sabato 3 gennaio 2015

Azzorre: a Corvo, la più piccola e remota, ci sono spazi più sconosciuti della luna

Il diario dell’isolano svelato da Gonçalo Tocha nel film “É na terra não é na lua”


Azzorre, ultimo giro: concludiamo questa sorta di trilogia partita da São Miguel in compagnia del musicista-regista Zeca Medeiros e proseguita sulle orme di Carlos George Nascimento che lasciò Corvo bambino per emigrare in Cile, dove tuttora è ricordato come editore illuminato e scopritore di talenti. La sua isola natale era rimasta solo sullo sfondo del nostro racconto e ora ci ritorniamo per scoprirla assieme a un regista portoghese nato a Lisbona da famiglia azzorriana, proveniente da São Miguel. Gonçalo Tocha, classe 1979, passato alla regia dopo un’esperienza da apprezzato musicista, gode oggi di una consolidata reputazione di  “cineasta marinho”. Già il suo primo film, Balaou del 2007, lo vedeva solcare a bordo di una piccola barca quel tratto di Atlantico tra le Azzorre e il Portogallo per omaggiare la memoria della madre appena scomparsa.

L’attrazione per le isole, che lui considera barche ferme in mezzo all’oceano, lo ha spinto poi verso la più piccola e remota dell'Arcipelago. Più che un’isola, Corvo – ha osservato lo stesso Tocha in una delle sue numerose interviste – si può definire un  isolotto (um ilhéu), solo 17 km quadrati dove vivono 400 persone concentrate in un’unica località. Benché aspra e poco ospitale – di fatto è costituita dal cono di un vulcano estinto circondato dal suo grande cratere con un lago al centro – è abitata da oltre 500 anni da una comunità prevalentemente agricola. Complice l’estremo isolamento, da lì trapela ben poco, favorendo l’immagine di un posto fitto di misteri e antiche superstizioni ambientate in imprevedibili scenari naturali. Per meglio comprendere quanto Corvo sia estraniata dal mondo, e tenda pertanto a proteggersi dall’esterno, basti pensare che il solo turismo che conosce è quello giornaliero proveniente in barca dall’isola di Flores.

Come ha affrontato l’impatto con Corvo Gonçalo Tocha? Intuendo la diffidenza degli isolani di fronte all’arrivo di uno sconosciuto, ha adottato la tecnica documentaristica presentandosi con la cinepresa, accompagnato solo dal tecnico del suono e filmando a tappeto, al punto da raccogliere un diario che lui definisce un «archivio contemporaneo in movimento». In un’intervista all’agenzia portoghese Lusa ha dichiarato che Corvo «è uno dei pochissimi luoghi al mondo, in quanto microcomunità chiusa in se stessa, in cui può venire quest’idea un po' folle di filmare tutto». Sono serviti circa quattro anni, inframmezzati dall’andirivieni col Portogallo e da periodi stanziali per familiarizzare con la comunità, per completare “É na terra não é na lua” che ha fatto spiccare all’autore un deciso salto nel panorama cinematografico internazionale. Molti infatti i  riconoscimenti ricevuti: oltre a vincere il premio come miglior documentario nei rispettivi festival di settore di Lisbona, Madrid e San Francisco, ha ottenuto pure la menzione speciale della giuria al Festival di Locarno 2011.

Particolarmente lusinghiero il pezzo di critica cinematografica pubblicato dal sito del Festival elvetico, a firma del canadese Mark Peranson, il quale scrive tra l’altro: Tocha (con un fonico al seguito) si cala nei panni di un moderno storico sociale dell’isola di Corvo, filmando episodi legati al lavoro e all’artigianato locali (produzione di cappelli e di formaggio), ai costumi e ai rituali religiosi, ma riprende pure i paesaggi e la fauna, i bar, le feste e persino la vita politica. Ha anche intervistato – aggiunge – alcuni dei suoi residenti più anziani, estrapolando storie sul colorito passato dell’isola. Nel giro di tre ore e 14 capitoli, Tocha porta alla luce il processo attraverso il quale si è fatto accettare dalla comunità e costruisce un mosaico composto dagli abitanti dell’isola di Corvo. Ha realizzato – sentenzia – il film più entusiastico che vedrete mai nella vostra vita, trasmettendo amore per il luogo, le persone e, sì, anche per gli animali. Il documentario – conclude –  merita ogni secondo della propria durata e, nonostante ciò, è comunque troppo corto.

Le parole del critico canadese lasciano intatta quell’aurea misteriosa che avvolge il film, perfettamente evocata dal suo stesso titolo “É na terra não é na lua”. Un titolo che colpisce l’immaginazione e desta curiosità, al punto che il regista viene sollecitato a spiegarne l’origine durante una conversazione col blog portoghese “A qualidade do silêncio”. Ecco come risponde Gonçalo Tocha: «Il titolo rimanda, ed è l’immagine iniziale, a un luogo che non conosciamo, un luogo isolato e lontano, che ci sembra non appartenere a questo mondo. Si lega all’idea di uno spazio lunare, distante, incomprensibile. Corvo è uno spazio mitico che si presta a questo tipo di visioni. Non può esistere una relazione neutrale con l’isola. Tutte le persone che conosco, passate dal Corvo,  hanno stabilito un rapporto di amore-odio. Non ci sono mezzi termini. Questo spazio ha qualcosa di completamente estraneo alla civiltà, è sempre aperto a visioni come quella a cui fa riferimento il titolo».

«Ma c’è – continua Tocha – un’altra ragione. C’è un diario, che appare nel film e che mi è stato svelato da un abitante di Corvo, autore di diversi articoli. Per 40 anni ha tenuto un diario in cui ha conservato gli articoli che aveva pubblicato negli anni ’70, dopo che l’uomo era arrivato sulla luna, nel 1969. Allora a Corvo non c’era quasi nulla, a nessuno importava niente di Corvo. E lui diceva, attenzione, l’umanità intera punta gli occhi sulla luna, ma qui sulla terra esistono spazi ancora più sconosciuti». Al diario portoghese sembra che nella riflessione dell’isolano si racchiuda un po’ tutto lo spirito del film. Ci congediamo quindi dalle Azzorre con le sue parole, riproponendole ai nostri lettori nella lingua originale: «...depois de o Homem ter ido à Lua, em ’69, e ele dizia, na altura o Corvo não tinha quase nada e ninguém se preocupava com o Corvo, e ele dizia, atenção, está toda a Humanidade virada para a Lua, mas aqui na Terra há espaços ainda mais desconhecidos do que a Lua».  

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