L’ultimo arrivo
in casa Vittoria Iguazù si intitola Assenza
ed è il terzo romanzo della scrittrice italo-brasiliana Flavia Cristina
Simonelli a essere pubblicato in Brasile e il primo a essere pubblicato in
Italia. Qualche cenno al libro Il diario portoghese lo aveva già tracciato nel post del 12 agosto u.s., anche grazie all’intervista rilasciata dall’autrice. Ora godiamoci la lettura di un breve estratto.
Assenza
di Flavia Cristina Simonelli
«Arrivò la fine
dell’anno, passò il Natale e arrivarono le vacanze di gennaio. Ervin si
atteneva rigorosamente alla routine. Andava ogni giorno al panificio e di
ritorno faceva colazione con la moglie e la figlia. Una mattina, dopo essersi
alzato molto presto, uscì e si mise a girare per le vie del quartiere. Non
trovando quello che cercava, rientrò desolato.
Entrando in sala
da pranzo, avvistò Natasha che aiutava la madre a preparare il tavolo per la
colazione. Quando lo vide, gli diede un bacio sulla guancia.
–
Buongiorno, papà. Com’è il tempo fuori? – gli domandò, mentre metteva le tazzine
sui piattini.
–
Il tempo? – chiese Ervin, sedendosi a tavola. – È bello.
Natasha guardò
le mani vuote del padre.
–
Toh – esclamò lei. – Pensavo che fossi andato al panificio.
–
E ci sono andato, ma il panificio ha cambiato indirizzo senza avvisare.
È possibile una
cosa del genere? Quel portoghese poteva avere più considerazione nei nostri
confronti, accidenti!
–
Ha cambiato indirizzo? Che strano. Così all’improvviso? Ieri non ci hai
comprato il pane?
–
Infatti. L’ho comprato come ho fatto da più di trent’anni a questa parte e, da
un momento all’altro, il panificio sparisce dalla via. Devono aver tolto
perfino l’insegna, perché non ho visto nulla. Non ho mai visto una cosa del
genere, figlia mia, nemmeno nei miei quarant’anni come professore di letteratura.
Anzi, potrebbe diventare un bel racconto: «Il panificio scomparso dalla via»,
che cosa te ne pare? – domandò, come se potesse cambiare il tema del discorso.
–
Papà, questa non è finzione, è la realtà! – disse, ridendo. – Un panificio non
sparisce dalla via dalla sera alla mattina.
Ervin rivolse
l’attenzione ai passi della moglie che arrivava dalla cucina con il termos in
mano.
–
Che storia è questa? Il panificio ha chiuso? – gli domandò la moglie, che
sembrava arrabbiata.
Natasha alzò le
sopracciglia senza dar tempo al padre di spiegare l’accaduto.
–
Dice che il panificio ha chiuso.
Margarida sgranò
gli occhi e gli lanciò uno sguardo incredulo, come se lo ritenesse incapace di
dare una notizia affidabile.
–
Perché mi guardi così? – domandò Ervin. – Pensi che non sono andato al
panificio? Che sto imbrogliando mia figlia? Mi mancava solo di sentire
un’ingiuria del genere – disse, scuotendo la testa.
Prese la
caffettiera e versò il caffè nella tazzina.
–
Per te, Margarida – continuò concentrato sul caffè – sbaglio sempre, sono
sempre confuso. Sono stanco di essere trattato come uno sconclusionato.
–
Sono io che sono stanca – ribatté Margarida. – Non sopporto più di dover
controllare se hai chiuso bene il cancello ogni volta che entri in casa, se hai
spento il gas, se hai preso o meno i soldi
che preparo per
la domestica tutte le settimane. Sono esausta… E sai cosa penso? Tu hai
sbagliato strada per andare al panificio, come hai sbagliato l’altro giorno
quando sei andato in banca.
–
Banca? Non vado in banca da un sacco di tempo, pago tutto via internet. Almeno
– domandò alla figlia cercando di accennare un sorriso – la tecnologia serve a
qualcosa, no, Natasha?
Natasha fece un
cenno affermativo con la testa e sfiorò la mano del padre.
–
Ma Ervin – interruppe la moglie, gesticolando ininterrottamente – sei dovuto
andare in banca a cambiare il pin della tua tessera bloccata al bancomat, non
ti ricordi? È stato l’altro ieri, santo cielo! Non è possibile che qui la pazza
sia io!
Ervin rimase in
silenzio, mentre mescolava lo zucchero sul fondo della tazzina.
–
Lascia stare, mamma. Anche a me è rimasto bloccato il bancomat perché ho
digitato il pin sbagliato per tre volte – e rivolgendosi al padre – è così,
papà, succede.
–
Succede a tutti, tranne che a lei – disse indignato. – E il peggio è che
inventa anche delle cose per demoralizzarmi – rispose Ervin, che si stringeva
una mano nell’altra, come se volesse mettere subito fine a quella
conversazione.
L’atmosfera era
tesa e Margarida si sedette, coprendosi il volto, in un gesto di disperazione.
–
Non so più cosa fare. Voi non capite che cosa devo sopportare – disse, come se
stesse per piangere. – E già che capisci tuo padre, Natasha, digli di andare
dal dottore, magari ti ascolta.
Natasha non disse
nulla e si limitò a guardare con tenerezza Ervin, che fece altrettanto.
–
Devi andare dal dottor Lamartine – continuò Margarida. – E con urgenza, perché
queste cose della testa devono essere curate subito e, tra l’altro…
–
Smettila di parlare di malattie! – gridò Ervin. – Ho già detto che sto bene,
capisci? – si alzò trascinando la sedia dietro di sé. Uscì, lasciando il caffè
a metà.
Andò verso
l’ingresso e indossò la giacca che era appesa accanto alla porta. Aveva bisogno
di camminare, respirare. Natasha lo seguì.
–
Papà, dove vai?
–
A camminare un po’, cara.
–
Ma così, irritato come sei? Perché non vai a leggere il giornale?
–
Ho bisogno di uscire.
–
Allora stai attento – disse, abbozzando un sorriso prima di baciarlo
–
e non perderti…
Ervin toccò con
affetto la spalla della figlia.
–
Non mi perderò. Questa è una fissazione della tua mamma. Figurati se mi posso
perdere in un quartiere in cui conosco perfino l’odore di ogni angolo.
Andandosene,
chiuse la porta dietro di sé, scese gli scalini che portavano al garage e
attraversò il cancello, godendosi l’aria aperta.
Natasha aveva
solo cinque anni quando si erano trasferiti lì; a Ervin piaceva rievocare le
storie che gli venivano in mente. Natasha che giocava sul marciapiede con i
bambini della sua età, e Alberto, più grande di quattro anni, sempre con la
bicicletta, su e giù. Natasha era molto più fragile, magra, mangiava poco, e
per questo lo preoccupava molto. Quando lui tornava dall’università, lei gli
correva incontro e gli gettava al collo le braccia sottili e lunghe. Erano
altri tempi, Ervin lavorava molto, e la moglie non lo accusava di queste
dimenticanze che ora la disturbavano tanto. Se non fosse per la prepotenza di
considerarsi detentrice della verità, avrebbe anche potuto prenotare una visita
da Lamartine, il suo medico e amico da molti anni. Così, dopo aver fatto tutti
gli accertamenti necessari, le avrebbe provato che non aveva nulla.
Assolutamente nulla. Il modo impositivo di parlare di Margarida irritava Ervin,
portandolo a fare tutto il contrario di quanto la moglie gli diceva. Non
sarebbe certo andato dal dottore solo perché lei lo considerava demente. Per
fortuna, Natasha viveva con loro in quel
periodo e
alleviava il peso che sarebbe stata la casa impregnata dal cattivo umore di
Margarida.
Il sole scaldava
a quell’ora del mattino, e il commercio locale era movimentato. Girò alla terza
a destra, poi alla seconda a sinistra. Continuò a percorrere la strada abituale
di ogni mattina, finché
si imbatté con
il portoghese all’entrata dello stabilimento dove andava a comprare il pane
tutte le mattine. Vedendo il proprio cliente, il commerciante lo salutò subito.
Ervin rispose al saluto, intrigato. Ma allora il panificio non aveva cambiato
indirizzo?».
Brano tratto da Assenza di Flavia Cristina Simonelli (Vittoria Iguazù editora,
2014, traduzione di Vanessa Castagna, pagg. 17-21)
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