Piccoli ritratti dal mondo del cinema e della cultura ci aiutano a scoprire meglio chi era il cineasta
«Enquanto
criança, tinha uma inclinação para a tristeza e para a melancolia». Difficile
immaginare che a parlare così, in un’intervista del settembre 2002 a “Les Cahiers
du Cinema”, fosse Manoel de Oliveira il quale aggiungeva di avere col tempo
preso «gosto pela vida» anche se non vide mai «a melancolia afastar-se». Il
decano della cinematografia portoghese, nonché mostro sacro del cinema
internazionale recentemente scomparso alla venerabile età di 106 anni, appariva
tutt’altro che incline alla malinconia. La sua straordinaria vitalità e la sua
longevità anche dal punto di vista lavorativo, sembrano quindi in contrasto con
tali affermazioni. Del resto è sempre sua la dichiarazione, alla stessa
autorevole rivista che lo ha ospitato innumerevoli volte, di ritenersi «um
grande lutador contra a morte».
Se
siamo partiti da queste parole è perché proprio “Cahiers du Cinema” dedicherà
alla figura e all’opera del genio portuense ben 20 o 30 pagine nella sua
prossima edizione, in uscita il 9 maggio prossimo. Lo ha annunciato all’agenzia
portoghese Lusa il caporedattore della prestigiosa testata Stéphane Delorme,
osservando che si tratta di un’iniziativa importante in quanto va a coincidere
con il festival di Cannes. Alla rassegna francese de Oliveira era di casa e in
quella sede aveva inanellato numerosi premi, a partire da quello speciale del 1990
per culminare nella Palma d’oro alla carriera del 2008. Il legame tra il
maestro portoghese e la Francia era, al di là di Cannes, strettissimo.
A
sottolinearlo è stato Jacques Lemière, sociologo francese specialista in cinema
portoghese che in una dichiarazione all’agenzia Lusa ha definito de Oliveira un
«grande humanista que foi feliz como um Deus em França». Premesso che il
regista scomparso parlava spesso della riconoscenza che nutriva per la Francia,
non solo verso il pubblico che conquistò rapidamente ma anche per gli aiuti finanziari
ricevuti, il docente di sociologia all’Università di Lille ha citato ad esempio
il film Le soulier de Satin - O Sapato de
Cetim del 1985, un’opera sostenuta direttamente dal Ministero francese
della Cultura. Tra i ricordi che ha del regista, gli resta impresso soprattutto
lo stupore con cui confessò di sentirsi «fascinado pelo número de entradas nos
cinemas do filme Je Rentre À La Maison -
Vou Para Casa (2001), uma obra rodada em Paris com o ator Michel Piccoli».
Altra
testimonianza riguardo al legame con la Francia è venuta dal produttore Paulo
Branco che, emigrato clandestinamente dal Portogallo per sfuggire alla
dittatura di Salazar, ha prodotto nel Paese d’Otralpe opere di De Oliveira nell’arco
di oltre 20 anni, incluse tutte quelle sbarcate a Cannes. Parlando al termine
del funerale nel Cemitério de Agramonte
a Porto, Branco ha dichiarato di sentire una «enorme responsabilidade em ajudar
a redescobrir o legado que o cineasta deixou». Sull’importanza di riscoprire l’immensa
opera del maestro ha insistito aggiungendo: «Vão ter surpresas maravilhosas,
porque é uma obra ainda muito pouco conhecida cá em Portugal, é a altura certa
para isso».
Che
sia il momento giusto per riportare alla luce il lavoro di de Oliveira ancora
sconosciuto pure in Italia, lo pensa anche il nostro Blog che al cineasta aveva
dedicato tempo addietro un paio di post, uno in occasione dei suoi 105/mo compleanno, l’altro per l’uscita del film O gebo e a Sombra. A poca distanza dal giorno della sua morte
-avvenuta nella sua città natale il 2 aprile u.s.- la cui eco si è sparsa nel mondo grazie a una
presenza mediatica tale da coinvolgere un pubblico ben più ampio di quello
cinefilo, il diario portoghese sceglie di partecipare idealmente al lutto
estrapolando alcuni ricordi raccolti dalla stampa portoghese tra chi lo aveva
conosciuto bene o affiancato nel lavoro.
Oltre
ai già citati Delorme, Lemière e Branco segnaliamo quanto ha avuto modo di dire
l’attore statunitense John Malkovich, protagonista di ben tre film di de
Oliveira: O Convento del 1995, Vou para Casa del 2001 e Um Filme Falado del 2003. «O cinema não
morreu com Manoel de Oliveira, mas Manoel de Oliveira era único e o cinema não
será o mesmo sem ele», ha dichiarato Malkovich dopo aver premesso di considerarlo
«um realizador único.» L’attore Luís
Miguel Cintra, che vanta il record di aver interpretato ben 18 suoi film a
partire da Le Soulier de Satin del
1985 per concludere con O Gebo e a Sombra
del 2012, ha detto che quando iniziava a girare, la prima cosa che il regista
faceva era «criar uma família».
L’attore
portoghese ha insistito soprattutto sulla grande semplicità e sullo spessore
umano del cineasta, che si rapportava allo stesso modo con tutti gli addetti ai
lavori dal protagonista all'elettricista. Emblematica la sua frase: «Nunca teve
grandes conversas muito elaboradas, nem intelectuais sobre nada do que estava a
fazer, isso faz parte do segredo do que se estava a fazer em comum. Esperava
que houvesse uma corrente subterrânea de entendimento entre as pessoas, que se
estabelecia através de coisas muito simples, como comer à mesma mesa, falar da
saúde das pessoas, perguntar como estava o pai, como estava a mãe, (...), com
todos os membros da equipa».
Il
clima famigliare che riusciva a creare durante le riprese il regista trova
conferma anche nella comune dichiarazione rilasciata dagli attori Claudia
Cardinale e Michael Lonsdale, due stelle del cinema mondiale scelte da de
Oliveira per O Gebo e a Sombra i quali
hanno concordato nel dire di aver perso «um amigo».
Chiudiamo
questo ricordo con le parole dello scrittore Mário Cláudio (Prémio Pessoa 2004)
che, intervistato dalla rivista di critica letteraria “Renascença” ha posto l’accento
sullo stretto legame tra l’opera di de Oliveira e la letteratura, sua primaria
fonte d’ispirazione. Qui il suo riferimento è andato a scrittori come Padre
António Vieira, Teixeira de Pascoaes, José Régio e Agustina Bessa-Luís. «Manoel
de Oliveira é um realizador de obras de escritores- ha detto Cláudio- e, neste
sentido, é natural que os autores tenham um dívida de gratidão».
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