lunedì 3 febbraio 2014

António Lobo Antunes: vince Premio Internazionale Nonino 2014

Riceve il riconoscimento da Claudio Magris che lo omaggia anche sul Corriere della Sera



"La prosa del narratore lusitano è il canto struggente di un ribelle senza pace che polifonicamente distrugge la sintassi. Uno scrivere dove violenza e malinconia sono immerse in una solitudine metafisica e si intrecciano. Una marea incessante di morte e follia annegate in un crudo realismo, acide passioni inconfessate di un naufragio simbolo del nostro simulacro di felicità."

Con questa motivazione è stato assegnato ad António Lobo Antunes il Premio Internazionale Nonino 2014, giunto quest'anno alla 39/ma edizione. La cerimonia di premiazione si è svolta domenica 26 gennaio u.s. a Percoto, località friulana dove ha sede la celebre casa produttrice di grappe che dà il nome al Premio, la cui giuria è presieduta dal Nobel V.S. Naipaul e composta tra gli altri da Ermanno Olmi, Edgar Morin e Claudio Magris. E' spettato proprio allo scrittore triestino consegnare l'importante riconoscimento al collega portoghese.

Per i lettori del nostro Blog, António Lobo Antunes non certo ha bisogno di presentazioni. E' con non poca gioia che condividiamo la notizia sul diario portoghese, lusingati dal prestigio conferito non solo a quello che attualmente è considerato il principale scrittore portoghese vivente (complice anche la scomparsa del Premio Nobel José Saramago con cui si contendeva il primato), ma alla letteratura lusofona in senso lato. Nato a Lisbona da famiglia brasiliana, Antunes rappresenta bene anche una grande ex colonia come l'Angola, avendo partecipato alla guerra coloniale come medico durante il servizio militare e avendo tratto da quell'esperienza ricorrenti fonti d'ispirazione per la sua copiosa narrativa. In occasione della sua venuta in Italia per ritirare il premio, l'autore portoghese edito a casa nostra da Feltrinelli è stato al centro di interesse mediatico, sia tramite interviste sia tramite articoli dedicati alla sua opera.

Ne ha scritto, in termini di smisurata stima, lo stesso Claudio Magris sul Corriere della Sera. Rimandiamo al link sottostante l'invito a godersi per intero le parole di Magris, limitandoci ad estrapolarne solo alcune. Ad esempio: "La scrittura, per Lobo Antunes, è un fiume in piena, una mareggiata di tante opere che è quasi impossibile elencare tutte insieme ai loro traduttori". E ancora: "Come un classico antico, Lobo Antunes raccoglie e tramanda la memoria storica del suo Paese, il Portogallo: La Spiegazione degli uccelli (1981) e Lo splendore del Portogallo (1997) illustrano, in chiave diversa, gli anni tra la caduta della dittatura di Salazar e una nuova realtà ancora tarata; nella Storia affondano pure le storie dei personaggi de Le navi (1968) o del Manuale degli inquisitori (1996). Ma questa memoria, insieme totale e dispersa in un pulviscolo di particolari ferocemente e dolorosamente insensati, è una palude limacciosa e ingannevole, quasi una mostruosa pianta carnivora che divora eventi, uomini e parole." Definisce poi senza mezzi termini un "capolavoro" Arcipelago dell'insonnia (2008).

Nel concludere il ritratto dello scrittore premiato, Magris azzarda questa convinzione: "Credo che per lui vivere sia scrivere, solo scrivere, sempre scrivere, tessere un'enorme ragnatela di parole sperando di non poterne mai uscire; vivere per scrivere e scrivere per non vivere, costruire labirinti senza bisogno di un Minotauro al loro centro, perché la vita è piena di Minotauri, ce ne sono dappertutto pronti a divorare le vittime. Forse lo scrittore, nel labirinto delle sue parole, è proprio il Minotauro." Colpisce l'attenzione riservata dallo scrittore triestino al lavoro dei traduttori, cosa piuttosto rara, che volentieri citiamo: "Bisogna essere grati ai traduttori come Vittoria Martinetto e Rita Desti, sempre colpevolmente e ignorantemente trascurati, come accade a tutti i traduttori nella nostra incultura, che ci permettono di leggere in tutta la sua forza un grande scrittore visionario, dimostrando una creatività linguistica degna della sua." 

Lo scrittore Federico Pace, su MagazineRoma.it, oltre a diffondersi sull'opera di Lobo Antunes con ammirazione, lamenta la carenza di suoi libri tradotti in Italiano. Riprendiamo le parole testualmente, musica per le orecchie del nostro Blog che da sempre si spende per la divulgazione delle letteratura lusofona, sia in lingua originale sia tradotta. "A Percoto non sappiamo -osserva Pace- se si parlerà del mistero dei suoi libri mai arrivati in Italia. Del perché un autore così grande, così riconosciuto, così meritevole di entrare ogni anno nella lista dei candidati al Nobel, abbia un gruzzolo di libri che noi italiani non abbiamo mai avuto la possibilità di leggere". Quindi li elenca: "Memoria de Elefante, Fado Alexandrino, Livros De Cronicas, Nao Entres Tao Depressa Nessa Noite Escura, Segundo Livro de Cronicas, Eu Hei-de Amara Uma Pedra, Terceiro Livro de Cronicas, Ontem Nao Te Vi Em Babilonia, O Meu nome é Legiao, Que Cavalos Sao Aqueles Que Fazem Sombra no Mar, Sobolos Rios Que Vao, Quarto Livro de Cronicas, Comissao das Làgrimas, Nao E' Mei Noite Que Quer, Quinto Livro de Cronicas, Caminha Como Numa Casa em Chamas. Un bel numero davvero", commenta Pace.

Intervistato da Sebastiano Triulzi per Repubblica, Lobo Antunes fornisce dettagli sul duro lavoro dello scrivere che può rivelarsi utile per ogni aspirante scrittore: “Dedico alla scrittura -dichiara- mediamente dieci ore al giorno e per ogni libro impiego uno o due anni. Il processo più complesso è però la correzione, quanto cambi di ciò che hai scritto; perché un testo non è mai finito, c’è sempre un avverbio, un pronome, un articolo che non convincono. Così quando finalmente chiudo un libro provo un sentimento ambivalente: da un lato sento una specie di sollievo, dall’altro so che ho iniziato a perderlo”.

Alla curiosità dell'intervistatore su quando abbia capito di voler scrivere, Antunes risponde: “All’età di sei o sette anni. Mio padre era un neurologo, professore all’università, ed io il primogenito. Divenni psichiatra -spiega- perché non volevo essere un medico. L’unico mestiere che ho mai desiderato fare nella vita è però lo scrittore. Ho sempre saputo che non sarebbe stato facile, e infatti sono trascorsi molti anni prima che trovassi la mia voce. Ho pubblicato il mio primo libro (Memória de elefante, n.d.r.) a trentasei anni, e quasi fino ad allora la mia reazione era sempre la stessa: così non va. Riscrivevo in continuazione”.

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