venerdì 17 febbraio 2012

La memoria coloniale a Berlino: "Tabu" di Miguel Gomes

Tabu, Il nuovo film del regista portoghese Miguel Gomes, in bianco e nero, è stato presentato in concorso al Festival di Berlino 2012. Basato su fatti reali, ambientato sullo sfondo del colonialismo in Africa e frutto di una coproduzione fra Brasile, Francia, Germania e Portogallo, l’ultimo lavoro di Miguel Gomes recupera in modo attraente e originale la memoria del passato di Aurora (Laura Soveral), un’anziana signora che ricorda la vita in una tipica fazenda dell’Africa coloniale e il suo amore perduto.
L’autore di O Meu Querido Mês de Agosto ha affermato nella conferenza stampa del festival che preferisce “un dialogo con la memoria cinematografica”, piuttosto di “un omaggio”, non essendo interessato a un “cinema fatto di citazioni”. Eppure è forte in questo suo lavoro la presenza di riferimenti al cinema muto classico e l’influenza di autori come Murnau.
"Questo è sicuramente un omaggio al cinema americano classico, specialmente a quello muto, anche se non mi piace parlare di omaggi perché certo il cinema non ne ha bisogno. Credo che diverse influenze e memorie cinematografiche abbiano agito su di me inconsciamente; qualcosa si era da tempo depositato nella mia memoria. Conosco bene il cinema di Murnau; specie da ragazzo ho avuto modo di studiarlo e approfondirlo, lo ritengo un grandissimo autore ed è inevitabile che qualsiasi cineasta ne venga influenzato, ma ripeto il film non ha riferimenti specifici ad altre pellicole è piuttosto una storia a sé stante. Ho voluto raccontare una storia sulle diverse fasi della vita, sull’amore ma anche sulla solitudine in una dimensione romantica fin dall’inizio del film, accompagnata da connotazioni barocche. A prescindere da questa impronta, in generale non mi piace che ci sia una sola grande idea a dominare il tutto, ma voglio sempre esplorare punti di vista diversi. Nel film sono presenti elementi propri del periodo coloniale uniti a suggestioni più esotiche, e questo non vuole essere una critica diretta al colonialismo quanto ad un certo tipo di società”.
(Si veda l'intervista completa qui)

lunedì 13 febbraio 2012

Uma palavra por semana: "chá" o "xá"?

Chá significa tè, infuso.
La parola "tè" deriva dalla resa tê (pronuncia tei) del carattere cinese nel dialetto min meridionale diffuso nel sud del Fujian e a Taiwan.
Da questa pronuncia cinese derivano, con lievi varianti, le parole per tè in: malese, danese, inglese, spagnolo, svedese, yiddish, ebraico, cingalese, tamil, finlandese, francese, italiano, lettone, tedesco, olandese e ungherese.
Dalle pronunce piuttosto simili del carattere cinese nei dialetti settentrionali (Pinyin: chá) e in cantonese derivano i nomi del tè in: giapponese, persiano, arabo, turco, russo, portoghese, ceco, slovacco, serbo, uzbeco, hindi, tibetano e romeno. Entrambe le varianti fonetiche sono state trasmesse dalla Cina ai vari paesi del mondo, seguendo i due percorsi diversi.

La parola chá non è da confondersi con la parola xá.

Xá (“scià”, in italiano) infatti è di origine persiana e la parola è entrata nel vocabolario portoghese grazie all’influenza araba nel XVI secolo. Interessante notare che le parole di origine araba o trasmesse dagli arabi nel vocabolario portoghese sono spesse caratterizzate dalla consonante iniziale x (Es. xairel, xeque, xadrez, xaile).

Alcune espressioni con chá:

Não ter tomado, bebido chá em pequeno, em criança (“essere scostumato, maleducato”)
Falta de chá (“mancanza di buona educazione”)
Chá de marmeleiro (“bastonata, randellata”)
Dar, tomar chá (“fare lo spiritoso”)
Dar um chá (“alludere, fare delle illusioni, fare una ramanzina”)
Tomar chá de sumiço (“sparire, svignarsela”)
Tomar chá de cadeira (“aspettare a lungo”)

giovedì 9 febbraio 2012

Novità in libreria: “Lussuria” di João Ubaldo Ribeiro

Impudico e provocatore il nuovo romanzo di João Ubaldo Ribeiro , uscito la prima volta nel 2006 per Cavallo di Ferro e ora riproposto in edizione tascabile da Beat Edizioni.
Questo romanzo, dedicato alla Lussuria, è il quarto volume della famosa serie sui Sette Peccati Capitali, promossa dalla casa editrice brasiliana Objetiva. Proprio mentre i giornali annunciano che João Ubaldo Ribeiro sta scrivendo un libro sulla Lussuria, lo scrittore riceve un manoscritto. Sono gli originali del testo che viene pubblicato e permettono ai lettori di conoscere la storia di un personaggio affascinante ed eccezionale in tutti i sensi: CLB, una donna di 68 anni di Rio de Janeiro che nella sua vita non si è mai tirata indietro quando si è trattato dei piaceri e delle infinite possibilità offerte dal sesso.
Il grande maestro della letteratura brasiliana ha scritto un libro senza censure, provando che sotto l’Equatore il peccato non esiste…
«Una provocazione ironica e acuta, un’aggressione ai fanatismi di femminismo e maschilismo, un attacco alla violenta ipocrisia della Chiesa, una burla filosofica su tutto». Leonetta Bentivoglio, “La Repubblica”
João Ubaldo Ribeiro è uno dei nomi più importanti e di successo della letteratura brasiliana. Appartiene alla prestigiosa Academia Brasileira de Letras. È tradotto in più di sedici paesi e ha ottenuto vari premi (per due volte lo Jabuti). Due film e una fiction televisiva sono stati tratti dai suoi romanzi. Bahiano dell'isola di Itaparica, è nato il 23 gennaio del 1941. Il suo primo romanzo, scritto a ventun anni, è del 1962: Setembro não tem sentido. Raggiunge la notorietà nel 1971 con il secondo romanzo, Sargento Getúlio: uno dei romanzi 'decisivi' della produzione contemporanea, come sottolinea Jorge Amado nell’introduzione che accompagna la prima edizione. Seguono poi, Vencecavalo e o outro povo (1974) e Livros de histórias (1981), il romanzo-saga, Viva o povo brasileiro (1984) («Viva il popolo brasiliano, Frassinelli»), O sorriso do lagarto(1989), O feitiço da ilha do pavão (1997) e Diário do Farol (2002).

mercoledì 8 febbraio 2012

Uma palavra por semana: "Céu"

Céu deriva dal latino coelum o caelum. Significa cielo, firmamento, infinito, ma anche Paradiso, Provvidenza.

Riportiamo qui di seguito alcune espressioni tipiche o modi di dire che contengono la parola “céu”.

“Céus!”, esclamazione che esprime spavento, sorpresa.

“Meu Deus do céu!”, è un’espressione molto comune soprattutto in Brasile.

“Cair do céu aos trambolhões”, arrivare in maniera improvvisa, ma a proposito;

“De bradar aos céus”, scandaloso, sconvolgente, scioccante;

“Estar no sétimo céu”, essere al settimo cielo;

“Prometer o céu e a terra”, promettere l’impossibile;

“Mover céu e terra”, fare tutto il possibile per ottenere qualcosa.



Alberto Caeiro, Gosto do céu

Gosto do céu porque não creio que elle seja infinito.
Que pode ter comigo o que não começa nem acaba?
Não creio no infinito, não creio na eternidade.
Creio que o espaço começa numa parte e numa parte acaba.
E que agora e antes d'isso ha absolutamente nada.
Creio que o tempo tem um princípio e tem um fim.
E que antes e depois d'isso não havia tempo.
Porque ha de ser isso falso?Falso é fallar de infinitos
Como se soubéssemos o que são de os podermos entender.
Não: tudo é uma quantidade de cousas.
Tudo é definido, tudo é limitado, tudo é cousas.



Poesia inedita, senza data, trascritta da Jerónimo Pizarro. Fonte: Público, 13/06/2008.

Questa poesia di Alberto Caeiro-Fernando Pessoa ha suscitato varie polemiche da parte dei critici, si veda, ad esempio, la Carta ao público de Álvaro de Campos di Teresa Rita Lopes.



martedì 31 gennaio 2012

Premio di Poesia Luís Miguel Nava a Helder Moura Pereira

Con il libro Se as Coisas Não Fossem o Que São, pubblicato dalla casa editrice Assírio & Alvim, Helder Moura Pereira si è aggiudicato il Premio di Poesia Luís Miguel Nava 2011.
Autore di un'estesa opera poetica (iniziata nel 1976), ma anche traduttore (Marchese de Sade, Guy Debord, Ernest Hemingway, Silvia Plath, Jorge Luis Borges), Helder Moura Pereira, "è diventato negli anni 80 uno dei rappresentanti del minimalismo postmoderno". Le sue poesie, in cui "analizza minuziosamente i simboli della quotidianità più prosaica", sono profondamente influenzate dalla tradizione anglosassone.

A mágoa é um vício

A mágoa é um vício, a ele volto
pelas madeiras desta casa, as memórias
são mais que os sinais pendurados
ao longo das paredes, não descrevo
o que vejo. O que sinto quase
está no silêncio, deixa de ser tempo
o tempo da noite, nos papéis
há desenhos que o matam, pontos
ganhos, contas de somar, fáceis
artimanhas evitando as palavras. Nada
difere de como ponho a mão na testa,
de como se afasta o sol para trás
dos castanheiros. Tento dizer
que sou como vós, leves amantes
de suaves lazeres, contradigo, desminto,
nada acontece. Para o dia de hoje
um pequeno esboço de tristeza, derrota
de cumprir, tarefa de vencer, antes
da noite os ombros, as rugas, terão
significado preciso. Só o recomeço
será tempo de sorrisos.

(Gestos de miradoiro)

Helder Moura Pereira, Antologia da Poesia Portuguesa Contemporânea, Lacerda Editores, 1999.
Fonte:Público

lunedì 30 gennaio 2012

Uma palavra por semana

La lingua portoghese è l’ottava lingua più parlata al mondo, e la seconda delle lingue romanze. Oltre al Portogallo, terra natale della lingua, è parlata in Brasile da più di 150 milioni di persone, in Africa da 4 milioni e mezzo e in Asia da circa un milione di persone. È indubbia pertanto la varietà lessicale e fonologica di una lingua tanto ricca quanto affascinante, che vive fra i quattro continenti.
Ma da dove vengono le parole che costituiscono questo straordinario panorama lessicale? In quale contesto vengono usate? Che differenza c’è “ônibus”  e “autocarro”, fra “cafezinho” e “bica”? La lingua non è solo uno strumento che ci permette di comunicare gli uni con gli altri, è un organismo vivo, ricco e con una storia da raccontare. Di questa storia, permettendoci anche di giocare e senza la pretesa di ricerca filologica, vorremmo darne alcuni esempi.  
La nuova rubrica, “Uma palavra por semana”, intende approfondire etimologia, significato e contesto d’uso di alcune parole della lingua portoghese, scelte in base alla loro frequenza o più semplicemente al loro potere evocativo.
La parola che abbiamo scelto per iniziare il nostro viaggio attraverso la lingua portoghese è “Oxalá”.

 “Oxalá” deriva dall’arabo in sha allah o inshallah. Significa “se Dio vuole”, “Magari!”.
La parola viene usata in Portogallo. In Brasile, lo stesso significato  viene rivestito dalla parola “Tomara”, mentre “Oxalá” rimanda al Candomblé, religione afrobrasiliana, portata dagli schiavi in Brasile. Il Candomblé consiste nel culto degli Orixás, divinità di origine totemica e familiare, associati ciascuno ad un elemento naturale, e si basa sulla fede in un'anima propria della natura.
“Oxalá” in portoghese, come in italiano, è seguita dal congiuntivo: “Oxalá voltasse!” ("Magari ritornasse!").
Oxalá, Madredeus