di 15 giovani accusati di voler organizzare un golpe. I giovani, benché non incriminati formalmente, sono tuttora in custodia cautelare e costretti in regime di isolamento, privati sia di adeguato accesso di assistenza legale sia delle visite dei famigliari. A tale proposito ecco le parole scandite da Agualusa davanti a un’aula piena di studenti: «Eu não conheço democracias com presos políticos e eles são presos políticos». Lo scrittore ha ammesso di dover rivedere le sue stesse opinioni, fino a non molto tempo fa più fiduciose circa la democrazia in Angola che giudicava ancora incompleta ma in cammino verso il suo completamento, mentre  ora il suo giudizio si fa più drastico tanto da aggiungere: «Com a prisão destes jovens tudo mudou. Não se constrói uma democracia com presos políticos».

In altri passaggi del suo intervento la critica al governo si fa esplicita, ad esempio quando sostiene che «até do ponto de vista estratégico é um erro enorme o que o MPLA (Movimento Popular de Libertação de Angola, partido governamental) está a fazer». Del resto i malumori nei confronti del Presidente José Eduardo dos Santos, in carica da ben 35 anni, serpeggiano ormai da parecchio non solo in varie aree del Paese, ma persino un seno allo stesso MPLA e negli ambiti più vicini al centro del potere. Ciò spiega meglio l’affondo dello scrittore quando dice: «Não conheço nenhuma democracia em que o mesmo Presidente esteja no poder há 35 anos».

Rafael Marques
Ana Gomes













Al dibattito erano presenti anche l’eurodeputata del Partito Socialista portoghese Ana Gomes e l’attivista-giornalista angolano Rafael Marques, arrestato e condannato a sei mesi di detenzione (con la pena sospesa successivamente per due anni) in seguito alla pubblicazione del libro dall’eloquente titolo “Diamantes de Sangue, Corrupção e Tortura em Angola”. Poiché una delle domande degli studenti era tesa a capire se l’Angola sia una democrazia corrotta o una dittatura, secca la risposta di Marques: «Angola não se faz com um só homem» e tra i 24 mln di suoi abitanti «há muitas pessoas inteligentes que podem assumir a tarefa de mostrar outro caminho para a sociedade”. Per Marques «Em Angola o regime funciona por via de um triângulo: a corrupção, a repressão e a propaganda».

Non meno tenera Ana Gomes, la quale dopo aver ricordato che la sua “famiglia politica” è sempre stata il MPLA e di aver pure giocato un ruolo attivo nell’ingresso del partito nell’Internazionale socialista nel 2003, dopo la guerra, ha concluso con un’amara osservazione: «Não entraram na Internacional Socialista para respaldar a roubalheira». Alla Gomes, reduce da una recente visita a Luanda, si deve l’iniziativa di una risoluzione sull’Angola - approvata a stragrande maggioranza il 10 settembre u.s. dal Parlamento Europeo - in cui si chiede tra l’altro la liberazione sia dei 15 giovani sia dell’attivista José Marcos Mavungo, condannato nella provincia di Cabinda a sei anni di prigione per incitamento alla ribellione. Al fitto elenco di richiami al rispetto dei diritti umani contenuto nella risoluzione, va detto che il Governo Angolano ha replicato con una nota diffusa dall’agenzia Angop e riportata dall’italiana AGI, in cui “ripudia, con veemenza, i contenuti della risoluzione per la loro gravità e li definisce calunniosi”.

domenica 13 settembre 2015

Mozambico: Mia Couto lancia appello a pace interna mentre riceve laurea honoris causa a Maputo

Deciso monito dello scrittore al braccio armato della Renamo per le recenti minacce di guerra


Il fatto che lo scrittore mozambicano Mia Couto sia stato di recente insignito della laurea “Honoris Causa em Humanidades na especialidade de Literatura” dalla  principale Università privata del suo Paese natale “A Politécnica” è una notizia che non desta di per sé stupore data la statura del vincitore. Se abbiamo deciso di parlarne nel nostro Blog è perché il pluripremiato scrittore, noto a chiunque ami la letteratura portoghese non foss’altro che per aver ricevuto il Prémio Camões nel 2013, durante la cerimonia di consegna del titolo onorifico svoltasi a Maputo il 2 settembre u.s. non si è limitato a tenere un discorso ufficiale. Couto ha trasformato la premiazione in opportunità per lanciare un forte appello alla pace interna al Paese. Nonostante il Mozambico non sia al centro di grande interesse da parte della stampa italiana in genere, quando ne parla è purtroppo per via delle mai sopite turbolenze che minano quella democrazia raggiunta con tanta fatica e tanto sangue. Dopo l’indipendenza dal Portogallo del 1985, il Paese è stato infatti teatro di una lunga guerra civile -durata dal 1981 al 1992 - tra le fazioni opposte, Renamo e Frelimo.

Mentre Afonso Dhlakama, leader della Renamo, il maggior partito di opposizione in Mozambico annunciava l’abbandono del dialogo col Governo, lo scrittore utilizzava tutta la sua autorevolezza per richiamare l’urgenza alla pacifica convivenza civile nel Paese e nel farlo non usava mezzi termini. «Não nos usem como carne para canhão, não servimos de meio de troca», ha detto Couto. «Todos os povos amam a paz e os que passaram pela guerra - ha aggiunto - sabem que não existe um valor mais precioso». Sempre riferendosi alle dichiarazioni del leader della Renamo che ha minacciato il ricorso alla forza per prendere il potere nelle sei province del Centro e del Nord di cui rivendica la vittoria alle elezioni dell’ottobre 2014, lo scrittore ha tuonato: «Os que ameaçam a paz falando da guerra devem saber que aquele que está a ser ameaçado não é apenas o Governo mas sim todo o povo». Tra le frasi del suo discorso, ripreso da tutta la stampa lusofona che lo ha accolto con entusiasmo, ne citiamo una particolarmente significativa che suona come un ulteriore monito al braccio armato della Renamo: «Quem quiser fazer política que faça política, mas que não aponte uma arma contra o futuro dos nossos filhos». 

Se lo stretto legame tra scrittura e politica è caratteristica globale, negli scrittori portoghesi è notoriamente più marcata in virtù della loro storia e nei nativi delle ex colonie diventa un tratto fondamentale. Mia Couto riassume in sé tutte queste caratteristiche.  É infatti nato a Beira -seconda città mozambicana per importanza- il 5 luglio 1955 da famiglia portoghese. António Emílio Leite Couto, questo il suo vero nome, ha utilizzato lo pseudonimo “Mia” sia perché così lo chiamava il fratello minore non riuscendo a pronunciare bene il suo nome, sia in omaggio alla sua passione per i gatti, visto che “miar” in portoghese significa “miagolare”. Prima di scoprire la vocazione per la scrittura Couto si era indirizzato verso le discipline scientifiche, iscrivendosi alla facoltà di Medicina poi abbandonata per il giornalismo, professione svolta con successo fino a diventare direttore dell’Agência de Informação de Moçambique. Dopodiché la decisione improvvisa di riprendere gli studi per laurearsi in biologia, dedicandosi alla difesa dell’ambiente.

Il suo esordio letterario è datato 1980 con alcune poesie pubblicate nella raccolta “Sobre literatura moçambicana” realizzata dal suo grande conterraneo Orlando Mendes, anch’egli biologo. Tre anni più tardi esce la prima raccolta di poesie “Raiz de orvalho” per passare successivamente ai racconti (contos) destinati a diventare il suo genere principale nonché il maggior tratto distintivo per il peculiare uso stilistico della lingua portoghese. Ben sei le raccolte personali di racconti pubblicate, per fare quindi il salto ai romanzi esordendo nel 1992 con “Terra sonâmbula”, il cui successo viene sigillato dall’omonimo film del 2007 che si avvale della sceneggiatura cinematografica dello stesso Mia Couto. L’edizione italiana di “Terra sonâmbula”, del 2002, si deve all’Editore Guanda che nello stesso anno ha pubblicato anche “Sotto l’albero del frangipani”. L’ultimo dei suoi numerosi romanzi usciti finora in lingua italiana è “L’altro lato del mondo” (Sellerio 2015).

Quanto al legame tra lo scrittore e il suo Paese natale, da segnalare che già il 25 giugno scorso durante le celebrazioni per i 40 anni dell’indipendenza del Mozambico, Couto aveva ricevuto dalle mani del presidente Filipe Nyusil la medaglia al merito in “Artes e Letras” nel quadro dei riconoscimenti attribuiti dal Governo ai suoi cittadini più illustri. Sia alla cerimonia di giugno sia a quella di settembre, è intervenuto Joaquim Chissano, figura che definire carismatica è riduttivo. Già Presidente dal 1995 al 2005 e storico rappresentante del Frelimo fuori patria fin dagli anni ‘60, da esule politico in Francia prima di rientrare nel Paese per partecipare attivamente alla resistenza, Chissano rasenta la leggenda tanto è ricca biografia personale e politica. Un episodio tra i tanti: per la sua rara qualità diplomatica internazionalmente riconosciuta, nel dicembre del 2005 l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, lo ha nominato Inviato Speciale nel Nord Uganda come mediatore tra il  Governo ugandese e i ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lord’s Resistance Army). A missione compiuta Chissano si è aggiudicato il “Premio per il Successo” che la “Fondazione Mo Ibrahim” riserva a leader africani, conferitagli nell’ottobre del 2007.

lunedì 31 agosto 2015

Caetano e Gilberto: sorprendono il pubblico di São Paulo con una canzone inedita nello show per i 50 anni

“As Camélias do Quilombo do Leblon” fa rivivere pagine abolizioniste della storia del Brasile


Reduci dal lungo tour europeo, sconfinato non senza polemiche pure in Israele, la sorpresa più grande l’hanno riservata al loro rientro in Brasile. Stiamo parlando di Caetano Veloso e Gilberto Gil, riuniti  in occasione dei 50 anni di amicizia e sodalizio musicale nello show “Dois Amigos, Um Século de Música” che proseguirà anche in Argentina e Uruguay. Avevamo dedicato un post all’evento in occasione delle tappe italiane, che come prevedibile hanno registrato l’overbooking e ora ci ritorniamo con una grossa novità. Il 20 agosto scorso, alla  Citibank Holl di São Paulo, la coppia oltre al già ricchissimo programma ha regalato al pubblico di casa un inedito a ritmo di bossa samba che ne conferma la sensibilità per i temi sociali.

“As Camélias do Quilombo do Leblon”, questo il titolo della canzone scritta all’alba del giorno stesso dell’esibizione, come riferito da Caetano. Il brano ha doppiamente colpito i fan locali, sia per il tema scelto che riporta a pagine poco note della travagliata storia del  Paese, sia per il riferimento alla città di Hebron in Cisgiordania, frutto di riflessioni seguite alla recente tappa in Israele. “O quilombo do Leblon”, un bairro alle porte di Rio de Janiero, fu una delle comunità abolizioniste che diedero vita a un particolare modello di resistenza alla schiavitù. Le camelie erano il simbolo di questa forma di lotta, diffusa nei pressi di alcune grandi città. Bastava piantarle nel proprio giardino per dichiararsi. I “quilombos urbanos” erano guidati da personalità pubbliche con un certo peso nel gioco politico, che promuovevano la fuga degli schiavi facendo da ponte tra le comunità di fuggitivi e i cittadini liberi, prima ancora che venisse promulgata la famosa “Lei Áurea” (1988).

Del “quilombo do Leblon” si potrebbe parlare a lungo, tanto ricca e interessante è la sua vicenda: basti dire che lo storico Eduardo Silva ha scritto al riguardo il saggio “AS CAMÉLIAS DO LEBLON E A ABOLIÇÃO DA ESCRAVATURA - Uma investigação de história”, un volume di 144 pagine edito dalla Companhia das Letras. L’idea del libro venne a Silva quando, camminando lungo il giardino di Casa de Rui Barbosa a Rio de Janeiro, notò appunto la presenza di piante di camelie. Rui Barbosa, vissuto dal 1849 al 1923, è uno dei personaggi più celebri della storia brasiliana: giurista, politico e letterato si distinse come difensore delle libertà civili e fu tra le figure di spicco del quilombo di cui la canzone parla. La casa di Rio dove abitò dal 1895 fino alla morte, fu poi acquistata dal governo brasiliano che nel 1930 la trasformò in Museo. Oggi è sede dell’omonima Fondazione, attiva nella divulgazione culturale. Il giardino - come la casa che conserva mobili, oggetti e la ricca biblioteca di famiglia - sono aperti alle visite.

Ma torniamo al concerto di Gil e Caetano e al clima particolare che - a quanto riportato dai media locali - si è venuto a creare la sera di quel 20 agosto a São Paulo, dinanzi al palco adornato dalle coloratissime bandiere dei 26 stati confederati che compongono la più estesa nazione del continente sudamericano. C’è chi, come il sito brasiliano UOL, parla di «clima de karaokê intimista e pura ovação», chi dice che non basta parlare di “show”, ma bisogna trovare un nuovo vocabolo per definire la rappresentazione. È il caso della Folha de S. Paulo che nel suo articolo ipotizza la creazione di un termine che significhi nel contempo «show, missa, celebração, louvação». E va anche oltre quando aggiunge che quella sera non c’erano artisti e fan, bensì «entitades e seus devotos».

Descrizioni già tanto eloquenti non hanno bisogno d’altro per trasmettere la magia della serata. Per completare il quadro, indispensabile tuttavia aggiungere il testo della canzone inedita che non è stato diffuso non dagli autori, ma trascritto grazie alla buona volontà dei presenti alla serata. Sempre per merito del pubblico brasiliano, oltre alla letra si può gustare l’esecuzione della coppia bahiana ripresa dal vivo, che volentieri condividiamo coi nostri lettori. Consideriamola idealmente una “ciliegina sulla torta”, visto che di un compleanno si tratta, cioè dei 50 anni di fraterna amicizia tra “os dois titãs, os dois filhos mais famosos da Bahia, as personalidades líderes do Tropicalismo” come Caetano e Gil venivano presentati in Brasile nell’annunciare il tour.


“As Camélias do Quilombo do Leblon”       
(Caetano Veloso/Gilberto Gil)



As camélias do quilombo do Leblon
As camélias do quilombo do Leblon
As camélias do quilombo do Leblon
As camélias

As camélias do quilombo do Leblon
As camélias do quilombo do Leblon
As camélias do quilombo do Leblon
Nas lapelas

Vimos as tristes colinas logo ao sul de Hebron
Rimos com as doces meninas sem sair do tom
O que fazer
Chegando aqui?
As camélias do Quilombo do Leblon
Brandir

Somos a Guarda Negra da Redentora
Somos a Guarda Negra da Redentora

As camélias da Segunda Abolição
As camélias da Segunda Abolição
As camélias da Segunda Abolição
As camélias

As camélias da segunda abolição
As camélias da segunda abolição
As camélias da segunda abolição
Cadê elas?

Somos assim, capoeiras das ruas do rio
será sem fim o sofrer do povo do Brasil
Nele, em mim, vive o refrão
As camélias da segunda abolição virão








martedì 11 agosto 2015

Finalmente anche in Italia il romanzo “Il tuo volto sarà l’ultimo” di João Ricardo Pedro

Abbiamo letto il libro dell’autore “rivelazione” vincitore del Prémio LeYa, tradotto in molte lingue



Quando si inneggia alla scoperta di un capolavoro e si paragona il nuovo autore a scrittori del calibro di Saramago e García Márquez, si oscilla tra scetticismo e curiosità. Se la nuova rivelazione è un cittadino portoghese, per di più estraneo alla letteratura in quanto ingegnere meccanico di professione scopertosi scrittore per ammazzare noia e amarezza provocati dalla perdita del posto di lavoro, la curiosità ha il sopravvento. Così ci si ritrova tra le mani, volutamente, l’opera prima di João Ricardo Pedro (nato a Reboleira, distretto di Lisbona, il 18 agosto 1973) che nella versione italiana pubblicata da Nutrimenti s’intitola Il tuo volto sarà l’ultimo, traduzione fedele del titolo originale O teu rosto será o último.

Insignito del Prémio LeYa, il più importante concorso portoghese di letteratura inedita, il libro è stato subito un successo in patria (siamo alla decima edizione), poi apprezzato anche all’estero propagandosi in Francia, Spagna, Germania, Olanda e Brasile prima di approdare anche da noi. «Lo straordinario affresco di un paese lacerato dagli spettri del passato», ha commentato Le Monde. «Un libro incantevole», ha sentenziato El País. «Denso e commovente, condensa con rara maestria un secolo di storia», ha scritto il brasiliano O Globo. Poiché di recensioni ne sono uscite diverse anche in Italia, non è intenzione del nostro Blog aggiungerne una nuova. Impensabile, tuttavia, ignorare l’uscita in Italia di un libro che si staglia a perfezione sul target di chi ci segue, vale a dire di appassionati lusofoni. È con questo spirito che lo abbiamo letto.

Se non si conosce la storia, anche coloniale, del Portogallo non si entra facilmente nella narrazione. Non si colgono le battute e i riferimenti che non sono palesi, ma affiorano qua e là nella trama del romanzo. Una trama sottile, quella narrata, che gioca a nascondino coi personaggi. Dopo averli presentati, se ne allontana cambiando scenario per farli riemergere a sorpresa, più avanti. Una trama simile a una ragnatela che ti costringe a districarti nel dedalo di figure che la popolano, non senza avvertire a tratti persino un certo disorientamento. Eppure questa ragnatela sottende a una logica: forse l’unica caratteristica che rivela nell’autore l’ingegnere che è stato prima di reinventarsi scrittore. Ma nemmeno questa osservazione basta a caratterizzare João Ricardo Pedro.

Poliedrico e colto, potrebbe egli stesso come il protagonista Duarte, avere un trascorso da musicista. Perché - importante sottolinearlo - il libro appagherà molto, oppure turberà, gli appassionati di musica classica. La cultura è una delle cifre dell’opera che include anche l’arte, portandoci in vari momenti a contatto stretto con Bruegel. Una lettura impegnativa, quindi, non il classico libro estivo di tutto relax, ma nemmeno il tomo pesante che d’istinto allontani e rinvii magari ad altre stagioni dell’anno. Ti inchioda, ti chiede di restare all’erta per non perdere il filo della storia costruita con un’architettura suddivisa in sette parti, ciascuna composta da capitoli che sembrano vivere quasi di vita propria. Sarà solo verso la fine che il puzzle si potrà ricomporre. Ti inchiodano sia la curiosità di scoprire i retroscena, svelati a poco a poco, sia lo stile personalissimo dell’autore. Qui il pensiero e la lode vanno al traduttore Giorgio De Marchis che ha reso magnificamente i contrasti del linguaggio, a volte crudo e violento, a volte profondamente tenero.

Avremmo potuto cominciare a parlare del romanzo attingendo al risvolto di copertina (la storia di tre generazioni di una famiglia portoghese nel tempo della dittatura, delle guerre coloniali, della rivoluzione e della disillusione [...]) che, pur riassumendolo efficacemente, apparirebbe comunque riduttivo. Avremmo potuto descrivere i personaggi principali, dirvi quale capitolo ci aveva colpito di più, addentrarci insomma nella storia narrata. Ma non volevamo svelarne i contenuti, a svantaggio della suspense che l’autore ha saputo creare. Abbiamo preferito, invece, concentrarci sulle emozioni che la lettura de Il tuo volto sarà l’ultimo è in grado di suscitare. Se ne abbiamo parlato, per concludere, è  nella convinzione che al termine delle 207 pagine lette e assaporate ci si congedi pensando: ne valeva proprio la pena.