giovedì 5 dicembre 2013

Oscar Niemeyer: il 6 dicembre di un anno fa moriva a Rio de Janeiro dove era nato 104 anni prima

Ricordiamo l’artista geniale senza dimenticare il suo spirito rivoluzionario


Il 6 dicembre di un anno fa, il Brasile piangeva la scomparsa di uno dei maggiori maestri del '900, genio riconosciuto dal suo Paese come dal mondo intero: alla venerabile età di 104 anni, moriva nell’ospedale Samaritano di Rio de Janeiro Oscar Niemeyer e la sua città natale si fermava a lutto per tre giorni. Ci sarebbero molti modi per celebrare questa figura di incommensurabile statura, per tentar di spiegare cosa abbia rappresentato non solo per l'architettura e la bellezza, ma anche per la società, avendo sempre coniugato impegno civile e morale alla sua attività. Il diario portoghese, che su Oscar Niemeyer avrà modo di ritornare ancora, in questo primo anniversario dell'addio sceglie di porre l'accento più sugli aspetti dell'uomo che del geniale artista, benché sia difficile scinderli.

Il nostro blog lo fa soprattutto attraverso alcune sue dichiarazioni, che da sole bastano a ricordare che razza d'uomo sia stato e attraverso cui balzano subito evidenti due sue caratteristiche universalmente riconosciute: quella di pensatore anticonformista e di rivoluzionario convinto fino alla fine dei suoi giorni. Basti dire che, già ultracentenario, si lasciava sfuggire affermazioni come "Il capitalismo è una merda", aggiungendo: "L'idea di rivoluzione è tuttora valida, non si deve abbandonare mai". Ma andiamo per gradi: è il 1935 quando, appena laureato ingegnere e architetto, fa subito capire che cosa ha in mente. Decide infatti di entrare gratis nello studio di Lúcio Costa, l'urbanista destinato a diventare suo maestro nonché futuro coautore del progetto Brasilia, di cui disegnò il piano.

Ecco come Niemeyer racconta quella scelta: "Non volevo, al contrario della maggior parte dei colleghi, adattarmi a questa architettura commerciale che vediamo dappertutto -spiega in una delle numerose interviste rilasciate, ricordando quei tempi. Nonostante non avessi un soldo, ho preferito lavorare gratuitamente nello studio di Costa dove trovavo le risposte ai miei dubbi di giovane studente".


Che ne sia valsa la pena lo testimoniano tuttora i frutti della sua opera, ovvero quel progetto visionario chiamato Brasilia, la nuova città-capitale costruita nel nulla, al centro della savana brasiliana, voluta dall'allora presidente socialdemocratico Juscelino Kubitschek così fermamente ed entusiasticamente, da divenire realtà in soli 4 anni dalla sua ideazione. Quella che, inaugurata il 21 aprile 1960 ancora oggi è la capitale del Brasile, racchiude in sé alcune delle più innovative opere firmate Niemeyer. A volo d'uccello citiamo i suoi edifici simbolo: l’Alvorada (la residenza privata del presidente), il Planalto, il Congresso, i ministeri, il Supremo Tribunal e persino la Cattedrale. Proprio quest'ultima è considerata un capolavoro benché il suo ideatore fosse ateo dichiarato.

Sentiamo come ne parla lui stesso: "Ho evitato le soluzioni delle vecchie cattedrali buie, che ricordano il peccato. Al contrario, ho fatto scura la galleria di accesso alla navata e questa l'ho voluta tutta illuminata, colorata, rivolta con le sue belle vetrate allo spazio infinito". Già diventato quello che oggi definiremmo un "archistar", Niemeyer dovrà registrare successivamente una brusca svolta nei difficili anni politici della storia brasiliana, dopo il golpe militare del 1964 che metterà fine alla democrazia. E' allora che Niemeyer pagherà a duro prezzo la sua scelta politica giovanile, peraltro mai rinnegata: l'iscrizione al partito comunista, datata 1935. Le critiche e le minacce subite, oltre al clima di pericolo costante per gli oppositori del regime, lo costringeranno ad emigrare a Parigi nel 1967. 

Ascoltiamo come descrive quel periodo: "Durante la dittatura tutto è stato differente -racconta- Il mio studio è stato saccheggiato. I miei progetti poco a poco hanno cominciato ad essere rifiutati. Il posto di un architetto comunista è a Mosca, mi disse un giorno un ministro". Fortunatamente ormai famoso nel mondo grazie a Brasilia, Niemeyer non avrà difficoltà ad affermarsi anche in Francia, progettando opere significative come la sede del Partito comunista francese e la piazza dedicata al colonnello Fabien. Del suo periodo europeo, memorabile anche quanto realizzato in Italia: la celeberrima sede della casa editrice Arnoldo Mondadori Editore, a Segrate.

Ma la "saudade" per il suo Brasile non lo lascia mai e con la fine della dittatura, ecco che fa ritorno a casa. Nascono così altri capolavori, nuovamente dedicati al suo Paese, quali il Memorial da America Latina a São Paulo e il Museo di Arte Contemporanea (MAC) a Niterói, città di fronte a Rio de Janeiro.  Impossibile non spendere più parole almeno per quest'ultimo: costruito su una roccia a picco sulla baia di Guanabara, lo si scorge in lontananza anche dalla baia di Rio. In perfetta simbiosi col luogo in cui sorge, sembra sgorgare dalla roccia stessa, come un fiore.
















Considerato da molti il suo migliore lavoro, anche se qualche perplessità ha suscitato, lo ha fatto solo per questa ragione: il rischio di attirare talmente l'attenzione del visitatore, al punto da sottrarla alle opere esposte. Sul Mac, come su tutta l'architettura di Niemeyer, domina la linea curva imponendosi fin dalla vasta rampa curvilinea lungo la quale si accede al Museo. Cerchiamo ancora una volta proprio nelle sue parole la ragione di questa predilezione: ''Non è l'angolo retto che mi attrae, e nemmeno la linea retta, dura, inflessibile, creata dall'uomo. Ciò che mi attrae è la curva libera e sensuale. La curva che incontro nelle montagne e nei fiumi del mio paese, nelle nuvole del cielo, nelle onde del mare, nel corpo della donna preferita. Di curve è fatto tutto l'universo. L'universo curvo di Einstein.''

Potremmo continuare a parlare a lungo delle eredità che ha lasciato, tra cui anche il Palazzo delle Nazioni Unite a New York, ideato assieme al grande Le Corbusier. Ma riempire l'elenco delle sue opere forse non renderebbe giustizia all'uomo chiamato Oscar. Minimizzando la cifra del suo valore, amava dire: "L'architettura è il mio hobby" oppure "l'architettura non è importante, è un pretesto", quasi avvertisse il rischio di non essere riuscito a fare, nella vita, quello che avrebbe desiderato fare sopra ogni cosa: essere utile. Sentiamolo dalle sue parole: "Mais importante do que a arquitetura -dice- é estar pronto pra protestar e ir na rua, isso que é importante, é o sujeito se sentir bem, sentir que não é um merda, que ele tá alí pra ser útil..." 

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