L'appello-studio degli architetti portoghesi Rodrigo Rebelo de Andrade e Duarte Pape
C'è un luogo speciale,
in Africa, addirittura unico nelle sue caratteristiche che, a dispetto delle
ridotte dimensioni e dei limiti geografici -due piccole isole nel Golfo della
Guinea- contiene un insieme architettonico e territoriale senza eguale.
Parliamo di São Tomé e Príncipe e delle "roças" disseminate nel loro
interno, spesso nascoste dalla folta vegetazione, tappa obbligata da visitare
per un turista, ma anche eredità profonda del passato coloniale. A lanciare
l'allarme sullo stato di abbandono e di degrado in cui le "roças"
versano, sono i due architetti portoghesi Rodrigo Rebelo de Andrade e Duarte
Pape che dopo averle minuziosamente studiate e inventariate, hanno raccolto la
loro ricerca nel volume "As Roças de São Tomé e Príncipe" (Edições Tinta da China, 2013), che ne
traccia il quadro più esauriente mai realizzato finora.
Prima di addentarci
nello spirito e nei contenuti di questo libro che tanta eco ha suscitato in
Portogallo, di rigore ricordare cosa sono le "roças". Per
"roças" s'intende quell'insieme di costruzioni realizzate dai
colonizzatori in ogni piantagione (di caffè e cacao e prima ancora di zucchero)
anche per meglio controllare il lavoro degli schiavi. Ce ne sono di grandiose:
vere e proprie cittadelle con la residenza centrale riservata ai proprietari,
le "sanzalas" dove risiedevano i lavoratori comuni, l'Ospedale, la
Chiesa e poi viali, giardini, scuole, spazi ricreativi e in alcuni casi, persino piccole arene.
La più celebre è certamente
la "Roça Agostinho Neto", così chiamata dopo la visita del Presidente
nonché eroe nazionale angolano un anno dopo l'indipendenza raggiunta nel 1975,
ma prima conosciuta come "Rio d’Ouro" fin dalla costruzione avvenuta
nel 1865. Vasta ben 1.600 ettari, questa roça ha ospitato la maggior
piantagione di caffè e cacao dei tempi, la Sociedade Agrícola del Marquês de
Vale Flor. Oggi, denunciano gli studiosi, è una delle più imponenti rovine.
Altre "roças" tra le più conosciute: Água-Izé, Ribeira Peixe e Bombaïm. Discorso a sé merita São João de
Angolares, trasformata in villaggio turistico dall'attuale proprietario João
Carlos Silva, noto nei paesi lusofoni grazie al suo programma televisivo di
cucina etnica e culturale “Nas roças com os tachos”.
Ma quante ne hanno
censite i due architetti nella loro ricerca? Sono ben 122 le unità
inventariate, su un totale stimato di 150. Ciò in un Paese che non arriva a
1000 kmq, un arcipelago di due isole e diversi isolotti grande meno, per dare
un'idea, della provincia del Baixo Alenteijo. A causa della morfologia del
territorio di origine vulcanica, fatto di vallate profonde e alte montagne, ricoperto
da una fitta vegetazione, lo stesso accesso alle "roças" riesce
difficile, al punto da convincere i due studiosi che queste costutuiscano un
"patrimonio nascosto são-tomense". Non è affatto facile, citano ad
esempio, imbattersi in ciò che resta della roça Saudade, in cui viveva la
famiglia di Almada Negreiros e dove l'importante esponete del
"modernismo" portoghese nacque nel 1893.
Ben poche
"roças" sono ancora in buono stato: la maggioranza -emerge dal lavoro
dei ricercatori- è in stato di decomposizione, coperta da muschio, umidità,
escrementi. Nazionalizzate dopo l'indipendenza e passate sotto l'egida dello
Stato, le "roças" sono ormai in buona misura abbandonate, oppure
adibite a fatiscenti abitazioni con tele colorate a fungere da porte e da
tende. Qualsiasi tipo di attività è cessata e chi ci vive tuttora o lavora
altrove, o non lavora affatto. Rodrigo Rebelo de Andrade e Duarte Pape non si interrogano
solo sul destino di realtà tanto speciali, davvero uniche e ciascuna con una
sua peculiarità (sono tre le diverse tipologie identificate oltre a quelle
definite atipiche), ma indicano pure le vie da percorrere per farle rivivere.
Se interpretiamo correttamente il loro progetto, ci par di capire che i due ricercatori vedano nella riqualificazione di queste antiche strutture una leva anche economica in grado di traghettare le "roças" dal passato coloniale a quello culturale. E non solo: che risvegliando la loro antica funzione agricola, si possa dar vita ad un progetto integrato tra agricoltura, turismo ed arte. I tempi? L'urgenza è la nota dolente: a detta dei due architetti restano, infatti, solo dieci anni per poter salvare le "roças" di São Tomé e Príncipe.
Ciao Michela. Mi è arrivato ieri il libro: è fatto davvero molto bene ed ha anche notevoli spunti fotografici. Ci vorrebbe un bel viaggio...
RispondiEliminaGrazie ancora per le tue segnalazioni sempre preziose.
Luca Quadrio