Il progetto del reporter francese Christophe Simon (AFP), residente a Rio, che insegna loro la tecnica
“Nelle favelas
brasiliane i bambini giocano a calcio tutto il tempo, ovunque. Con palloni
bucati, in campi improvvisati polverosi, contro i muri delle case. In
previsione del Mondiali 2014, ho cercato una maniera d'illustrare le origini di
questo fervore dei brasiliani per il calcio. E, per farlo, cosa di meglio che
domandare a una manciata di bambini delle favelas di farmi vedere la loro passione
con loro stesso sguardo?”.
Partendo da questa
considerazione un reporter francese, dal 2011 trasferito a Rio de Janeiro dove
lavora come responsabile locale della prestigiosa AFP (Agence France-Presse),
ha avuto un’idea destinata a far parlare di sé ben oltre il Brasile. Christophe
Simon, questo il nome del fotografo, dal suo arrivo a Rio già aveva avuto
numerose occasioni per immortalare le operazioni di polizia tese a migliorare
l'immagine della città (le cosiddette “operações de pacificação”) in vista dei
Mondiali e delle Olimpiadi, battendo i quartieri delle favelas armato del suo
apparecchio fotografico. Immancabilmente
veniva circondato da nugoli di bambini che apparivano affascinati dal suo
lavoro, lo seguivano dappertutto e gli ponevano mille domande. Avendo da poco compiuto
i 50 anni, Christophe ha cominciato ad avvertire il desiderio di trasmettere la
sua esperienza a qualcuno più giovane di lui. Così è nato il suo progetto, da
cui noi del “diario portoghese” siamo rimasti favorevolmente colpiti, tanto da
desiderare di condividerlo coi nostri lettori. Per farlo, usiamo come traccia
il racconto autobiografico che lo stesso Simon fa nel Blog Making-of de l'AFP.

“Quasi ogni fine
settimana, dopo il febbraio 2013 -racconta Chistophe Simon- si andava in giro a
gruppi di 10-12 ragazzini. Le sessioni duravano tre/quattro ore, talora
giornate intere. Non era facile organizzarle. Ogni volta bisognava andare a
prendere a casa i bambini e riaccompagnarli alla fine. Ho dato loro -spiega-
dei rudimenti di base del mestiere, come la proibizione di far mettere in posa
qualcuno (cosa difficile da applicare in un Paese dove la gente adora farlo) e
di usare il flash. L'esperienza - aggiunge- è stata appassionante e il
risultato sorprendente. Che i ragazzi siano stati capaci di realizzare foto
tanto buone, mi ha meravigliato. Se avessi deciso di trattare quei soggetti da
solo, avrei utilizzato i miei codici personali, il mio sguardo. Qui, dei
ragazzi hanno avuto la possibilità di mostrare i luoghi in cui vivono e l'origine
della loro passione per il calcio”.

“Il turn-over tra i partecipanti
è stato importante. A un certo punto il nostro progetto ha cominciato ad essere
molto conosciuto nella favela e i candidati hanno iniziato ad affluire. Ma ce n’erano
anche di assidui. Tra questi, ho un ricordo eccezionalmente buono di Kuhan, un
ragazzo di dieci anni i cui genitori sono crack-dipendenti. Un bambino
particolarmente vivace e talentuoso. Della cinquantina di immagini che ho
selezionato alla fine del progetto, è lui che incontestabilmente -sentenzia
Christophe- ha scattato le migliori”.
Se anche la storia
dell'incontro tra il fotografo francese e i bambini della favela brasiliana
appena raccontata finisse qui, potremmo dire che ha portato una nota positiva
sul clima, non proprio sereno, dei Mondiali. Ma c’è di più: l'avventura continua,
regalando una vera ventata di ottimismo. L'Agence France-Presse e l’Association
Modafusion, visto il successo riscosso dal progetto, hanno infatti siglato un
accordo per perpetuare l'atelier degli apprendisti fotografi della Cidade de
Deus fino ai giochi olimpici di Rio del 2016. Buona fortuna!
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