Il diario dell’isolano svelato da Gonçalo Tocha nel film “É na terra não é na lua”
Azzorre, ultimo giro:
concludiamo questa sorta di trilogia partita da São Miguel in compagnia del
musicista-regista Zeca Medeiros e proseguita sulle orme di Carlos George
Nascimento che lasciò Corvo bambino per emigrare in Cile, dove tuttora è
ricordato come editore illuminato e scopritore di talenti. La sua isola natale
era rimasta solo sullo sfondo del nostro racconto e ora ci ritorniamo per
scoprirla assieme a un regista portoghese nato a Lisbona da famiglia
azzorriana, proveniente da São Miguel. Gonçalo Tocha, classe 1979, passato alla
regia dopo un’esperienza da apprezzato musicista, gode oggi di una consolidata
reputazione di “cineasta marinho”. Già
il suo primo film, Balaou del 2007, lo vedeva solcare a bordo di una piccola
barca quel tratto di Atlantico tra le Azzorre e il Portogallo per omaggiare la
memoria della madre appena scomparsa.
L’attrazione per le
isole, che lui considera barche ferme in mezzo all’oceano, lo ha spinto poi
verso la più piccola e remota dell'Arcipelago. Più che un’isola, Corvo – ha
osservato lo stesso Tocha in una delle sue numerose interviste – si può definire
un isolotto (um ilhéu), solo 17 km quadrati
dove vivono 400 persone concentrate in un’unica località. Benché aspra e poco
ospitale – di fatto è costituita dal cono di un vulcano estinto circondato dal
suo grande cratere con un lago al centro – è abitata da oltre 500 anni da una
comunità prevalentemente agricola. Complice l’estremo isolamento, da lì trapela
ben poco, favorendo l’immagine di un posto fitto di misteri e antiche
superstizioni ambientate in imprevedibili scenari naturali. Per meglio comprendere
quanto Corvo sia estraniata dal mondo, e tenda pertanto a proteggersi dall’esterno,
basti pensare che il solo turismo che conosce è quello giornaliero proveniente
in barca dall’isola di Flores.
Come ha affrontato l’impatto
con Corvo Gonçalo Tocha? Intuendo la diffidenza degli isolani di fronte all’arrivo
di uno sconosciuto, ha adottato la tecnica documentaristica presentandosi con
la cinepresa, accompagnato solo dal tecnico del suono e filmando a tappeto, al
punto da raccogliere un diario che lui definisce un «archivio
contemporaneo in movimento». In un’intervista all’agenzia portoghese
Lusa ha dichiarato che Corvo «è uno dei pochissimi luoghi al mondo, in
quanto microcomunità chiusa in se stessa, in cui può venire quest’idea un po'
folle di filmare tutto». Sono serviti circa quattro anni, inframmezzati
dall’andirivieni col Portogallo e da periodi stanziali per familiarizzare con
la comunità, per completare “É na terra não é na lua” che ha fatto spiccare all’autore
un deciso salto nel panorama cinematografico internazionale. Molti infatti
i riconoscimenti ricevuti: oltre a
vincere il premio come miglior documentario nei rispettivi festival di settore
di Lisbona, Madrid e San Francisco, ha ottenuto pure la menzione speciale della
giuria al Festival di Locarno 2011.
Particolarmente
lusinghiero il pezzo di critica cinematografica pubblicato dal sito del
Festival elvetico, a firma del canadese Mark Peranson, il quale scrive tra l’altro:
Tocha (con un fonico al seguito) si cala nei panni di un moderno storico sociale
dell’isola di Corvo, filmando episodi legati al lavoro e all’artigianato locali
(produzione di cappelli e di formaggio), ai costumi e ai rituali religiosi, ma
riprende pure i paesaggi e la fauna, i bar, le feste e persino la vita
politica. Ha anche intervistato – aggiunge – alcuni dei suoi residenti più
anziani, estrapolando storie sul colorito passato dell’isola. Nel giro di tre
ore e 14 capitoli, Tocha porta alla luce il processo attraverso il quale si è
fatto accettare dalla comunità e costruisce un mosaico composto dagli abitanti
dell’isola di Corvo. Ha realizzato – sentenzia – il film più entusiastico che
vedrete mai nella vostra vita, trasmettendo amore per il luogo, le persone e,
sì, anche per gli animali. Il documentario – conclude – merita ogni secondo della propria durata e,
nonostante ciò, è comunque troppo corto.
Le parole del critico canadese
lasciano intatta quell’aurea misteriosa che avvolge il film, perfettamente
evocata dal suo stesso titolo “É na terra não é na lua”. Un titolo che colpisce
l’immaginazione e desta curiosità, al punto che il regista viene sollecitato a
spiegarne l’origine durante una conversazione col blog portoghese “A qualidade
do silêncio”. Ecco come risponde Gonçalo Tocha: «Il titolo
rimanda, ed è l’immagine iniziale, a un luogo che non conosciamo, un luogo
isolato e lontano, che ci sembra non appartenere a questo mondo. Si lega all’idea
di uno spazio lunare, distante, incomprensibile. Corvo è uno spazio mitico che
si presta a questo tipo di visioni. Non può esistere una relazione neutrale con
l’isola. Tutte le persone che conosco, passate dal Corvo, hanno stabilito un rapporto di amore-odio. Non
ci sono mezzi termini. Questo spazio ha qualcosa di completamente estraneo alla
civiltà, è sempre aperto a visioni come quella a cui fa riferimento il titolo».
«Ma c’è – continua Tocha
– un’altra ragione. C’è un diario, che appare nel film e che mi è stato svelato
da un abitante di Corvo, autore di diversi articoli. Per 40 anni ha tenuto un
diario in cui ha conservato gli articoli che aveva pubblicato negli anni ’70,
dopo che l’uomo era arrivato sulla luna, nel 1969. Allora a Corvo non c’era
quasi nulla, a nessuno importava niente di Corvo. E lui diceva, attenzione, l’umanità
intera punta gli occhi sulla luna, ma qui sulla terra esistono spazi ancora più
sconosciuti».
Al diario portoghese sembra che nella riflessione dell’isolano si racchiuda un
po’ tutto lo spirito del film. Ci congediamo quindi dalle Azzorre con le sue
parole, riproponendole ai nostri lettori nella lingua originale: «...depois
de o Homem ter ido à Lua, em ’69, e ele dizia, na altura o Corvo não tinha
quase nada e ninguém se preocupava com o Corvo, e ele dizia, atenção, está toda
a Humanidade virada para a Lua, mas aqui na Terra há espaços ainda mais
desconhecidos do que a Lua».
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