Tre giorni di lutto nazionale per la recente scomparsa del calciatore mozambicano.
Non è necessario essere appassionati di calcio, e men che
meno tifosi, per aver provato commozione alla recente notizia della morte,
avvenuta per arresto cardiaco il 5 gennaio scorso a Lisbona, di Eusébio da
Silva Ferreira, autentica leggenda del calcio lusitano. Veniva chiamato
semplicemente Eusébio, oppure con tre soprannomi: 'Pantera Negra' per le sue
movenze feline, "o Rei" in quanto inarrivabile, e "perla negra"
che riassume le qualità del più celebre calciatore portoghese di tutti i tempi,
il primo fuoriclasse di origine africana nonché uno tra i maggiori "attaccanti" del
mondo. Era nato il 25 gennaio 1942 a Mafalala, quartiere di Lourenço Marques
oggi Maputo, da padre angolano che morì di tetano lasciandolo orfano a soli
otto anni, e madre mozambicana.
Cresciuto in un ambiente povero, con quella forte passione
per il pallone che talora ha riscattato i figli delle colonie facendoli
assurgere ad astri dei Paesi dominanti, saltava spesso la scuola per andare a
giocare a calcio con gli amici, a piedi nudi. Il suo talento non tardò a farsi notare,
ma dovette lottare molto per imporsi e
riuscire a indossare la maglia
del Benfica, la principale squadra portoghese tra le cui file trascorse ben 15
dei suoi 22 anni di carriera, complice la dittatura salaziariana che vietava di
giocare con un club straniero. Ripercorrendo, in cifre, la sua carriera emergono
numeri da brivido: Eusébio ha collezionato ben 11 vittorie nei campionati e 5
Coppe del Portogallo strappando negli anni d'oro (1961/62) anche la Coppa dei Campioni.
È stato il
capocannoniere della Coppa Campioni nel 1965, nel ‘66 e nel ‘68. Ha vinto il
titolo di miglior marcatore del campionato portoghese in sette occasioni (1964,
‘65, ‘66, ‘67, ‘68, ’70 e ‘73), record tutt'oggi mantenuto, ed è stato il primo
calciatore ad aggiudicarsi la “Scarpa d'oro” avendo vinto la prima edizione del trofeo nel
1968. E ancora: con la maglia della sua nazionale ha collezionato 64 presenze e
41 gol, 9 dei quali nel Mondiale '66 dove trascinò il Portogallo al terzo
posto, ad oggi il miglior piazzamento di sempre. Proprio ai Mondiali di Londra
stupì il mondo con due performance rimaste iscritte negli annali del calcio: la
doppietta con cui batté il Brasile per 3 a 1, e i 4 gol consecutivi contro la
Corea del Nord, messi a segno nel quarto di finale ribaltando il risultato da 0
-3 a 5 -3.
Questo lungo elenco di
numeri basta a comprendere perché il Portogallo, come regalo del suo 50/mo compleanno,
gli dedicò una grande statua in bronzo che tuttora campeggia all'ingresso dello
stadio da Luz di Lisbona. Proprio quella statua, nei giorni scorsi, ha attirato
in processione migliaia di portoghesi addolorati dalla sua scomparsa che
l'hanno letteralmente ricoperta di bandiere, sciarpe e maglie del Benfica
oltreché di messaggi con parole colme di riconoscenza e di mazzi di fiori. Non
a caso, proprio lo stadio da Luz ha ospitato la camera ardente e ha fatto da
sfondo all'immenso funerale, degno di "o Rei": come avviene solo per
gli eroi nazionali, il Paese ha proclamato tre giorni di lutto per la morte di
Eusébio.
Nell'occasione si è pronunciato lo stesso Presidente della
Repubblica, Cavaco Silva, il quale ha diffuso un messaggio in cui diceva, tra
l'altro: "Il Portogallo ha perso uno dei suoi figli più amati, che tanta
gloria aveva dato al nostro Paese. Il modo migliore per omaggiare la `Pantera
Negra´ è quello di seguire il suo esempio di campione ed essere umano. Un
campione che ha lottato tanto per ottenere le sue vittorie e una persona che ha
sempre avuto con gli altri un rapporto caloroso, di affetto e reciproco
rispetto". Sfogliando le cronache dei funerali si leggono descrizioni che
ben riassumono l'importanza collettiva tributata ad Eusébio, quali:
"L’hanno messo a centrocampo. Tutto attorno 10mila suoi tifosi e “Es nossa
fé”, l’inno del Benfica. Poi anche “Con te partirò” di Bocelli".
Poiché il Benfica per molti anni si è identificato nel suo
centravanti, vale la pena chiuderne il ricordo con le parole strappate tempo fa
dalla Gazzetta dello Sport ad António Lobo Antunes, uno dei più importanti
scrittori portoghesi che ha dedicato parecchi suoi libri alla guerra in Angola
cui partecipò come medico."Quando in Portogallo giocava il Benfica -ha
raccontato Antunes in quell'intervista- noi appendevamo degli altoparlanti, regolati a
tutto volume, fuori dagli accampamenti. Era un modo per far sentire la
radiocronaca ai guerriglieri del movimento di liberazione, tifosissimi del
Benfica, la cui stella era il mozambicano Eusébio. I combattimenti allora s’interrompevano per 90 minuti e dalla selva non si udiva neppure un fruscio”.
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