venerdì 6 novembre 2015

Luaty Beirão: rapper dissidente angolano interrompe sciopero della fame dopo 37 giorni spinto da mobilitazione sostegno

Graffiter Slap lo ritrae sul “muro das Amoreiras”. Scrittori lusofoni in campo pro 15 attivisti, l'appello di Chico Buarque


Chi si aggira in questi giorni nel quartiere della street art a Lisbona, non può far a meno di notare un volto sofferente con il capo cinto da una corona di spine. A catturare lo sguardo dei passanti ci ha pensato il graffiter portoghese Slap dipingendo sul “muro das Amoreiras” il ritratto di Luaty Beirão in sostegno alla lotta per la libertà di espressione che il rapper dissidente portoghese-angolano sta realizzando in maniera tanto pacifica quanto estrema. Beirão fa parte del gruppo dei 15 attivisti arrestati e incarcerati dalle forze di polizia a Luanda tra il 20 e il 24 giugno, dopo aver partecipato a un incontro politico che dibatteva sulla presidenza di José Eduardo dos Santos  -in carica ormai da ben 36 anni- da tempo fonte di vivaci critiche in atto nel Paese africano. L’accusa mossa ai giovani è di aver pianificato un attentato contro il Presidente in carica, mirando a un colpo di stato.

Dopo grandi traversie, lungaggini burocratiche avvolte nel silenzio e una situazione carceraria di isolamento, il rapper famoso col soprannome “Ikonoklasta” ha iniziato il 20 settembre scorso lo sciopero della fame per protestare contro la carcerazione preventiva protrattasi oltre i 90 giorni previsti dalla legge. La vicenda non può non far venire alla mente la somiglianza con quella di Bobby Sands, l’attivista politico nordirlandese che morì in prigione nel 1981 all’età di 27 anni dopo 66 giorni dall’avvio di questa forma di protesta per le condizioni carcerarie.

Fortunatamente per Luaty, 33 anni, il pericolo di vita è scongiurato. Dopo 37 giorni, grazie alle molteplici manifestazioni di sostegno ricevute, il musicista-attivista ha sospeso lo sciopero mentre era ricoverato in una clinica di Luanda in seguito a un malore subito in carcere dove però aveva chiesto di rientrare rifiutando trattamenti diversi da quelli riservati al resto del gruppo. Nel dare l’annuncio tramite una lettera inviata al giornale Rede Angola, il rapper ha ribadito la sua innocenza e lamentato la mancata risposta alla richiesta di poter aspettare il processo da libero cittadino. «Só posso esperar - ha scritto dal letto dell’ospedale- que os responsáveis do nosso País também parem a sua greve humanitária e de justiça. De todos os modos, a máscara já caiu. A vitória já aconteceu».

Tornando al murale che ritrae Luaty, da cui eravamo partiti, a lato del volto spicca questa significativa frase tratta dalla canzone “Redemption Song” di Bob Marley: “How long shall they kill our prophets while we stand aside and look?”. Il graffiter Slap ha spiegato all’agenzia Lusa di essersi messo all’opera dopo aver appreso che il processo ai 15 attivisti inizierà solo il prossimo 16 novembre e aver considerato l’annuncio “como uma sentença de morte antecipada”. Per Slap il suo «è um mural para dar força à luta dele, que é por liberdades e direitos. Uma luta que devia ser de todos nós».

Benché in Italia la vicenda abbia avuto scarsa eco, come del resto le notizie dell’Angola in generale, va detto che in Portogallo la mobilitazione invece è forte. Soprattutto a farsi sentire è stata la voce di scrittori: uno dei più attivi è senz’altro l’angolano José Eduardo Agualusa che dalle pagine del quotidiano brasiliano O Globo ha dedicato all’amico Luaty una struggente “carta de amor” e in un articolo del settimanale portoghese Expresso ha sentenziato: «A cada hora que passa, à medida que se deteriora o estado de saúde de Luaty, deteriora-se também a imagem de José Eduardo dos Santos». Non meno esplicito l’altro celebre scrittore angolano Ondjaki -già  vincitore del Prémio José Saramago 2013- il quale in un’intervista all’emittente radiofonica portoghese TSF, premesso di sentirsi «triste e envergonhado» ha aggiunto tra l’altro che: «Não há clareza da parte da justiça» e «não é possível que o governo continue a não ouvir tantos pedidos de justiça humana».

Nella fitta rosa di scrittori che hanno speso parole in favore degli attivisti angolani incriminati si inserisce anche il recentissimo vincitore del Prémio José Saramago 2015, Bruno Vieira Amaral, che a Luaty Beirão ha dedicato il premio e nel riceverlo ha affermato: «Não é concebível que alguém esteja preso pelas suas ideias». Restando in casa Saramago aggiungiamo la voce di Pilar Del Rio, vedova e traduttrice del Premio Nobel 1998 che, a nome della Fundação José Saramago di cui è presidente, ha inviato una petizione al Presidente dell’Angola Eduardo dos Santos sollecitando la liberazione di tutti i giovani arrestati. Da segnalare, infine, la scrittrice portoghese Dulce Maria Cardoso che ha approfittato del suo intervento a Encontros da Lusofonia- svoltosi a Parigi presso la Fondazione Gulbenkian- per denunciare le incongruenze in seno al mondo lusofono. «Se nos mantivermos calados em relação a Luaty Beirão, discutir a lusofonia -ha dichiarato- corre o risco de se tornar num obsceno entretenimento de colonizadores e seus cúmplices».

Intanto, dall’altro lato dell’oceano, scendeva in campo persino il musicista brasiliano Chico Buarque de Hollanda facendosi promotore di questa importante petizione per l’intervento del Governo portoghese cui hanno prontamente aderito personalità della cultura. Un appello, quello di Chico Buarque, giunto a proposito visto che anche esponenti politici e rappresentanti del governo portoghese si stanno mobilitando col serio rischio di incrinare le relazioni diplomatiche con l’ex colonia. Non a caso la visita dell’ambasciatore João da Câmara, intrattenutosi con Luaty per circa 20 minuti forte anche della doppia nazionalità del rapper, è stata fortemente criticata dal giornale statale Jornal de Angola. In un editoriale domenicale attribuito al direttore, la visita viene definita un precedente grave in quanto sul cittadino Beirão “pendem acusações gravíssimas”. Lo stesso editoriale definisce pertanto corretta la decisione del Governo angolano di sospendere “a parceria estratégica com Portugal”.

Che la tensione tra i due Paesi stia salendo lo confermano via via le notizie in arrivo. Un esempio, tra gli ultimi emersi: l’ambasciatore angolano José Marcos Barrica, riferendosi sia alla forte attenzione mediatica sulla vicenda sia alle manifestazioni pubbliche di solidarietà -vedi quella con centinaia di persone riunite  nella  “praça do Rossio” a Lisbona- ha accusato il Portogallo di utilizzare il caso dei 15 attivisti incriminati come «pretexto para diabolizar Angola» ed ha ironizzato sul fatto che nel Paese si parli più di Luaty che di Papa Francesco.

Della vicenda si è fatta carico Amnesty International, l’Organizzazione che dal 1961 si batte in difesa dei diritti umani. Sul sito della sezione italiana di Amnesty trovate l'appello cui è possibile aderire: Angola- 15 attivisti in carcere, uno di loro in condizioni critiche. Per chi volesse ascoltare un brano tra i più noti composti da Luaty Beirão suggeriamo «sono un kami­kaze ango­lano e que­sta è la mia mis­sione».

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