mercoledì 14 ottobre 2015

“Estive em Lisboa e Lembrei de Você”: uno dei romanzi cult di Luiz Ruffato è diventato un film

Diretto da José Barahona e coprodotto da Brasile e Portogallo, riusciremo mai a vederlo in Italia?


Torniamo a parlare di Luiz Ruffato, lo scrittore brasiliano di fama internazionale tra i favoriti del nostro Blog. L’occasione non viene dall’uscita di un suo nuovo romanzo - l’ultimo tradotto in italiano è il recente Fiori Artificali (2015 laNuovafrontiera), ma dalla trasposizione cinematografica di uno dei suoi romanzi cult: Sono stato a Lisbona e ho pensato a te.

A chi ha letto e apprezzato le pagine del libro uscito nel 2011, sempre per laNuovafrontiera, la notizia potrà apparire in parte allettante in parte deludente. Questa seconda ipotesi è realistica, dato che difficilmente il film si potrà vedere in Italia, tranne grazie alla buona volontà di qualche organizzatore di festival tematici che riesca a inserirlo nel programma. Allettante, invece, per chi ha spesso occasione di muoversi tra Portogallo e Brasile, cioè i due Paesi che hanno prodotto e realizzato il film. Fedele alla storia che vede protagonista Sérgio, detto Serginho partire da  Cataguases - proprio la città del Minas Gerais dov’è nato Ruffato - per cercare fortuna a Lisbona, il lungometraggio è ambientato in entrambe le città.

La vicenda biografica di Sérgio de Souza Sampaio è datata 2005 e narrata in prima persona dallo scrittore che l’ha fatta sua, dopo aver annotato rigorosamente i racconti del suo concittadino emigrante, durante quattro incontri svoltisi nei giorni 9-16-23 e 30 luglio 2005 sempre il sabato pomeriggio, al ristorante Solar dos Galegos situato in cima alle scalinate della Calçada do Duque. A precisarlo è l’autore stesso nella nota che introduce il romanzo, in cui afferma che a presentargli Serginho è stato un certo Paulo Nogueira a cui sente di dover dire grazie per l’interessante incontro procuratogli.

Del film, a parte qualche nota tecnica, lasceremo che sia Luiz Ruffato a raccontare com’è nata l’idea e perché l’ha accolta favorevolmente, nonostante l’iniziale diffidenza motivata dalla consapevolezza che tradurre parole in immagini sia operazione tutt’altro che semplice. Se avrete la pazienza di gustare la breve e simpatica intervista realizzata a casa sua, lo sentirete convinto a correre il rischio sia per la fiducia in Barahona sia per l’attualità della storia: la tragedia dell’immigrazione tuttora dilagante, ben nota a Ruffato figlio di emigranti, può rendere «il film - si augura lo scrittore- abbastanza interessante non solo dal punto di vista estetico ma anche politico».

Quanto al lungometraggio, ecco in sintesi i dati essenziali estrapolati dal sito di Refinaria Filmes – Brasil che lo ha coprodotto con David & Golias – Portugal e Mutuca Filmes- Brasil.  Diretto da José Barahona, interpretato da Paulo Azevedo nel ruolo di  Serginho, è classificato nel genere Ficção e dura 94 minuti. Lo distribuisce Tucumán Filmes.

Per chi non avesse letto il libro, ricordiamo che Serginho avendo perso il lavoro in Brasile, parte speranzoso per il Portogallo spinto da chi gli assicura che quello è “il miglior Paese del mondo” se non si ha paura di faticare e si vuole diventar ricchi alla svelta. Peccato che la realtà si riveli ben diversa: il Portogallo attraversa una fase di crisi economica per cui manca il lavoro e la lingua comune, su cui contava, anziché avvantaggiarlo diventa una barriera. Date le forti differenze tra il portoghese europeo e quello brasiliano, la sua provenienza traspare subito così da venire  identificato e trattato da ex-colonizzato. Può aspirare solo ai lavori più umili e, per conservarli, si trova a vivere una “guerra tra emigrati” inclusi quelli delle altre ex colonie venuti a Lisbona col suo stesso miraggio: tornare a casa col gruzzoletto sufficiente a campare di rendita mantenendo tutta la famiglia.

Se gli ingredienti della saudade ci sono tutti - dallo spaesamento dell’extracomunitario alla dipendenza dal permesso di soggiorno per non diventare clandestini - la storia, pur drammatica, non è mai cupa grazie all’inconfondibile ritmo di Ruffato. Non mancano intrecci amorosi, colpi di scena e incontri pericolosi con personaggi impossibili, ma certamente verosimili. Storie tanto ordinarie quanto al limite che, se rese efficacemente dalla trasposizione cinematografica tradendo il meno possibile quelle scolpite nel libro, ne solleticano la visione. 

Come anticipato, lasciamo la parola a Luiz Ruffato tramite questo breve video in cui lo scrittore ricorda anche di quando nacque la sua passione per il cinema e della sua predilezione per Fellini. Dulcis in fundo, a beneficio di eventuali gattofili, la presenza costante del suo amico “felino” a quattro zampe chiamato Federico.    

mercoledì 7 ottobre 2015

Angola: José Eduardo Agualusa «Não se constrói uma democracia com presos políticos»

Lo scrittore interviene su diritti umani nel suo Paese al dibattito Amnesty Università Lisbona


José Eduardo Agualusa
Non è passato molto tempo da quando abbiamo parlato di un’importante ex colonia portoghese, tuttora travagliata da contrasti interni tra opposte fazioni e della presa di posizione al riguardo da parte di un importante scrittore. Si trattava del Mozambico e di Mia Couto che lanciava un forte appello alla pacificazione. Ora torniamo a parlare di un’ex colonia e di uno scrittore non meno importante, cioè dell’Angola e di José Eduardo Agualusa che ha reso onore al suo Paese natale (è nato a Huambo il 13 dicembre 1960) facendosi apprezzare nel panorama internazionale con decine di opere tra romanzi, racconti e poesie, tradotte in ben 25 lingue. Basti citare, tra quelli editi in Italia, “Un estraneo a Goa” (2009 Urogallo), “Barocco Tropicale” (2012 La Nuova Frontiera), “Borges all’inferno e altri racconti” (2009 Urogallo).

Sia nel caso di Couto sia in quello di Agualusa, a colpire Il diario portoghese è il forte senso civico di appartenenza che contraddistingue i due scrittori e l’incessante anelito a conseguire una stabilità democratica nei Paesi, entrambi protagonisti di luttuose rivoluzioni per poter conquistare l’indipendenza. Quel che ci preme cogliere è soprattutto la portata del loro messaggio e l’alto senso civico dimostrato più che inserirci nei meandri delle questioni politiche interne dei due Paesi, a dir poco complesse. Lo spunto ci viene da una “conversa aberta” sulla situazione dei diritti umani in Angola organizzata da Amnesty International Portogallo presso la Facoltà di Diritto di Lisbona, svoltasi il 17 settembre u.s. cui ha partecipato tra gli altri José Eduardo Agualusa, che attualmente vive tra Lisbona, Rio de Janeiro e Luanda.

Nell’occasione -a quanto riportato da numerosi organi di stampa locali- lo scrittore ha fatto riferimento a un clamoroso caso, molto dibattuto dai media lusofoni, ma la cui eco ha stentato ad arrivare fino a noi. Si tratta dell’arresto avvenuto a Luanda alla fine del giugno scorso e alla conseguente detenzione di 15 giovani accusati di voler organizzare un golpe. I giovani, benché non incriminati formalmente, sono tuttora in custodia cautelare e costretti in regime di isolamento, privati sia di adeguato accesso di assistenza legale sia delle visite dei famigliari. A tale proposito ecco le parole scandite da Agualusa davanti a un’aula piena di studenti: «Eu não conheço democracias com presos políticos e eles são presos políticos». Lo scrittore ha ammesso di dover rivedere le sue stesse opinioni, fino a non molto tempo fa più fiduciose circa la democrazia in Angola che giudicava ancora incompleta ma in cammino verso il suo completamento, mentre  ora il suo giudizio si fa più drastico tanto da aggiungere: «Com a prisão destes jovens tudo mudou. Não se constrói uma democracia com presos políticos».

In altri passaggi del suo intervento la critica al governo si fa esplicita, ad esempio quando sostiene che «até do ponto de vista estratégico é um erro enorme o que o MPLA (Movimento Popular de Libertação de Angola, partido governamental) está a fazer». Del resto i malumori nei confronti del Presidente José Eduardo dos Santos, in carica da ben 35 anni, serpeggiano ormai da parecchio non solo in varie aree del Paese, ma persino un seno allo stesso MPLA e negli ambiti più vicini al centro del potere. Ciò spiega meglio l’affondo dello scrittore quando dice: «Não conheço nenhuma democracia em que o mesmo Presidente esteja no poder há 35 anos».

Rafael Marques
Ana Gomes













Al dibattito erano presenti anche l’eurodeputata del Partito Socialista portoghese Ana Gomes e l’attivista-giornalista angolano Rafael Marques, arrestato e condannato a sei mesi di detenzione (con la pena sospesa successivamente per due anni) in seguito alla pubblicazione del libro dall’eloquente titolo “Diamantes de Sangue, Corrupção e Tortura em Angola”. Poiché una delle domande degli studenti era tesa a capire se l’Angola sia una democrazia corrotta o una dittatura, secca la risposta di Marques: «Angola não se faz com um só homem» e tra i 24 mln di suoi abitanti «há muitas pessoas inteligentes que podem assumir a tarefa de mostrar outro caminho para a sociedade”. Per Marques «Em Angola o regime funciona por via de um triângulo: a corrupção, a repressão e a propaganda».

Non meno tenera Ana Gomes, la quale dopo aver ricordato che la sua “famiglia politica” è sempre stata il MPLA e di aver pure giocato un ruolo attivo nell’ingresso del partito nell’Internazionale socialista nel 2003, dopo la guerra, ha concluso con un’amara osservazione: «Não entraram na Internacional Socialista para respaldar a roubalheira». Alla Gomes, reduce da una recente visita a Luanda, si deve l’iniziativa di una risoluzione sull’Angola - approvata a stragrande maggioranza il 10 settembre u.s. dal Parlamento Europeo - in cui si chiede tra l’altro la liberazione sia dei 15 giovani sia dell’attivista José Marcos Mavungo, condannato nella provincia di Cabinda a sei anni di prigione per incitamento alla ribellione. Al fitto elenco di richiami al rispetto dei diritti umani contenuto nella risoluzione, va detto che il Governo Angolano ha replicato con una nota diffusa dall’agenzia Angop e riportata dall’italiana AGI, in cui “ripudia, con veemenza, i contenuti della risoluzione per la loro gravità e li definisce calunniosi”.

domenica 13 settembre 2015

Mozambico: Mia Couto lancia appello a pace interna mentre riceve laurea honoris causa a Maputo

Deciso monito dello scrittore al braccio armato della Renamo per le recenti minacce di guerra


Il fatto che lo scrittore mozambicano Mia Couto sia stato di recente insignito della laurea “Honoris Causa em Humanidades na especialidade de Literatura” dalla  principale Università privata del suo Paese natale “A Politécnica” è una notizia che non desta di per sé stupore data la statura del vincitore. Se abbiamo deciso di parlarne nel nostro Blog è perché il pluripremiato scrittore, noto a chiunque ami la letteratura portoghese non foss’altro che per aver ricevuto il Prémio Camões nel 2013, durante la cerimonia di consegna del titolo onorifico svoltasi a Maputo il 2 settembre u.s. non si è limitato a tenere un discorso ufficiale. Couto ha trasformato la premiazione in opportunità per lanciare un forte appello alla pace interna al Paese. Nonostante il Mozambico non sia al centro di grande interesse da parte della stampa italiana in genere, quando ne parla è purtroppo per via delle mai sopite turbolenze che minano quella democrazia raggiunta con tanta fatica e tanto sangue. Dopo l’indipendenza dal Portogallo del 1985, il Paese è stato infatti teatro di una lunga guerra civile -durata dal 1981 al 1992 - tra le fazioni opposte, Renamo e Frelimo.

Mentre Afonso Dhlakama, leader della Renamo, il maggior partito di opposizione in Mozambico annunciava l’abbandono del dialogo col Governo, lo scrittore utilizzava tutta la sua autorevolezza per richiamare l’urgenza alla pacifica convivenza civile nel Paese e nel farlo non usava mezzi termini. «Não nos usem como carne para canhão, não servimos de meio de troca», ha detto Couto. «Todos os povos amam a paz e os que passaram pela guerra - ha aggiunto - sabem que não existe um valor mais precioso». Sempre riferendosi alle dichiarazioni del leader della Renamo che ha minacciato il ricorso alla forza per prendere il potere nelle sei province del Centro e del Nord di cui rivendica la vittoria alle elezioni dell’ottobre 2014, lo scrittore ha tuonato: «Os que ameaçam a paz falando da guerra devem saber que aquele que está a ser ameaçado não é apenas o Governo mas sim todo o povo». Tra le frasi del suo discorso, ripreso da tutta la stampa lusofona che lo ha accolto con entusiasmo, ne citiamo una particolarmente significativa che suona come un ulteriore monito al braccio armato della Renamo: «Quem quiser fazer política que faça política, mas que não aponte uma arma contra o futuro dos nossos filhos». 

Se lo stretto legame tra scrittura e politica è caratteristica globale, negli scrittori portoghesi è notoriamente più marcata in virtù della loro storia e nei nativi delle ex colonie diventa un tratto fondamentale. Mia Couto riassume in sé tutte queste caratteristiche.  É infatti nato a Beira -seconda città mozambicana per importanza- il 5 luglio 1955 da famiglia portoghese. António Emílio Leite Couto, questo il suo vero nome, ha utilizzato lo pseudonimo “Mia” sia perché così lo chiamava il fratello minore non riuscendo a pronunciare bene il suo nome, sia in omaggio alla sua passione per i gatti, visto che “miar” in portoghese significa “miagolare”. Prima di scoprire la vocazione per la scrittura Couto si era indirizzato verso le discipline scientifiche, iscrivendosi alla facoltà di Medicina poi abbandonata per il giornalismo, professione svolta con successo fino a diventare direttore dell’Agência de Informação de Moçambique. Dopodiché la decisione improvvisa di riprendere gli studi per laurearsi in biologia, dedicandosi alla difesa dell’ambiente.

Il suo esordio letterario è datato 1980 con alcune poesie pubblicate nella raccolta “Sobre literatura moçambicana” realizzata dal suo grande conterraneo Orlando Mendes, anch’egli biologo. Tre anni più tardi esce la prima raccolta di poesie “Raiz de orvalho” per passare successivamente ai racconti (contos) destinati a diventare il suo genere principale nonché il maggior tratto distintivo per il peculiare uso stilistico della lingua portoghese. Ben sei le raccolte personali di racconti pubblicate, per fare quindi il salto ai romanzi esordendo nel 1992 con “Terra sonâmbula”, il cui successo viene sigillato dall’omonimo film del 2007 che si avvale della sceneggiatura cinematografica dello stesso Mia Couto. L’edizione italiana di “Terra sonâmbula”, del 2002, si deve all’Editore Guanda che nello stesso anno ha pubblicato anche “Sotto l’albero del frangipani”. L’ultimo dei suoi numerosi romanzi usciti finora in lingua italiana è “L’altro lato del mondo” (Sellerio 2015).

Quanto al legame tra lo scrittore e il suo Paese natale, da segnalare che già il 25 giugno scorso durante le celebrazioni per i 40 anni dell’indipendenza del Mozambico, Couto aveva ricevuto dalle mani del presidente Filipe Nyusil la medaglia al merito in “Artes e Letras” nel quadro dei riconoscimenti attribuiti dal Governo ai suoi cittadini più illustri. Sia alla cerimonia di giugno sia a quella di settembre, è intervenuto Joaquim Chissano, figura che definire carismatica è riduttivo. Già Presidente dal 1995 al 2005 e storico rappresentante del Frelimo fuori patria fin dagli anni ‘60, da esule politico in Francia prima di rientrare nel Paese per partecipare attivamente alla resistenza, Chissano rasenta la leggenda tanto è ricca biografia personale e politica. Un episodio tra i tanti: per la sua rara qualità diplomatica internazionalmente riconosciuta, nel dicembre del 2005 l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, lo ha nominato Inviato Speciale nel Nord Uganda come mediatore tra il  Governo ugandese e i ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lord’s Resistance Army). A missione compiuta Chissano si è aggiudicato il “Premio per il Successo” che la “Fondazione Mo Ibrahim” riserva a leader africani, conferitagli nell’ottobre del 2007.

lunedì 31 agosto 2015

Caetano e Gilberto: sorprendono il pubblico di São Paulo con una canzone inedita nello show per i 50 anni

“As Camélias do Quilombo do Leblon” fa rivivere pagine abolizioniste della storia del Brasile


Reduci dal lungo tour europeo, sconfinato non senza polemiche pure in Israele, la sorpresa più grande l’hanno riservata al loro rientro in Brasile. Stiamo parlando di Caetano Veloso e Gilberto Gil, riuniti  in occasione dei 50 anni di amicizia e sodalizio musicale nello show “Dois Amigos, Um Século de Música” che proseguirà anche in Argentina e Uruguay. Avevamo dedicato un post all’evento in occasione delle tappe italiane, che come prevedibile hanno registrato l’overbooking e ora ci ritorniamo con una grossa novità. Il 20 agosto scorso, alla  Citibank Holl di São Paulo, la coppia oltre al già ricchissimo programma ha regalato al pubblico di casa un inedito a ritmo di bossa samba che ne conferma la sensibilità per i temi sociali.

“As Camélias do Quilombo do Leblon”, questo il titolo della canzone scritta all’alba del giorno stesso dell’esibizione, come riferito da Caetano. Il brano ha doppiamente colpito i fan locali, sia per il tema scelto che riporta a pagine poco note della travagliata storia del  Paese, sia per il riferimento alla città di Hebron in Cisgiordania, frutto di riflessioni seguite alla recente tappa in Israele. “O quilombo do Leblon”, un bairro alle porte di Rio de Janiero, fu una delle comunità abolizioniste che diedero vita a un particolare modello di resistenza alla schiavitù. Le camelie erano il simbolo di questa forma di lotta, diffusa nei pressi di alcune grandi città. Bastava piantarle nel proprio giardino per dichiararsi. I “quilombos urbanos” erano guidati da personalità pubbliche con un certo peso nel gioco politico, che promuovevano la fuga degli schiavi facendo da ponte tra le comunità di fuggitivi e i cittadini liberi, prima ancora che venisse promulgata la famosa “Lei Áurea” (1988).

Del “quilombo do Leblon” si potrebbe parlare a lungo, tanto ricca e interessante è la sua vicenda: basti dire che lo storico Eduardo Silva ha scritto al riguardo il saggio “AS CAMÉLIAS DO LEBLON E A ABOLIÇÃO DA ESCRAVATURA - Uma investigação de história”, un volume di 144 pagine edito dalla Companhia das Letras. L’idea del libro venne a Silva quando, camminando lungo il giardino di Casa de Rui Barbosa a Rio de Janeiro, notò appunto la presenza di piante di camelie. Rui Barbosa, vissuto dal 1849 al 1923, è uno dei personaggi più celebri della storia brasiliana: giurista, politico e letterato si distinse come difensore delle libertà civili e fu tra le figure di spicco del quilombo di cui la canzone parla. La casa di Rio dove abitò dal 1895 fino alla morte, fu poi acquistata dal governo brasiliano che nel 1930 la trasformò in Museo. Oggi è sede dell’omonima Fondazione, attiva nella divulgazione culturale. Il giardino - come la casa che conserva mobili, oggetti e la ricca biblioteca di famiglia - sono aperti alle visite.

Ma torniamo al concerto di Gil e Caetano e al clima particolare che - a quanto riportato dai media locali - si è venuto a creare la sera di quel 20 agosto a São Paulo, dinanzi al palco adornato dalle coloratissime bandiere dei 26 stati confederati che compongono la più estesa nazione del continente sudamericano. C’è chi, come il sito brasiliano UOL, parla di «clima de karaokê intimista e pura ovação», chi dice che non basta parlare di “show”, ma bisogna trovare un nuovo vocabolo per definire la rappresentazione. È il caso della Folha de S. Paulo che nel suo articolo ipotizza la creazione di un termine che significhi nel contempo «show, missa, celebração, louvação». E va anche oltre quando aggiunge che quella sera non c’erano artisti e fan, bensì «entitades e seus devotos».

Descrizioni già tanto eloquenti non hanno bisogno d’altro per trasmettere la magia della serata. Per completare il quadro, indispensabile tuttavia aggiungere il testo della canzone inedita che non è stato diffuso non dagli autori, ma trascritto grazie alla buona volontà dei presenti alla serata. Sempre per merito del pubblico brasiliano, oltre alla letra si può gustare l’esecuzione della coppia bahiana ripresa dal vivo, che volentieri condividiamo coi nostri lettori. Consideriamola idealmente una “ciliegina sulla torta”, visto che di un compleanno si tratta, cioè dei 50 anni di fraterna amicizia tra “os dois titãs, os dois filhos mais famosos da Bahia, as personalidades líderes do Tropicalismo” come Caetano e Gil venivano presentati in Brasile nell’annunciare il tour.


“As Camélias do Quilombo do Leblon”       
(Caetano Veloso/Gilberto Gil)



As camélias do quilombo do Leblon
As camélias do quilombo do Leblon
As camélias do quilombo do Leblon
As camélias

As camélias do quilombo do Leblon
As camélias do quilombo do Leblon
As camélias do quilombo do Leblon
Nas lapelas

Vimos as tristes colinas logo ao sul de Hebron
Rimos com as doces meninas sem sair do tom
O que fazer
Chegando aqui?
As camélias do Quilombo do Leblon
Brandir

Somos a Guarda Negra da Redentora
Somos a Guarda Negra da Redentora

As camélias da Segunda Abolição
As camélias da Segunda Abolição
As camélias da Segunda Abolição
As camélias

As camélias da segunda abolição
As camélias da segunda abolição
As camélias da segunda abolição
Cadê elas?

Somos assim, capoeiras das ruas do rio
será sem fim o sofrer do povo do Brasil
Nele, em mim, vive o refrão
As camélias da segunda abolição virão








martedì 11 agosto 2015

Finalmente anche in Italia il romanzo “Il tuo volto sarà l’ultimo” di João Ricardo Pedro

Abbiamo letto il libro dell’autore “rivelazione” vincitore del Prémio LeYa, tradotto in molte lingue



Quando si inneggia alla scoperta di un capolavoro e si paragona il nuovo autore a scrittori del calibro di Saramago e García Márquez, si oscilla tra scetticismo e curiosità. Se la nuova rivelazione è un cittadino portoghese, per di più estraneo alla letteratura in quanto ingegnere meccanico di professione scopertosi scrittore per ammazzare noia e amarezza provocati dalla perdita del posto di lavoro, la curiosità ha il sopravvento. Così ci si ritrova tra le mani, volutamente, l’opera prima di João Ricardo Pedro (nato a Reboleira, distretto di Lisbona, il 18 agosto 1973) che nella versione italiana pubblicata da Nutrimenti s’intitola Il tuo volto sarà l’ultimo, traduzione fedele del titolo originale O teu rosto será o último.

Insignito del Prémio LeYa, il più importante concorso portoghese di letteratura inedita, il libro è stato subito un successo in patria (siamo alla decima edizione), poi apprezzato anche all’estero propagandosi in Francia, Spagna, Germania, Olanda e Brasile prima di approdare anche da noi. «Lo straordinario affresco di un paese lacerato dagli spettri del passato», ha commentato Le Monde. «Un libro incantevole», ha sentenziato El País. «Denso e commovente, condensa con rara maestria un secolo di storia», ha scritto il brasiliano O Globo. Poiché di recensioni ne sono uscite diverse anche in Italia, non è intenzione del nostro Blog aggiungerne una nuova. Impensabile, tuttavia, ignorare l’uscita in Italia di un libro che si staglia a perfezione sul target di chi ci segue, vale a dire di appassionati lusofoni. È con questo spirito che lo abbiamo letto.

Se non si conosce la storia, anche coloniale, del Portogallo non si entra facilmente nella narrazione. Non si colgono le battute e i riferimenti che non sono palesi, ma affiorano qua e là nella trama del romanzo. Una trama sottile, quella narrata, che gioca a nascondino coi personaggi. Dopo averli presentati, se ne allontana cambiando scenario per farli riemergere a sorpresa, più avanti. Una trama simile a una ragnatela che ti costringe a districarti nel dedalo di figure che la popolano, non senza avvertire a tratti persino un certo disorientamento. Eppure questa ragnatela sottende a una logica: forse l’unica caratteristica che rivela nell’autore l’ingegnere che è stato prima di reinventarsi scrittore. Ma nemmeno questa osservazione basta a caratterizzare João Ricardo Pedro.

Poliedrico e colto, potrebbe egli stesso come il protagonista Duarte, avere un trascorso da musicista. Perché - importante sottolinearlo - il libro appagherà molto, oppure turberà, gli appassionati di musica classica. La cultura è una delle cifre dell’opera che include anche l’arte, portandoci in vari momenti a contatto stretto con Bruegel. Una lettura impegnativa, quindi, non il classico libro estivo di tutto relax, ma nemmeno il tomo pesante che d’istinto allontani e rinvii magari ad altre stagioni dell’anno. Ti inchioda, ti chiede di restare all’erta per non perdere il filo della storia costruita con un’architettura suddivisa in sette parti, ciascuna composta da capitoli che sembrano vivere quasi di vita propria. Sarà solo verso la fine che il puzzle si potrà ricomporre. Ti inchiodano sia la curiosità di scoprire i retroscena, svelati a poco a poco, sia lo stile personalissimo dell’autore. Qui il pensiero e la lode vanno al traduttore Giorgio De Marchis che ha reso magnificamente i contrasti del linguaggio, a volte crudo e violento, a volte profondamente tenero.

Avremmo potuto cominciare a parlare del romanzo attingendo al risvolto di copertina (la storia di tre generazioni di una famiglia portoghese nel tempo della dittatura, delle guerre coloniali, della rivoluzione e della disillusione [...]) che, pur riassumendolo efficacemente, apparirebbe comunque riduttivo. Avremmo potuto descrivere i personaggi principali, dirvi quale capitolo ci aveva colpito di più, addentrarci insomma nella storia narrata. Ma non volevamo svelarne i contenuti, a svantaggio della suspense che l’autore ha saputo creare. Abbiamo preferito, invece, concentrarci sulle emozioni che la lettura de Il tuo volto sarà l’ultimo è in grado di suscitare. Se ne abbiamo parlato, per concludere, è  nella convinzione che al termine delle 207 pagine lette e assaporate ci si congedi pensando: ne valeva proprio la pena. 

sabato 1 agosto 2015

Festival Film Locarno 2015: la significativa presenza di cineasti brasiliani e portoghesi

Occhi su Heliópolis di Machado a Piazza Grande e su Garoto di Bressane fuori concorso



Folta e significativa presenza di cineasti brasiliani e portoghesi al prossimo Festival del film di Locarno, giunto quest’anno alla 68/ma edizione. Già lo scorso anno Il diario portoghese aveva curiosato nel ricco programma dell’importante rassegna elvetica, scandagliando le varie sezioni per individuare, appunto, la partecipazione di esponenti della cinematografia lusofona. L’appuntamento estivo nella cittadina medievale affacciata sulle sponde del Lago Maggiore ai piedi delle Alpi ticinesi, che quest’anno va dal 5 al 15 di agosto, è assurto ormai al gotha delle rassegne internazionali di cinema e particolarmente apprezzato dai cinefili più raffinati. Il solo fatto di venire selezionati e approdare a Locarno è di per sé un riconoscimento, una medaglia al merito indipendentemente da un premio finale, il più prestigioso dei quali consiste nel caratteristico pardo d’oro, simbolo del Festival.

Sulla scia delle prime indiscrezioni finora circolate, particolare attesa circonda la prima mondiale di Heliópolis del regista brasiliano Sérgio Machado che verrà proiettato nella sezione "Piazza Grande", cuore pulsante dell’evento che ogni sera accoglie nel suo magico scenario una platea di 8.000 spettatori. Affascinante la storia narrata dal film: Laerte, interpretato dall’attore bahiano Lázaro Ramos, è un violinista di talento. Non essendo ammesso all’Orchestra sinfonica dello Stato di San Paolo, deve ripiegare sull’insegnamento e diventa maestro di musica all’istituto scolastico della grande favela di Heliópolis. Nonostante le difficoltà, la forza trasformatrice della musica e l’amicizia nascente con gli allievi adolescenti gli apriranno la porta verso un nuovo mondo.

Non meno attenzione viene riservata a Cosmos, inserito nella sezione “Concorso Internazionale”: benché dietro la macchina da presa del film ci stia il regista polacco di culto Andrzej Zulawski e la storia sia basata sull’omonimo romanzo di Witold Gombrowicz, si tratta di un lungometraggio marcatamente portoghese. La coproduzione franco-portoghese si deve infatti al lisbonese Paulo Branco e il film è stato girato interamente tra Sintra, Mafra e Covilhã. Pure il cast non ammette dubbi sulla nazionalità, basti citare Ricardo Pereira, António Simão e Victoria Guerra.A presiedere la sezione “Cineasti del presente” è il regista brasiliano Júlio Bressane, di cui parleremo più avanti anche per il progetto speciale fuori concorso che ha curato. Tra i film a concorso in questa sezione segnaliamo Olmo e Gaivota (Olmo & the Seagull), in prima mondiale. Si tratta del secondo lavoro della regista brasiliana Petra Costa, affiancata per l’occasione dalla danese Lea Glob in una coproduzione mista tra Brasile, Danimarca, Portogallo e Francia.

La sezione “Pardi di domani” dedicata ai cineasti promettenti include i due cortometraggi brasiliani História de uma pena di Leonardo Mouramateus e O teto sobre nós di Bruno Carboni, oltre ai due portoghesi Maria do mar di João Rosas (vincitore della competizione nazionale “Curtas Vila do Conde” 2015) e O que resta di Jola Wieczorek. Benché quest’ultimo sia frutto di una coproduzione Austria-Portogallo e per di più firmato da una regista polacca, a giudicare dalla sinossi pubblicata sul programma ufficiale, si presenta come squisitamente portoghese. Leggiamola insieme: «Che fine fanno i ricordi, le esperienze dei membri di una famiglia quando la casa che abitano viene svuotata, venduta? Attraverso i carteggi di un simbolico nucleo familiare portoghese emerge la storia dell’ultimo secolo di un paese ricco di cultura, contraddizioni e drammi, che rischiano di perdersi, un pezzo di mobilio per volta».

Fitta di presenze lusofone pure la sezione fuori concorso dedicata agli shorts, con ben tre prime internazionali: Noite sem distância di Lois Patino (Portogallo/Spagna) riaccende la memoria su un paesaggio nelle montagne di Gerês, al confine tra Portogallo e Galizia, dove per secoli si è praticato il contrabbando; The glory of filmmaking in Portugal (A Glória de Fazer Cinema em Portugal) di Manuel Mozos (Portogallo) ci riporta al 1929 e indaga sulla lettera, rimasta misteriosa, inviata dallo scrittore portoghese José Régio a Alberto Serpa in cui esprimeva il suo desiderio di fondare una casa di produzione e dedicarsi alla realizzazione di film; Undisclosed recipients di Sandro Aguilar (Portogallo) è senza dialoghi e dalla sinossi criptica che recita «prima e dopo quel secondo bacio».

Torniamo infine al già citato regista brasiliano Júlio Bressane cui si deve il progetto speciale fuori concorso intitolato Tela Brilhadora. Lo stesso cineasta nativo di Rio de Janeiro e considerato uno dei maggiori esponenti del cinema novo, presenta in prima mondiale il suo film Garoto ispirato al racconto L’assassino disinteressato Bill Harrigan di Jorge Luis Borges. Tutti brasiliani e in prima mondiale anche gli altri film del progetto. O espelho (The Mirror), opera prima di Rodrigo Lima, è l’adattamento dell’omonimo racconto di Machado de Assis. O prefeito (The Mayor) di Bruno Safadi narra di un ipotetico sindaco di Rio de Janeiro che, spinto dalla volontà di entrare nella storia, decide di separare la sua città dal Brasile e fondare un nuovo Stato. Con Origem do mundo (Origin of the World) il regista Moa Batsow tenta di far conoscere le iscrizioni preistoriche del Brasile per salvaguardarle. I testi sono di Bernardo Silva Ramos, un pioniere nella scoperta e nell’interpretazione dell’arte preistorica.

Conclusa la carrellata sulla partecipazione di cineasti appartenenti alla cultura di cui si occupa il nostro Blog, doveroso rendere omaggio al Festival del film Locarno che, lungo i suoi 68 anni di storia, ha saputo conquistarsi un posto di primo piano nel panorama delle grandi manifestazioni cinematografiche offrendo una programmazione eclettica. Geograficamente situato al crocevia di tre grandi culture europee (italiana, tedesca e francese), con il suo vasto pubblico multiculturale, il Festival di Locarno rappresenta un trampolino di lancio per nuovi film provenienti da tutte le parti del mondo, nonché un’occasione d’incontro fra talenti emergenti e nomi già prestigiosi.