sabato 1 marzo 2014

Capo Verde: come la pesca globale danneggia la popolazione e persino la spiaggia

Lo testimonia “Sandgrains”, un docu-film speciale, interpretato dagli isolani



"In Europa c'è pesce a cena ogni volta che si vuole, ma qua non ne abbiamo nemmeno per sfamarci. Non abbiamo abbastanza risorse per farle sfruttare dagli stranieri. Se anche altri Paesi pescano qui, noi rimarremo soltanto con la memoria di un mare abbondante". Questo il disperato allarme lanciato dai pescatori di Capo Verde, stritolati dalla pesca globale che svuota le risorse ittiche locali con cui tradizionalmente generazioni di pescatori davano da vivere alle loro famiglie. "Alcune nazioni ricevono il permesso di pescare nelle nostre acque attraverso accordi di pesca. L'accordo con l'Unione europea incentiva l'Europa a pescare di più, perché se peschi di più, paghi meno", lamentano ancora i capoverdiani denunciando come, a fronte di un'intesa con l'Unione Europea per 5mila tonnellate anno di tonni e affini, sugli "affini" ci sia ben poca chiarezza.

"La pesca degli squali è illegale, il loro trasbordo pure, ma quel che abbiamo visto è il trasbordo di squali, non di tonni. Si deve fare qualcosa: nessuno vuole aprire gli occhi e vedere la distruzione che la pesca industriale sta causando". A offrire il megafono ai pescatori dell'arcipelago situato al largo delle dell'Africa occidentale nonché ex colonia portoghese di grande fascino turistico, è un film documentario la cui storia, dall'idea alla realizzazione, è tutta da raccontare. Stiamo parlando di Sandgrains, ovvero di un progetto lungo quattro anni che ha visto la luce grazie alla cooperazione di filmakers e popolazione capoverdiana nonché dei potenziali spettatori che lo hanno finanziato attraverso il crowdfunding, ovvero la raccolta dei fondi necessari a coprire le spese di produzione.

Curiosa, quanto efficace, l'idea di affidare il ruolo di protagonista a un personaggio emblematico che racconta la sua vera storia. Si chiama Zé, è nato a Ribeira da Barca nell'isola principale tra le dieci dell'arcipelago, Salomone,  ed è emigrato in Svezia quando aveva cinque anni. Pur vivendo e lavorando all'estero ha sempre mantenuto un legame con la terra dove, bambino, passava le giornate a giocare a pallone sull'ampia spiaggia di sabbia proprio in fondo al vicolo di casa. In Svezia ha continuato a giocare a calcio e presto è riuscito ad entrare nelle squadre professionali fino ad approdare all'importante IFK Göteborg.  È già famoso quando finalmente, dopo diversi anni, riesce a tornare a casa. Gioia ed emozione si infrangono però dinanzi al triste spettacolo: la spiaggia dove giocava non c'è più e Zé scoppia in lacrime.




Qui Sandgrains mette il dito sull'altra, conseguente, piaga di Capo Verde. Per sopperire alla mancanza del sostentamento dato dalla pesca, la popolazione è costretta a rifarsi raccogliendo e vendendo la sabbia, ricercata per via della crescente attività immobiliare. Il docu-film passa la parola a Ja, una donna che scava dal fondale della spiaggia di Charce, rimpiangendo il tempo in cui a riva ancora c'erano le dune. Un po’ alla volta la sabbia scompare e resta solo la ghiaia, lamenta Jo ammettendo: "È un lavoro duro e so bene che stiamo danneggiando l'ambiente, ma è la nostra unica possibilità”. Tra gli altri protagonisti, Nelson, un pescatore di Ribeira da Barca che dall'età di 13 anni ha lasciato la scuola convinto di poter vivere di pesca, vista allora come una carriera sicura. Oggi però non esce nemmeno più in mare tutti i giorni: lui e il suo equipaggio finirebbero per spendere più del guadagno.

Poi c'è Tata, la zia di Zé e di Nelson, che all'età di 84 anni rimpiange il passato: "C'erano meno comodità, ma almeno si poteva ottenere cibo in abbondanza dal mare e si viveva su una bella spiaggia di sabbia”. Non mancano gli esperti a dire la loro: sono l'ingegnere della pesca José Melo e suo figlio Tommy, biologo e oceanografo, rispettivamente presidente e vice presidente della ONG Biosfera I. La lotta portata avanti per la conservazione dell'ambiente ha già fruttato loro una menzione d'onore da parte del Governo locale e un premio internazionale. Chiude in quadro Raoul Monsembula, attivista per le campagne sugli oceani di Greenpeace Africa, impegnato sullo sviluppo di alternative valide alle operazioni di pesca industriale. Zé lo ha incontrato sulla nave di Greenpeace per discutere delle cause e degli effetti a livello macrolocale.


Se le persone citate hanno potuto condurre per mano gli spettatori a constatare la situazione della loro isola, trasformandosi in attori improvvisati, questo lo si deve al team dei filmakers - tutti affermati professionisti del settore - che hanno fermamente voluto realizzare il documentario, cogliendone l'importanza sociale. Ecco i loro nomi: Gabriel Manrique e Jordie Montevecchi, documentaristi indipendenti per la regia; Francesca Tosarelli fotografa; Mirco Buonuomo fonico e compositore; Andrew Sutton Cameraman e operatore Subacqueo; Naiara Seara, montatrice. Casomai queste storie in pillole avessero destato interesse tra i nostri lettori, l'invito del diario portoghese è a guardare il trailer, ma soprattutto a visitare il sito ufficiale di Saindgrains che soddisferà ogni ulteriore curiosità in merito.

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