domenica 30 marzo 2014

Brasile: a 50 anni dal golpe militare il ricordo di un testimone d’eccezione, Frei Betto

"Março de 1964", una riflessione dello scrittore e teologo perseguitato dal regime.


Il primo aprile del 1964 è una data che i brasiliani non dimenticano facilmente: quel giorno, infatti, il Presidente in carica João Goulart venne destituito all'indomani dal colpo di stato militare guidato dal maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco che instaurò un regime dittatoriale destinato a durare oltre un ventennio. Quel periodo storico fu caratterizzato da una sistematica violazione dei diritti umani nei confronti degli oppositori che si concretizzò in sparizioni, esecuzioni sommarie, incarcerazioni e torture. I più fortunati, tra cui figurano molti nomi celebri della cultura, furono  costretti all'esilio. La radiografia dei crimini non è ancora stata ricostruita completamente, ma molto è già emerso e raccolto grazie all'impegno di organizzazioni in difesa dei diritti umani e in particolare tramite il "Projeto Brasil: Nunca Mais", mentre sta ancora lavorando la "Comissão Nacional da Verdade" istituita dal Governo di Dilma Roussef proseguendo l'iniziativa del suo predecessore Lula.

Per non dimenticare questo cinquantesimo anniversario "il diario portoghese" ne affida il ricordo al racconto ad un protagonista davvero speciale: Frei Betto, al secolo Carlos Alberto Libânio Christo. Allora giovane studente universitario prima di entrare nell'Ordine dei Domenicani, Betto non sapeva quale cambiamento il Golpe avrebbe determinato nella sua esistenza. Arrestato nel 1969 per aver dato rifugio ai ricercati nei conventi, restò in carcere fino al 1972 subendo torture assieme ad altri confratelli, fra cui Frei Tito che non sopravvisse. Esponente della Teologia della Liberazione, scrittore ("Dai sotterranei della storia" e "Battesimo di sangue" lo hanno reso famoso nel mondo), ambientalista impegnato nel Movimento Sem Terra e poi assessore del programma Fome Zero nel primo Governo Lula, Frei è considerato tra i più attenti interpreti della realtà sociale, non solo brasiliana.

Pubblichiamo di seguito la sua riflessione "Março de 1964", uscita in lingua originale sul settimanale indipendente di São Paulo "Correio da Cidadania" e diffusa nella versione italiana (tradotta da Serena Romagnoli) tramite la Rete Radiè Resch-Rete di Quarrata che l'ha gentilmente concessa al nostro Blog. Buona lettura.
                                         

                                                   

MARZO ‘64 
di Frei Betto


Nel 1964 abitavo a Rio, in un buchetto all’angolo delle strade Laranjeiras e Pereira da Silva. Lì si insediavano i giovani dirigenti della JEC (Gioventù Studentesca Cattolica) e della JUC (Gioventù Universitaria Cattolica), movimenti dell’Azione Cattolica. Lì venivano ospitati spesso i dirigenti studenteschi Betinho, Vinicius Caldeira Brant e José Serra.

Io ero entrato nel corso di Giornalismo dell’Università del Brasile (attuale UFRJ) e tra i miei professori spiccavano Alceu Amoroso Lima, Danton Jobim e Hermes Lima. Di destra, c’era Hélio Vianna, professore di storia, cognato del maresciallo Castelo Branco.

Dal momento del mio arrivo a Rio, dal Minas, il Brasile viveva una fase di turbolenza politica. Si svegliava il gigante addormentato in una splendida culla. Tutto era nuovo sotto il governo di João Goulart: la bossa, il cinema, la letteratura... 

La Sudene (Sovrintendenza per lo sviluppo del Nordest) diretta da Celso Furtado, alleata del governatore del Pernambuco, Miguel Arraes, ridisegnava un Nordest libero dal dominio dei colonnelli, industriali e latifondisti.  Francisco Julião sosteneva le Ligas Camponesas, che lottavano per la riforma agraria.
Paulo Freire avviava, a partire da Angicos (RN), il suo metodo di coscientizzazione politica dei poveri attraverso l’alfabetizzazione. Concepiva la pedagogia degli oppressi.

Nel sud, Leonel Brizola si scontrava con i monopoli stranieri e difendeva la sovranità brasiliana. Marinai e sergenti dell’Esercito si organizzavano, a Rio, per rivendicare i loro diritti.

“Vedrai che un figlio tuo non fugge dalla lotta”. Tuttavia i figli non avevano sufficiente lucidità per capire che, dopo la rinuncia del presidente Jânio Quadros, nel 1961, le classi dominanti stavano facendo dischiudere l’uovo del serpente...

L’ambasciata USA, che aveva ancora sede a Rio e aveva a capo Lincoln Gordon, si muoveva nell’ombra per aizzare i militari brasiliani – molti dei quali addestrati negli USA – contro l’ordine democratico (vedi “Taking  charge: the Johnson White House Tapes – 1963-1964”, de Michael  Beschloss).
Chi conosce la storia dei colpi di Stato in America Latina sa che sono stati tutti patrocinati dalla Casa Bianca. Da lì la battuta: Non c’è mai stato un golpe negli USA perché a Washington non c’è un’ambasciata yankee...

Gli USA, che trovavano inaccettabile l’esito della Rivoluzione Cubana del 1959, temevano l’avanzata del comunismo in America Latina. Il presidente Lyndon Johnson (1963-1969) era convinto che il Brasile fosse vulnerabile all’influenza sovietica quanto il Vietnam.



Fiumi di denaro sono stati destinati a preparare le condizioni per il golpe del 1° aprile del 1964. Ai poveri, che desideravano ardentemente riforme strutturali (chiamate all’epoca “riforme di base”, e ancora oggi non realizzate), gli USA offrivano le briciole delle “ceste basiche”, distribuite dall’Alleanza per il Progresso. Gli imprenditori si organizzavano nell’IBAD (Istituto Brasiliano di Azione Democratica) e nell’IPES (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali).

Gli USA non avrebbero accettato neanche che il Brasile diventasse come l’Egitto di Nasser, un paese indipendente dalle orbite yankee e sovietica. Navi statunitensi dell’Operazione Brother Sam si avviavano verso i nostri porti.

Jango convocò il megacomizio del 13 marzo 1964, alla Central do Brasil. Volevo andarci, ma padre Eduardo Koaik (più tardi vescovo di Piracicaba {SP} e collega di seminario di Carlos Heitor Cony) decise che avremmo approfittato della vacanza per una giornata di studi della direzione nazionale della JEC (della quale facevo parte), ad Itaipava (RJ).

Il 29 marzo, con un biglietto fornito dal Ministero dell’Educazione (cioè da: Betinho, capo di gabinetto del ministro Paulo de Tarso dos Santos), partii per Belém. Nella capitale del Para, mi sorprese il golpe militare, il 1° aprile del 1964.  Ebbi difficoltà a credere che il presidente Jango, costituzionalmente eletto, si fosse rifugiato in Uruguai. 

Aspettai la tanto propagandata reazione popolare. Il PCB (Partito Comunista Brasiliano), con il quale la JEC manteneva alleanze nella politica studentesca, garantiva che, in caso di golpe, Prestes avrebbe convocato migliaia di lavoratori in armi.

L’Azione Popolare, movimento di sinistra nato dall’Azione Cattolica, prometteva di mobilitare i suoi militanti per difendere l’ordine democratico.

Aspettai invano. Reazioni isolate, compresa quella di alti ufficiali delle Forze Armate, furono subito soffocate senza bisogno di un solo colpo di arma da fuoco. E nessuno credeva che la dittatura sarebbe durata, a partire dal 1° aprile del 1964, per 21 anni.




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