mercoledì 22 aprile 2015

Arriva il 25 aprile: ricordiamo a Revolução dos Cravos con la poesia “As portas que Abril abriu”

Fu scritta nel 1975 dal poliedrico Ary dos Santos: poeta popolare, attore e attivista politico


Puntualmente arriva il 25 aprile, fatidica data che i portoghesi continuano a celebrare dedicandole manifestazioni, convegni, sfilate e concerti uniti da un solo denominatore: non dimenticare a Revolução dos Cravos che in quel giorno del 1974 segnò il passaggio da una quarantennale dittatura alla democrazia. Molto si è scritto, detto e pure cantato al riguardo, anche sul nostro blog. Per non ripetere una storia già nota, ma non per questo meno emozionante, affidiamo il compito di mantenerla viva in questo 41/mo anniversario a una poesia dall’eloquente titolo As portas que Abril abriu. L’autore è il carismatico José Carlos Pereira Ary dos Santos (Lisbona, 7 dicembre 1936 - 18 gennaio 1984), celebre soprattutto per aver scritto oltre 600 letras per musiche interpretate dai maggiori fadisti lusitani. Non a caso la sua figura è celebrata tra le personalidades del Museo do fado di Lisbona.

Personaggio poliedrico uscito giovane dall’aristocratica famiglia per incompatibilità col padre e adattatosi a fare mille lavori, avvertì la vocazione per la poesia fin da piccolo e riuscì presto a farsi apprezzare come poeta popolare. Fu un pubblicitario di successo, autore di spettacoli teatrali e attore lui stesso, poiché amava interpretare le proprie poesie pubblicando anche un paio di dischi che le raccoglievano. Conosciuto per il suo attivismo politico nelle file del Partido Comunista Português (PCP) cui si era iscritto nel 1969 e non esente da critiche a causa del suo temperamento focoso, conquistò comunque la simpatia e la gratitudine di gran parte dei portoghesi. Non si spiegherebbe altrimenti il vuoto lasciato alla sua prematura morte, dovuta a una cirrosi epatica, tanto che la comunità di Lisbona gli intitolò il largo del Bairro de Alfama e affisse una lapide-ricordo sulla facciata della casa in rua da Saudade dove Ary aveva trascorso la maggior parte della vita.

Pur alternandosi fra teatro e vita politica, restò sempre la poesia dedicata al popolo il suo principale amore. Ecco come lui stesso descriveva questo legame in una delle numerose interviste negli anni successivi alla rivoluzione: «A poesia é, em primeiro lugar, a maneira que eu tenho de falar com o meu povo. Depois, é por causa desse povo, a própria razão da minha vida. É pesquisa, luta, trabalho e força. Ser poeta é escolher as palavras que o povo merece (…)».  

Che la popolarità di Ary dos Santos non si sia nel frattempo sbiadita lo si può constatare leggendo, ad esempio, il programma del “Festival dos Cravos de Abril” promosso dall’Associação Abril (associazione di carattere civico e culturale senza fini di lucro nata nel 1986), che si snoda nell’edizione 2015 in nove giornate dense di avvenimenti legati al tema della letteratura come si evince dal titolo “Literaturas mil… em abril”. La locandina del programma chiude proprio con un verso dell’obra poética di dos Santos dedicata alla Rivoluzione dei Garofani, scritta nell’estate del 1975. Trattandosi di una poesia molto lunga, ci limitiamo a estrapolarne qui una porzione significativa. Ma se qualcuno la volesse ascoltare per intero, declamata dall’autore, pubblichiamo il video per accontentarlo.


As portas que Abril abriu


Era uma vez um país
onde entre o mar e a guerra
vivia o mais feliz
dos povos à beira-terra

Onde entre vinhas sobredos
vales socalcos searas
serras atalhos veredas
lezírias e praias claras
um povo se debruçava
como um vime de tristeza
sobre um rio onde mirava
a sua própria pobreza

Era uma vez um país
onde o pão era contado
onde quem tinha a raiz
tinha o fruto arrecadado
onde quem tinha o dinheiro
tinha o operário algemado
onde suava o ceifeiro
que dormia com o gado
onde tossia o mineiro
em Aljustrel ajustado
onde morria primeiro
quem nascia desgraçado

Era uma vez um país
de tal maneira explorado
pelos consórcios fabris
pelo mando acumulado
pelas ideias nazis
pelo dinheiro estragado
pelo dobrar da cerviz
pelo trabalho amarrado
que até hoje já se diz
que nos tempos dos passado
se chamava esse país
Portugal suicidado

Ali nas vinhas sobredos
vales socalcos searas
serras atalhos veredas
lezírias e praias claras
vivia um povo tão pobre
que partia para a guerra
para encher quem estava podre
de comer a sua terra

Um povo que era levado
para Angola nos porões
um povo que era tratado
como a arma dos patrões
um povo que era obrigado
a matar por suas mãos
sem saber que um bom soldado
nunca fere os seus irmãos

Ora passou-se porém
que dentro de um povo escravo
alguém que lhe queria bem
um dia plantou um cravo

Era a semente da esperança
feita de força e vontade
era ainda uma criança

mas já era a liberdade...


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