Chiudete
gli occhi e immaginate di trovarvi improvvisamente catapultati nel cuore della
foresta amazzonica, immersi coi vostri cinque sensi in una natura incontaminata
dove tutto è nuovo e sconosciuto: suoni, odori, sapori, colori, animali,
vegetali, insomma quasi un altro mondo fitto di emozioni e sorprese ma anche
irto di pericoli. Immaginate il vostro cuore battere a mille e dibattersi tra
il desiderio di scoprire ogni dettaglio di questo ambiente misterioso e la
paura di non uscirne vivi, che vi spinge a cercare una via di fuga per
rientrare nel vostro habitat abituale.
Se
l'ipotesi di vivere un'avventura del genere vi tenta, dovete solo sperare che
“Amazônia – Planeta Verde”- la maggior produzione cinematografica realizzata
nella foresta amazzonica brasiliana, oltreché
la prima girata in 3D- approdi nelle sale italiane. Questa mega impresa franco-brasiliana,
presentata fuori concorso al recente Festival Internazionale del Cinema di
Venezia- unendo le più sperimentate tecniche documentaristiche con quelle della
fiction-, ha infatti costruito un racconto che riesce a coinvolgere
empaticamente lo spettatore.
Il
punto di vista di chi guarda coincide col punto di vista della protagonista della
docu-fiction, una scimmietta cappuccina, "macaco prego" nella denominazione
comune brasiliana. Cresciuta a contatto solo con gli umani, la scimmietta si
salva miracolosamente da un disastro aereo e riesce ad uscire dai rottami
dell'apparecchio precipitato in piena foresta amazzonica: sarà lei a condurre
lo spettatore in questo viaggio iniziatico di 90 minuti, le sue paure saranno
le stesse di chi guarda, le sue gioie pure, perché entrambi estranei a quel
contesto incontaminato.
Saï
-così è chiamata nella scheda di presentazione italiana, Kong in quella
brasiliana- vive una fantastica odissea a luci ed ombre: le capita da un lato
di trovarsi a tu per tu con animali mai visti prima, tra cui anaconde, tapiri,
giaguari e lontre giganti, dall'altro scopre nuovi cibi deliziosi che la
consoleranno dalle paure provate, ma in ogni caso deve imparare a cavarsela da
sola in ogni situazione. Trattandosi di un cebo cappuccino -scelto non a caso
perché ritenuto tra le scimmie più socievoli, scaltre ed intelligenti- arriva
via via ad intuire che solo se riuscirà a farsi adottare da altre sue simili potrà
salvarsi, ritrovando così la sua vera identità.
Non
pensiamo però che il lieto fine (la scimmietta ad un certo punto rivede un
essere umano, ma dopo una breve esitazione sceglie di rimanere nel posto da dove
era stata forzosamente strappata) sia fittizio: la straordinarietà del film,
che dall'idea iniziale alla conclusione ha visto passare ben 7 anni e le cui
riprese si sono svolte in tre fasi negli anni 2011- '12 e '13), è l'aver scelto
di non addomesticare gli animali, per cui ogni reazione filmata è reale e nulla
è stato ricreato in studio. La quarantina di scimmie con cui l'equipe ha
lavorato è stata selezionata tra quelle recuperate dall'Ibama (l'istituto
brasiliano per l'ambiente deputato alla protezione della fauna selvatica) in
abitazioni o capanne dov'erano divenute indebitamente animali da compagnia e
che poi le ha custodite in appositi rifugi per le specie protette.
Si
tratta quindi di animali che, al pari della protagonista -per il 90% delle
riprese Saï è stata interpretata dalla stessa scimmia che ha conquistato la troupe
per espressività e dolcezza- erano abituati a vivere con gli uomini. Prima di
venire reintrodotti nell'ambiente (un'area di 120 km a nord di Manaus), i cebi
cappuccini hanno trascorso un paio d'anni con gli esperti che avevano l'arduo
compito di ricostituire un gruppo affiatato, come avviene in natura. Per
garantire il massimo di sicurezza possibile agli animali è stato mobilitato uno
stuolo di specialisti in fauna e flora tra biologi, veterinari locali e guide
della giungla che ha lavorato fianco a fianco con l'equipe cinematografica
creando un complice sodalizio tra brasiliani e francesi.
Nel
corso della presentazione veneziana il regista Thierry Ragobert (documentarista
allievo del grande Jacques Cousteau) ha dichiarato che “la sicurezza delle
scimmie è sempre stata tutelata al massimo” precisando che “l'illusione del
pericolo é stata costruita in fase di montaggio, con la scelta delle
inquadrature. Ma se un vero pericolo si affacciava -ha aggiunto- gli esperti,
contrassegnati da una forte deontologia, erano pronti ad intervenire. Ad
esempio, quando la protagonista si trova su di un tronco in mezzo al fiume, è
stato utilizzato un peluche”.
Che
si tratti di una docu-fiction ecologista appare confermato dal premio Ambiente del
WWF, attribuito e consegnato proprio nell'ambito del Festival Cinematografico.
Ma non basta: per il regista è anche un “film militante che, pur senza
demonizzare ciò che è umano, risveglia la curiosità e la voglia di tutelare la
natura e la straordinaria biodiversità dell’Amazzonia affinché non scompaia per
sempre. Perché possiamo salvare -ha affermato Ragobert- solo quello che
conosciamo e amiamo.”
Tra
le peculiarità di “Amazônia – Planeta Verde”, oltre alla potenza visiva data
dall’effetto tridimensionale, da segnalare anche l’assenza di una voce narrante
che guidi il racconto e un sonoro fatto solo di musica e dei suoni della
natura. Quanto alla stretta collaborazione franco-brasiliana, vale la pena
segnalare la presenza di due co-sceneggiatori: Luiz Bolognesi (BR) e Louis-Paul
Desanges (FR); di due direttori della fotografia: Manuel Teran (FR) e Gustavo
Hadba (BR) oltreché delle due case di Produzione: Biloba Films (FR) e Gullane
(BR).
Per
saperne di più:
Trailer “Amazônia
– Planeta Verde”
http://www.movietele.it/video/4517-trailer-amazonia
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