La poetessa brasiliana del secolo XIX fu
abolizionista, femminista e repubblicana
Il 21 di marzo è la giornata mondiale
dedicata alla poesia. Lo è ormai dal 1999 quando a stabilirlo fu la Conferenza
Generale dell'UNESCO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la
Scienza e la Cultura. Per celebrarla scegliamo Por que sou forte, poesia che rende omaggio anche alla sua autrice:
Narcisa Amália de Campos, donna brasiliana dalle molte doti e personalità di
spicco non solo per le sue qualità letterarie anche per le sue opinioni considerate
innovatrici nel secolo XIX. Nata nel 1856 a São João da Barra, nello Stato di
Rio de Janeiro, fu abolizionista, femminista e repubblicana. Fu la prima
giornalista professionista del Brasile. La poesia la respirò fin dall’infanzia,
essendo figlia del poeta Jácome de Campos mentre dalla madre -la professoressa
Narcisa Inácia de Campos- ereditò pure la passione per l’insegnamento cui si
dedicò a lungo.
Riassumere in poche righe una vita tanto
ricca di avvenimenti e cambiamenti, non è semplice. Vale la pena segnalare che
si sposò ben due volte ed entrambi i matrimoni finirono, tanto che Narcisa
Amália si decise a lasciare -pur se a malincuore- Resende, località dello Stato
di Rio dove ancora bambina si era trasferita con la famiglia, per andare a
vivere nella capitale Rio de Janeiro sfuggendo così alle maldicenze dell’ex
marito geloso. Da fluminense divenne quindi carioca, per usare gli
appellativi con cui i brasiliani distinguono chi è nato nello stato bagnato dal
Rio Carioca e chi nella capitale. Sarà proprio a Rio che Narcisa Amália si farà
notare come collaboratrice di giornali quali “A Imprensa” e “A República”, per
fondare nel 1884 lei stessa un giornale. Distribuito come supplemento del
"Tymburitá" lo chiamò “Gazetinha: folha dedicada ao belo sexo”. Qui
trattò tematiche sull’emancipazione femminile e in difesa degli oppressi in
generale, in primis contro la schiavitù.
L’eco dei suoi articoli si fece sentire in
tutto il Brasile dove la de Campos era comunque conosciuta e apprezzata sia
come poetessa, nonostante avesse pubblicato una sola opera giovanile (Nebulosas, 1872) sia come narratrice
tramite un volume di racconti (Nelúmbia,
1874). Nebulosas le guadagnò l’elogio
di Machado de Assis che parlava di lei come della «jovem e bela poetisa». Fu
amica di diversi letterati del tempo tra cui Raimundo Correia, Luís Murat,
Alfredo Sodré che frequentavano la sua casa di Resende durante il suo secondo
matrimonio con Francisco Cleto da Rocha, detto anche Rocha Padeiro in quanto
titolare della “Padaria das Famílias”. Molta eco ebbe, in quel periodo, la
visita ricevuta da parte dell’imperatore Dom Pedro II -passato alla storia del
Brasile per non possedere schiavi e considerare la schiavitù «uma vergonha
nacional»- il quale aveva manifestato il desiderio di conoscerla personalmente.
Narcisa Amália morì a Rio de Janeiro nel
1924, ma resta presente nella memoria del Paese, è materia d’insegnamento a
scuola ed è fonte di studi a sua volta. Secondo lo scrittore Fernando Lobato
che si è basato sulle informazioni dello storico João Oscar - autore del libro Narcisa Amália, vida e poesia (1994) -
la de Campos scrisse innumerevoli poesie apparse sui giornali dell’epoca e
pubblicò oltre ai volumi già citati: Miragem,
O Romance da Mulher que Amou, A Mulher do Século XIX.
Nel bianco e nero
con sola voce narrante l’originalità del film elogiato dalla critica alla
Berlinale 2016
Ivo M. Ferreira
Che letteratura e
cinema spesso si fondano non è cosa nuova. Però c’è modo e modo di far
confluire le parole scritte nel linguaggio parlato e corredato da immagini in
movimento. Quella di cui vogliamo parlare è un’operazione tutta lusofona e
decisamente originale. Si è partiti dalle lettere inviate da António Lobo
Antunes, massima gloria vivente della letteratura portoghese, alla moglie
incinta mentre svolgeva il servizio militare in Angola tra il 1971 e il 1973,
raccolte solo nel 2005 nel volume D’este
viver aqui neste papel descripto: cartas da guerra. E Cartas da guerra s’intitola appunto il lungometraggio realizzato da
Ivo M. Ferreira (Lisbona 1975) assieme allo sceneggiatore Edgar Medina.
Del film si è
parlato molto a livello europeo recentemente in quanto presente in concorso alla
Berlinale 2016. La mancata premiazione di Cartas
da guerra ha deluso parecchia critica la quale scommetteva sul suo
successo, non riconosciuto invece dalla giuria. Prima di riferire alcune
critiche più che lusinghiere, conosciamo il film. Il tema, come dicevamo, è la
copiosa posta indirizzata dall’allora 28enne medico militare - scaraventato
nella colonia africana insanguinata dalla guerra per l’indipendenza - alla sua
amatissima compagna in procinto di dare alla luce il frutto della loro
passione. Più che un film di guerra, nelle mani di Ivo M. Ferreira, diventa un
film di sensazioni: amore, desiderio, isolamento, orrore, speranza e quant’altro
alberghi nella mente e nel cuore del giovane psichiatra ancora ignaro del suo
futuro luminoso da scrittore.
Anziché fare
delle lettere un classico adattamento cinematografico, il testo stesso diventa
l’ossatura del film da cui sono totalmente assenti i dialoghi. C’è solo una
voce narrante, quella della moglie Maria José interpretata da Margarida
Vila-Nova, attrice che è anche la moglie del regista. Sullo sfondo, intanto,
sfilano immagini rigorosamente in bianco e nero che seguono la cronologia dei
luoghi dove via via è di stanza il militare, fortemente evocativi.
Ecco come spiega
le sue scelte Ivo M. Ferreira in un’intervista rilasciata a Fabien Lemercier
per Cineuropa. «Avevo l’idea del film e ho visto mia moglie leggere questo
libro. Mi sono detto –racconta – che così avrebbe potuto funzionare e ho
cercato dei modi per realizzare questa idea. Si trattava – aggiunge – di
sviluppare una sorta di messa in scena con la presenza di persone che in realtà
non ci sono. Ma c’è anche una dimensione molto importante, con le voci
meravigliose con cui ho girato, poiché c’è molto testo da leggere. Per quanto
riguarda la musica, che ho scelto intuitivamente, volevo che fosse semplice e
soprattutto che non cadesse nel folklore africano».
Il regista,
premesso che «non sarebbe stato possibile realizzare il film senza la
collaborazione di Lobo Antunes e di sua figlia» dichiara di aver aggiunto alle
lettere solo qualche elemento, ad esempio l’elefante, ma di averlo fatto con
molta modestia. Dice che è stato proprio lo scrittore a insistere perché il
film si girasse in Angola, cosa ovviamente rispettata, ma ammette che «la fase
delle riprese è stata davvero dura. Girare in Angola è stato molto difficile e
per nulla romantico». Ferreira non nega
che il film abbia un aspetto politico, ma precisa: «non volevo parlare delle
guerre coloniali, degli aspetti bui e tragici. Anche i soldati portoghesi
erano, in un certo modo, vittime di una guerra assurda. Quando ero piccolo – racconta
– mio padre era un rifugiato politico in Francia: era scappato dal Portogallo,
perché non voleva partecipare a questa guerra in Angola».
Intervistato da
Alberto Crespi, esperto di cinema e storico conduttore di “Hollywood Party” la
trasmissione cult di radio 3 che ha seguito interamente la Berlinale, il
regista è ritornato sull’aspetto politico del film dicendo: «Allora in
Portogallo tutti sapevamo che era una guerraingiusta e senza alcuna prospettiva di successo». Ha ricordato che proprio
«quella guerra lunga e insensata, cominciata nel 1961, provocò la fine della
dittatura di Salazar perché quegli ufficiali e soldati, in base alla loro
esperienza, fecero poi la “Rivoluzione dei garofani” e lo stesso Lobo Antunes
diventò uno dei protagonisti».
Apre l’elenco
degli elogi da parte della critica lo stesso Alberto Crespi che dai microfoni
Rai ha giudicato Cartas da guerra «il
film più bello assieme a Fuocoammare».
Entusiasta pure Massimo Cosua che su Repubblica ha scritto tra l’altro: «Il
cinema portoghese sta vivendo una seconda primavera con diversi film in
concorso a Berlino. Cartas da guerra
è un film poetico, con un ritmo tutto suo e sicuramente da vedere».
Andrea Chimento sul
Sole24ore, benché premetta che «non manca qualche passaggio ridondante», lo
giudica «un film che emoziona e che, fatto ancor più significativo, è dotato di
uno sguardo registico personale e piuttosto coraggioso. Sarebbe bello - si
augura - vederlo un domani anche nelle nostre sale». Una voce controcanto viene
dal sito Nuovo Cinema Locatelli che lo considera «una delle delusioni massime
del concorso. Non basta parlare del Portogallo coloniale, non basta il bianco e
nero così alto-autoriale per replicare l’effetto e il successo di Tabu di
Miguel Gomes, partito proprio dalla Berlinale nel 2012». Va detto che il
riferimento al film dell’altro portoghese Gomez ha accomunato la maggioranza
dei commentatori.
Se António Lobo
Antunes - più volte candidato al Nobel conquistato invece dall’amico Josè Saramago
- non ha bisogno di presentazioni, qualche elemento biografico va invece
fornito per Ivo M. Ferreira che ha al suo attivo una decina di opere, tra
corti e lungometraggi inclusi due documentari sull’Asia, in particolare su
Macao - dove attualmente vive - con O
Homem da Bicicleta del 1997 e sulla Cina con Vai com o vento del 2010. Due lungometraggi di finzione sono Em Volta (2002) e Águas Mil (2009). I suoi corti: O
Que Foi? (1999), Salto em Barreira
(2004), O Estrangeiro (2010), Na Escama do Dragão (2012).
Il trailer ufficiale di Cartas da guerra con sottotitoli in inglese: