martedì 12 novembre 2013

"Ventizinco", il nuovo romanzo di Mia Couto in uscita per Urogallo

Considerato dalla critica come uno degli scrittori contemporanei più interessanti del panorama internazionale, Mia Couto è stato recentemente insignito di due prestigiosi riconoscimenti letterari: dell'ambito premio Camões a Rio de Janeiro e del premio internazionale Neustadt 2014 (leggi il post su Il Diario Portoghese del 4 novembre u.s.). 

Il suo ultimo romanzo edito in Italia è a cura di Urogallo Edizioni, nella traduzione italiana di Antonia Ruspolini, e si intitola Ventizinco. Il libro era stato pubblicato in Portogallo nel 1999, in occasione del 25º anniversario della Rivoluzione del 25 aprile 1974 e costituisce una riflessione sul senso che la Rivoluzione dei Garofani ha assunto negli anni, dentro e fuori il Portogallo. Ambientato in una piccola città dell'interno del Mozambico, lo scrittore apre una finestra sui giorni che precedono e seguono la caduta del regime coloniale; il libro è diviso in capitoli, ciascuno dedicato a una giornata tra il 19 e il 30 aprile 1974 e, attraverso il racconto di vite sconvolte dai convulsi cambiamenti politici del periodo, indaga varie tematiche, tra cui la condizione della donna durante gli anni della dittatura, il rapporto tra bianco-nero e la violenza del regime coloniale. 


Nell'attesa di poter avere fra le mani il romanzo, godiamoci la lettura di un breve estratto: 


«Lourenço de Castro entra in casa, alla stessa ora di sem­pre, quell’ora in cui la luce soffre, stanca di tanto giorno. Ruota la maniglia della porta con cautela, come se il mondo potesse disaggregarsi a partire da quel gesto. E subito la voce della madre luminando la fine del corridoio.
«Sei tu, figlio mio?»
Donna Margarida compare nell’atrio della vecchia casa co­loniale. Copre le spalle del figlio con una giacca fatta con le sue mani. È fine estate, ma le notti sono già più fresche lungo il litorale. Lourenço de Castro si stringe nelle spalle, lascia che la mamma gliela metta. Un’altra volta stanco, più morto di un pesce. Nessuno comprende fino in fondo la difficoltà di essere un ispettore della PIDE, in mezzo alla foresta africana, là dove il piede del bianco non si è mai posato. A Moebase ci sono altri bianchi, sì, ma pochi. Le dita di una mano avanzano, se li vogliamo contare. Chi c’è? Padre Ramos, il dottor Peixo­to, l’amministratore Marques e l’agente Diamantino. Più le due donne di casa, la mamma e la zia Irene. Ma le donne non contano. Così si diceva in casa Castro. La maggior parte delle volte addirittura scontano, aggiungevano.
Il ritorno a casa di Lourenço de Castro è un rituale, sempre uguale, la madre, infallibile, prodiga le cure che sono dovu­te ad un guerriero. Ma questo guerriero non emana gloria. L’ispettore Lourenço si trascina fino al bagno e si lava le mani. L’acqua corre come se non bastasse un fiume a pulirlo.
«Perché non confessano? Che gli costerebbe…?»
Il sangue continua a gocciolinare nella bacinella. Lui sten­de in avanti le braccia, ancora umide, la madre le asciuga con tenero vigore.
«Ti sei lavato bene, tesoro? Adesso vieni. Ti ho già prepa­rato il lettino».
Il pide va in cucina e passa di nuovo le mani sotto l’acqua. Annusa le dita come se volesse confermare l’ostinazione di qualche macchia. La vecchia madre lo prende fra le braccia, gli bacia le dita delicate.
«Mani belle, mi ricordano…»
«Sono stanco, mamma, voglio dormire. Dov’è il panno?»
«Il panno è a lavare. Era tutto sbavato. Stai sbavando mol­to, sono preoccupata, non sarà uno di questi malanni africa­ni…»
«Io non dormo senza il panno, lo sai, mamma».
«C’è un altro panno già tutto lavato sotto il tuo bel cusci­no».
Il pide si corica. La madre, al capezzale, gli rimbocca le lenzuola. Il figlio, inquieto, scruta la stanza:
«Il cavallino?»
«Adesso ti porto il cavallino, non ti preoccupare».
Lei trascina un cavallino di legno, lo posiziona in modo che Lourenço ne possa toccare la criniera. Il pide conficca le sue dita nella groppa del cavallino e lo fa dondolare.
«E la zia Irene?»
La madre distoglie lo sguardo. Sempre la solita, questa Ire­ne. Che vergogna, una bianca che si comporta in quel modo, disposseduta dal giudizio. E peggio che aver perso la ragione: lei aveva perso il pudore.
«Che destino il nostro, figlio mio!»
Pausa, sospiri. L’agente smette di dondolare il cavallo. Si solleva un pochino per guardare meglio il volto di Donna Margarida.
«È uscita di nuovo oggi?»
«È uscita, sì».
«È tornata un’altra volta tutta sporca?»
«Sporca!? Quella è argilla, una cosa pulita».
«Argilla? È matope, te lo dico io. Questa faccenda deve finire, mamma. La zia Irene ci compromette e noi abbiamo un nome da difendere».
«Abbi pazienza, Lourenço. Irene è la nostra unica famiglia. Non te ne dimenticare, non abbiamo più nessuno».
Il silenzio che cala fa pensare alla colpa. Qualche punizione divina. Chissà, artigianato del diavolo. Sembra che la stanza sia stata soffocata. L’ispettore si esamina le braccia, come se cercasse un dettaglio fuori posto.
«Questo qui è sangue, no?»
«No, figlio mio, no. Stringiti al panno e dormi».
«Dormire? Se sapessi, mamma, l’odio che ho per questi negri».
«Non dire così, figlio mio. Ce n’è di buoni e di catti­vi».
La mamma si ritira, schiena curva, arrotondata come il dorso del corvo. Il corridoio la riceve come se appartenesse alle tenebre. E tutto fluisce, silenzio e oscurità. Passano le ore e le luci di nuovo si accendono, interrompendo la notte. Le grida di Lourenço echeggiano nel corridoio. La madre si pre­cipita, senza fretta. Ha in mano un bicchiere di latte. Quando si china sul figlio sa già cosa succede.
«Un altro incubo?»
Lourenço non risponde, occupato a respirare. Il sudore si svolge, un liquido lenzuolo lo ricopre.
«I tamburi, non li senti?»
«Era un batuque, ma ha già smesso da un po’».
«Ma io continuo a sentire, mamma».
Lei si siede al capezzale, gli pulisce il sudore e gli porge il latte tiepido. Il figlio lo rifiuta. C’è una rabbia che non riesce a controllare. La madre corregge la porta, benché non ci sia nemmeno un refolo di vento. Se non tira brezza, per quale ragione la bandiera portoghese è caduta dalla parete a cui era appesa?
«È quel cieco, un giorno o l’altro quello là lo faccio fuo­ri».
«Il cieco Tchuvisco? Dio già l’ha castigato. Che male può fare quel povero diavolo?»
«È quello là che combina tutto questo, mamma».
«Sciocchezze, figlio mio».
«Credimi, io conosco questa gente».
«Mi sembri agitato, Lourenço. Promettimi: domani andia­mo dal dottor Peixoto».
«Non sto male, mamma».
«Ma lui già cura la zia Irene, non costa nulla…»
«Non ci vado, ho già detto che non ci vado».
La madre accarezza i capelli del figlio. La respirazione dis­soffoca, gli occhi sono sospesi nell’infinito del soffitto.
«Mamma, mi puoi controllare?»
«Un’altra volta l’ombelico, Lourencinho?»
«Mi sta crescendo, mamma. Davvero. Questa volta davve­ro. Già sento uscirmi il cordone ombelicale».
«Lascia che ti faccia un massaggio e passa tutto».
La madre si stende sul letto e nasconde le mani sotto le lenzuola. I suoi occhi ospitano molta tenerezza.
«Vedi, mamma? Non te lo dicevo?»
«Adesso passa, figlio mio».
«Questa può solo essere una fattura da negri. È quel cieco, mamma».
La mamma tenta di nuovo una ritirata. Sulla porta ripren­de coraggio e domanda:
«Fa tanto caldo. Non vuoi proprio un ventilatore?»
«No, il ventilatore mai».
«Va bene, va bene! Era solo un’idea. Dormi, figlio mio. Dormi».

(Ventizinco, Mia Couto, traduzione dal portoghese di Antonia Ruspolini, Urogallo, 2013)


Qualche nota biografica di Mia Couto: nato a Beira, in Mozambico, nel 1955, si è dedicato agli studi di medicina, scegliendo in seguito la strada del giornalismo e della scrittura. Attivo nel campo della difesa dell’ambiente, Mia Couto è noto nel mondo letterario per l’uso molto originale della lingua portoghese, che lo scrittore arricchisce in ogni sua opera coniando neologismi molto efficaci. In italiano sono state tradotte le seguenti opere: “Voci all’imbrunire” (Edizioni Lavoro, 1993); “Il dono del viandante e altri racconti” (Ibis, 1997); “Terra sonnambula” (Guanda, 1999); “Sotto l’albero del frangipani” (Guanda, 2002); “Un fiume chiamato tempo, una casa chiamata terra” (Guanda, 2005); “Ogni uomo è una razza” (Ibis, 2008); “Perle” (Quarup, 2011); “Veleni di Dio, medicine del Diavolo” (Voland, 2011). “Ventizinco” è il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia dalla casa editrice Urogallo.



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