domenica 24 marzo 2013

Antonio Tabucchi, il più portoghese degli scrittori italiani, così spiegava la sua doppia appartenenza


Nell'imminenza del primo anniversario della scomparsa di Antonio Tabucchi, avvenuta il 25 marzo 2012 a Lisbona, si affollano i ricordi e le commemorazioni di un autore tra i più amati. Il diario portoghese, nel rispetto dello spirito del blog, sceglie di onorare il grande scrittore italiano di nascita, ma portoghese di adozione, cogliendo una sua diretta testimonianza a proposito del legame fortissimo che strinse col Paese lusitano. L'opportunità è data dalla pubblicazione sul sito online Giangiacomo Feltrinelli Editore, di una conversazione per la rivista Magazine Litteraire, svoltasi nel 1997 fra Tabucchi e Fabio Gambaro in francese, ora tradotta in italiano.
Pescando fior da fiore nella lunga intervista, spicca questa domanda di Gambaro: "Tutti sanno del suo attaccamento al Portogallo, al punto che lei viene considerato il più portoghese degli scrittori italiani. È vero che la sua passione per questo paese è nata in Francia in modo del tutto casuale?"

Così risponde lo scrittore: "Assolutamente. Nel 1964, senza idee chiare sul mio futuro, trascorsi un anno a Parigi per seguire dei corsi di filosofia alla Sorbona. Al momento di rientrare in Italia, comprai un libricino da un venditore di libri usati. Era Bureau de tabac di Pessoa, un autore di cui non avevo mai sentito parlare. Non sapevo una parola di portoghese e quindi lo lessi in francese sul treno che mi riportava a casa. Lo trovai straordinario. In seguito, mi iscrissi alla facoltà di lettere di Pisa, dipartimento di filologia, dove si potevano seguire dei corsi di portoghese. Poi, la vita ha fatto il resto."

"Al punto che – incalza l'intervistatore – lei ha scritto Requiem direttamente in portoghese…"

"Io e il portoghese – precisa Tabucchi – ci siamo adottati vicendevolmente. Scrivere un testo letterario in una lingua diversa dalla propria è un’esperienza molto importante. È come un battesimo. Si provano emozioni nuove, perché ogni lingua porta in sé un bagaglio emotivo diverso. E dopo che si è scritto un romanzo in un’altra lingua, non si può più dire che questa lingua non ci appartiene. L’appropriazione diventa totale. A partire da quel momento si hanno due lingue."

"Come vive – chiede ancora Gambaro – questa doppia appartenenza alla cultura italiana e portoghese?” Risponde Tabucchi: "È una fonte di arricchimento continuo, poiché ognuna delle due culture e delle due lingue ha una propria verità. Poco a poco si diventa una terza realtà a cavallo tra le due culture. Si guarda il mondo in modo diverso. Si scopre per esempio che la geografia è sempre un punto di vista relativo. Dall’Italia, Lisbona ci appare all’estremità dell’Europa, viene considerata un punto di arrivo. Ma quando ci si trova lì, ci si rende conto che è una città che invita alla partenza. D’altronde, i portoghesi sono sempre stati delle anime inquiete e dei grandi viaggiatori. Questo spirito vagabondo è un aspetto della cultura portoghese che amo molto e che credo di avere in parte ereditato."

Nella diffusa conversazione, viene a galla un'altra caratteristica squisitamente portoghese dell'autore toscano, ovvero la "dimensione nostalgica" presente nei suoi libri, cui l'intervistatore accenna. A tale riguardo Tabucchi ammette: "E' vero, la nostalgia è molto presente nel mio lavoro. È un sentimento complesso, una nebulosa in cui possono coesistere il rimpianto, il rimorso, il desiderio di ciò che si è perso, la constatazione di ciò che si sarebbe potuto fare e che non si è fatto, di ciò che si sarebbe potuti essere e non si è stati. Ne Il gioco del rovescio c’è un racconto che parla di saudade. Il protagonista vi scopre il viso nascosto di una donna scomparsa. Alla luce di questa rivelazione, egli prova il desiderio irrealizzabile di rivivere la loro storia.


"La saudade – puntualizza lo scrittore – esprime proprio questa nostalgia per ciò che non si è potuto essere. Una situazione con la quale ci confrontiamo di continuo nel corso della nostra vita. Sfortunatamente, dobbiamo sempre fare delle scelte e spesso queste implicano delle rinunce. La realtà è ricca di possibilità infinite, ogni volta che prendiamo una direzione rinunciamo a un’altra. Nei miei libri, parlo spesso del sentimento d’insoddisfazione e di frustrazione generato da queste rinunce."


Ecco il testo integrale della conversazione con Antonio Tabucchi.

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