lunedì 25 agosto 2014

"Assenza", il nuovo romanzo di Flavia Cristina Simonelli arriva in Italia

L’ultimo arrivo in casa Vittoria Iguazù si intitola Assenza ed è il terzo romanzo della scrittrice italo-brasiliana Flavia Cristina Simonelli a essere pubblicato in Brasile e il primo a essere pubblicato in Italia. Qualche cenno al libro Il diario portoghese lo aveva già tracciato nel post del 12 agosto u.s., anche grazie all’intervista rilasciata dall’autrice. Ora godiamoci la lettura di un breve estratto. 




Assenza

di Flavia Cristina Simonelli

 


«Arrivò la fine dell’anno, passò il Natale e arrivarono le vacanze di gennaio. Ervin si atteneva rigorosamente alla routine. Andava ogni giorno al panificio e di ritorno faceva colazione con la moglie e la figlia. Una mattina, dopo essersi alzato molto presto, uscì e si mise a girare per le vie del quartiere. Non trovando quello che cercava, rientrò desolato.
Entrando in sala da pranzo, avvistò Natasha che aiutava la madre a preparare il tavolo per la colazione. Quando lo vide, gli diede un bacio sulla guancia.
– Buongiorno, papà. Com’è il tempo fuori? – gli domandò, mentre metteva le tazzine sui piattini.
– Il tempo? – chiese Ervin, sedendosi a tavola. – È bello.
Natasha guardò le mani vuote del padre.
– Toh – esclamò lei. – Pensavo che fossi andato al panificio.
– E ci sono andato, ma il panificio ha cambiato indirizzo senza avvisare.
È possibile una cosa del genere? Quel portoghese poteva avere più considerazione nei nostri confronti, accidenti!
– Ha cambiato indirizzo? Che strano. Così all’improvviso? Ieri non ci hai comprato il pane?
– Infatti. L’ho comprato come ho fatto da più di trent’anni a questa parte e, da un momento all’altro, il panificio sparisce dalla via. Devono aver tolto perfino l’insegna, perché non ho visto nulla. Non ho mai visto una cosa del genere, figlia mia, nemmeno nei miei quarant’anni come professore di letteratura. Anzi, potrebbe diventare un bel racconto: «Il panificio scomparso dalla via», che cosa te ne pare? – domandò, come se potesse cambiare il tema del discorso.
– Papà, questa non è finzione, è la realtà! – disse, ridendo. – Un panificio non sparisce dalla via dalla sera alla mattina.
Ervin rivolse l’attenzione ai passi della moglie che arrivava dalla cucina con il termos in mano.
– Che storia è questa? Il panificio ha chiuso? – gli domandò la moglie, che sembrava arrabbiata.
Natasha alzò le sopracciglia senza dar tempo al padre di spiegare l’accaduto.
– Dice che il panificio ha chiuso.
Margarida sgranò gli occhi e gli lanciò uno sguardo incredulo, come se lo ritenesse incapace di dare una notizia affidabile.
– Perché mi guardi così? – domandò Ervin. – Pensi che non sono andato al panificio? Che sto imbrogliando mia figlia? Mi mancava solo di sentire un’ingiuria del genere – disse, scuotendo la testa.
Prese la caffettiera e versò il caffè nella tazzina.
– Per te, Margarida – continuò concentrato sul caffè – sbaglio sempre, sono sempre confuso. Sono stanco di essere trattato come uno sconclusionato.
– Sono io che sono stanca – ribatté Margarida. – Non sopporto più di dover controllare se hai chiuso bene il cancello ogni volta che entri in casa, se hai spento il gas, se hai preso o meno i soldi
che preparo per la domestica tutte le settimane. Sono esausta… E sai cosa penso? Tu hai sbagliato strada per andare al panificio, come hai sbagliato l’altro giorno quando sei andato in banca.
– Banca? Non vado in banca da un sacco di tempo, pago tutto via internet. Almeno – domandò alla figlia cercando di accennare un sorriso – la tecnologia serve a qualcosa, no, Natasha?
Natasha fece un cenno affermativo con la testa e sfiorò la mano del padre.
– Ma Ervin – interruppe la moglie, gesticolando ininterrottamente – sei dovuto andare in banca a cambiare il pin della tua tessera bloccata al bancomat, non ti ricordi? È stato l’altro ieri, santo cielo! Non è possibile che qui la pazza sia io!
Ervin rimase in silenzio, mentre mescolava lo zucchero sul fondo della tazzina.
– Lascia stare, mamma. Anche a me è rimasto bloccato il bancomat perché ho digitato il pin sbagliato per tre volte – e rivolgendosi al padre – è così, papà, succede.
– Succede a tutti, tranne che a lei – disse indignato. – E il peggio è che inventa anche delle cose per demoralizzarmi – rispose Ervin, che si stringeva una mano nell’altra, come se volesse mettere subito fine a quella conversazione.
L’atmosfera era tesa e Margarida si sedette, coprendosi il volto, in un gesto di disperazione.
– Non so più cosa fare. Voi non capite che cosa devo sopportare – disse, come se stesse per piangere. – E già che capisci tuo padre, Natasha, digli di andare dal dottore, magari ti ascolta.
Natasha non disse nulla e si limitò a guardare con tenerezza Ervin, che fece altrettanto.
– Devi andare dal dottor Lamartine – continuò Margarida. – E con urgenza, perché queste cose della testa devono essere curate subito e, tra l’altro…
– Smettila di parlare di malattie! – gridò Ervin. – Ho già detto che sto bene, capisci? – si alzò trascinando la sedia dietro di sé. Uscì, lasciando il caffè a metà.
Andò verso l’ingresso e indossò la giacca che era appesa accanto alla porta. Aveva bisogno di camminare, respirare. Natasha lo seguì.
– Papà, dove vai?
– A camminare un po’, cara.
– Ma così, irritato come sei? Perché non vai a leggere il giornale?
– Ho bisogno di uscire.
– Allora stai attento – disse, abbozzando un sorriso prima di baciarlo
– e non perderti…
Ervin toccò con affetto la spalla della figlia.
– Non mi perderò. Questa è una fissazione della tua mamma. Figurati se mi posso perdere in un quartiere in cui conosco perfino l’odore di ogni angolo.
Andandosene, chiuse la porta dietro di sé, scese gli scalini che portavano al garage e attraversò il cancello, godendosi l’aria aperta.
Natasha aveva solo cinque anni quando si erano trasferiti lì; a Ervin piaceva rievocare le storie che gli venivano in mente. Natasha che giocava sul marciapiede con i bambini della sua età, e Alberto, più grande di quattro anni, sempre con la bicicletta, su e giù. Natasha era molto più fragile, magra, mangiava poco, e per questo lo preoccupava molto. Quando lui tornava dall’università, lei gli correva incontro e gli gettava al collo le braccia sottili e lunghe. Erano altri tempi, Ervin lavorava molto, e la moglie non lo accusava di queste dimenticanze che ora la disturbavano tanto. Se non fosse per la prepotenza di considerarsi detentrice della verità, avrebbe anche potuto prenotare una visita da Lamartine, il suo medico e amico da molti anni. Così, dopo aver fatto tutti gli accertamenti necessari, le avrebbe provato che non aveva nulla. Assolutamente nulla. Il modo impositivo di parlare di Margarida irritava Ervin, portandolo a fare tutto il contrario di quanto la moglie gli diceva. Non sarebbe certo andato dal dottore solo perché lei lo considerava demente. Per fortuna, Natasha viveva con loro in quel
periodo e alleviava il peso che sarebbe stata la casa impregnata dal cattivo umore di Margarida.

Il sole scaldava a quell’ora del mattino, e il commercio locale era movimentato. Girò alla terza a destra, poi alla seconda a sinistra. Continuò a percorrere la strada abituale di ogni mattina, finché
si imbatté con il portoghese all’entrata dello stabilimento dove andava a comprare il pane tutte le mattine. Vedendo il proprio cliente, il commerciante lo salutò subito. Ervin rispose al saluto, intrigato. Ma allora il panificio non aveva cambiato indirizzo?».

Brano tratto da Assenza di Flavia Cristina Simonelli (Vittoria Iguazù editora, 2014, traduzione di Vanessa Castagna, pagg. 17-21)

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