Seconda tappa del giro intorno al mondo dei classici della letteratura in lingua portoghese. Questa volta Andrea Sironi ha letto per noi Un estraneo a Goa di José Eduardo Agualusa, facendoci viaggiare idealmente verso luoghi lontani ed esotici che ancora oggi mostrano i segni della passata dominazione.
Un
Estraneo A Goa, di José Eduardo Agualusa
Chi è stato a Goa non ha bisogno di andare a
Lisbona...
Un Estraneo A Goa, di José Eduardo Agualusa
Autentico cosmopolita lusofono,
lo scrittore e giornalista angolano José Eduardo Agualusa vive tra Luanda,
Lisbona e Rio de Janeiro. Frutto di questa natura itinerante è Un Estraneo A
Goa, gioco di specchi imperiale delineato nello spazio contingente ai due
centri dell'antico Império Ultramarino, vale a dire la capitale Lisbona
e Goa, antica sede dell'amministrazione coloniale dei territori ad Est del Capo
di Buona Speranza, nonché “Gemma del Trono di Lusitania” cantata da Camões.
L'io narrante, identificabile con
l'autore stesso, si muove sulle tracce di un personaggio altisonante e
controverso, il guerrigliero angolano Plácido Domingo, generale dalla difficile
connotazione politico-ideologica. Poco si sa di lui e difficili sono le
conclusioni che si possono trarre sul suo operato. Attraverso la sua figura,
Agualusa si addentra nella Storia portoghese nel secolo della decolonizzazione,
ricorrendo di tanto in tanto a ricercati sistemi di metanarrativa e
digressione.
Il narratore segue le sue tracce
dal Brasile all'India, espediente che gli permette di tracciare un ritratto di
Goa appassionante ed esemplare, ricco di sfaccettature, personaggi ed immagini
folgoranti che richiamano a un grande passato, dominato dalle autorevoli figure
di Afonso de Albuquerque, leggendario governatore delle Indie Portoghesi, e del
padre gesuita Francisco Xavier, e ad un presente ancora in definizione, in cui
i discendenti lusitani rivestono ancora un ruolo determinante.
Da una parte assistiamo alla
demitizzazione del Relitto Imperiale, in cui deambulano freaks occidentali
di ogni genere, subalterni che vivono di loschi raggiri e incantatori che hanno
stordito i loro serpenti, mentre sui taxi le statuette della Vergine sono
incorniciate da intermittenti luci al neon. Dall'altra Goa conserva una
fatiscente seduzione carica di esotismi, vedute straordinarie e tramonti
suggestivi, patria di un languido sentore cattolico, ancorata alla tradizione
ma in costante rinnovamento.
Diverse sono le tematiche
collaterali esaminate da Agualusa, dal perpetuo interrogarsi sull'identità
portoghese in una prospettiva europea, alla repressione operata in epoca
salazarista, passando per l'incresciosa speculazione che caratterizza il
mercato delle reliquie. Se i nuovi e lussuosi hotel
riportano alla mente la Bangkok di Lawrence Osborne, la Goa Velha,
con le sue maestose cattedrali e il misticismo religioso, fa ripensare alle
descrizioni riportate ad inizio secolo da Mario Appelius, che definisce la
stessa Goa e Macao “due piccoli luoghi, due enormi Cattedrali”.
Agualusa compila un manifesto
imperiale a metà tra cronaca e romanzo, un resoconto gremito di leggende che
guarda al Portogallo con l'occhio sufficientemente distaccato di Plácido
Domingo, per chi vuole “sapere come va a finire”.La lettura, disseminata di
passaggi fluidi e graffianti, risulta ancora più piacevole se intrecciata ad
una calda tazza di tè chai, mentre i
bastoncini di incenso al sandalo e alla cannella ardono nell’aria e la melodia
del sitar à portuguesa di Ana Rita Simonka si diffonde nelle stanze.
(Edizione consultata: José Eduardo Agualusa, Un estraneo a Goa, Edizioni dell'Urogallo, Perugia, 2012. Traduzione di Marco Bucaioni)
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