Come potrebbe il diario
portoghese non cogliere al volo l'occasione di ammirare in Italia oltre 200
scatti di un fotografo documentario della statura del brasiliano Sebastião
Salgado per segnalarla ai propri lettori? Stiamo parlando della Mostra in corso
al Museo dell’Ara Pacis, a Roma, dal 15 maggio scorso intitolata “Genesi”, che
durerà fino al 15 settembre prossimo in contemporanea con altre grandi capitali
(Londra, Rio De Janeiro e Toronto). Le cose da dire per invogliare a visitare
la Mostra sono talmente tante che certamente ne dimenticheremo qualcuna. Di
rigore, iniziare con l'identikit del suo autore, che si racconta così
nell'autobiografia predisposta per l'evento.
Sono nato nel 1944 ad
Aimorés nello stato di Minas Gerais, in una grandissima azienda agricola il cui
territorio era coperto all’epoca, per circa il 60%, dalla foresta tropicale.
Quando negli anni Novanta i miei genitori, ormai anziani, hanno voluto
consegnare l’azienda agricola a noi figli, io e le mie sette sorelle ci siamo
ritrovati tra le mani un territorio in cui le foreste erano perlopiù
annientate. Dalla copertura originaria, superiore al 50%, eravamo scesi a meno
dello 0,5%. Era ormai una terra bruciata; un territorio dove avrebbero potuto
essere allevati decine di migliaia di capi di bestiame, ora era in grado di
sostenerne appena qualche centinaia. Mia moglie Lélia (lei non è solo la
curatrice delle mie esposizioni, dei miei libri, quella che di fatto progetta
tutto questo, ma è la mia socia per tutto ciò che facciamo nella nostra vita)
mi ha detto: “Sebastião, visto che sostieni di essere nato in paradiso, perché
non costruire – o ricostruire – veramente questo paradiso? Perché non
ripristinare la foresta tropicale che una volta ricopriva questa superficie?”
In queste parole si
racchiude lo spirito con cui Salgado affronta il mestiere di fotografo al quale
arriva da una doppia laurea in economia, conseguita prima in Brasile e poi a
Parigi, ma che utilizzerà solo inizialmente lavorando nell' “Organizzazione
Mondiale per il Caffè” dopo di che sceglierà la fotografia come mezzo diverso
per comunicare il suo messaggio ambientalista. Nella sua carriera, infatti,
fotografia e tutela dell'ambiente andranno sempre di pari passo, tanto che così
prosegue il suo racconto: “Abbiamo subito capito che per tentare di
ripristinare l’ecosistema quale esisteva prima di questa devastazione, avremmo
dovuto piantare per lo meno 2 milioni, forse 2 milioni e mezzo di alberi di
almeno 100 specie botaniche diverse. Per raccogliere le risorse necessarie,
abbiamo viaggiato da un capo all’altro del mondo e devo dire che l’Italia è
stata tra i Paesi che ci hanno aiutato di più, come anche Spagna, Stati Uniti e
comunque in primis il nostro Brasile. Attualmente, siamo a oltre 2 milioni di
alberi piantati: abbiamo più di 300 specie diverse." Salgado si riferisce
ai successi conseguiti dall’Instituto Terra, creato con Lélia nello stato di
Minas Gerais, che ha riconvertito la foresta equatoriale a rischio di
sparizione.
Affascinante sentire
come nasce l'idea che confluisce in “Genesi”, partendo dal progetto nato nel
'93 fino alla sua realizzazione, costata quasi nove anni di lavoro viaggiando
per otto mesi l'anno nei posti più incontaminati del pianeta: dalle foreste
tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai
ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa
fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia. Di
conseguenza, la mostra è suddivisa in cinque sezioni che ricalcano le zone
geografiche in cui Salgado ha realizzato le fotografie, tutte rigorosamente in
bianco e nero come sua tradizione: il Pianeta Sud, i Santuari della Natura,
l’Africa, il Grande Nord, l’Amazzonia e il Pantanal.
Brasile, 2005 © Sebastião Salgado/Amazonas Images |
Lasciamo ancora che sia
Salgado a raccontare: "Lavorando sulla ricostruzione di un paradiso come
quello in cui ero nato, abbiamo avuto l’idea di mettere a punto un grande
progetto fotografico, diverso però dai precedenti. Lo scopo doveva essere
vedere e cercare un modo nuovo di presentare il Pianeta Terra: questa volta non
avrei puntato l’obiettivo sull’uomo e sulla sua lotta per la sopravvivenza, ma
avrei mostrato piuttosto le meraviglie che rimangono nel nostro pianeta.
Abbiamo deciso di cogliere con la macchina fotografica quella grande parte del
pianeta che si presenta ecologicamente pura, forse un 45%, allo stato
primordiale. Creare dunque una quantità d’immagini che fosse sufficiente a far
capire al maggior numero possibile di persone che esiste una grande porzione
del mondo ancora integra, allo stato della Genesi, e mostrare quanto proteggere
questa parte sia fondamentale per tutti noi.
Non si sottolineerà mai
abbastanza -insiste il grande fotografo brasiliano- l’importanza di ricostruire
ciò che abbiamo distrutto."Per maggiori informazioni sulla mostra si veda il sito del Museo dell'Ara Pacis.
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